Aldo Cazzullo e la Sicilia: «Attrazione fatale per l'Isola ma non per la classe politica»
Legami senza steccati. «Basta con queste divisioni Nord-Sud è una maniera per scaricare vicendevolmente le responsabilità»
Aldo Cazzullo è un piemontese che, appena può, torna in Sicilia. «È un’attrazione fatale, davvero fatale», esclama il giornalista e scrittore che sarà premiato al Teatro Bellini di Catania nel corso di “Best in Sicily”, un evento della rivista online Cronache di Gusto. «Vacanza o lavoro - aggiunge il vicedirettore del Corriere della Sera - corro sempre nella vostra Isola che, però, avrebbe bisogno di infrastrutture. La scorsa estate abbiamo penato all’aeroporto di Catania, ho visto scene di cui mi sono vergognato in quanto italiano. Veramente un calvario, speriamo non si ripeta».
Malgrado tutto, l’attrazione resta.
«Non solo la mia, perché siciliani e piemontesi credo proprio che siano legati da un filo speciale. Abbiamo in comune persino nomi di località e cognomi di persone. Ad esempio, Gallo. O Maletto, il cognome della madre che ho aggiunto ai miei figli perché non volevo portassero la croce di chiamarsi Cazzullo. In piemontese Cazzullo vuol dire mestolo, però quando lo spiego non ci crede nessuno. Non dimentichiamo, poi, che i Savoia per un momento ebbero Piemonte e Sicilia ma appena capirono che gestire la vostra Isola era troppo complicato si accontentarono della Sardegna».
Catania e Alba, la sua città natale in provincia di Cuneo, sono comunque molto lontane. Ben oltre le distanze chilometriche…
«Catania è molto più grande… In realtà, però, Catania e Alba non sono così lontane perché mi sono accorto che, quando vado a Palermo, mi sento in un altrove per profumi, per colori, e noto che i palermitani ne sono compiaciuti. I catanesi, invece, ci restano male se gli dici una cosa simile e ti dicono: ma quale altrove, qui siamo in Europa e questa è la porta d’Europa. Sarà un luogo comune parlare di Milano del Sud ma, secondo me, è vero».
Trinacria “gustosa”, non solo a tavola. Tanto appetibile da essere condannata al mordi e fuggi dei tanti, troppi, avvoltoi che volteggiano da sempre sull’Isola?
«La prima guerra punica scoppiò proprio per il controllo della Sicilia. Vinsero i romani, divenne il granaio di Roma, il governatore Verre la saccheggiò e contro di lui Cicerone scagliò le Verrine. Insomma, è contesa da millenni e terra di conquista. Adesso, la Sicilia è dei siciliani e mi fa arrabbiare che qualcuno si definisca neoborbonico. È come trovare ghiaccio bollente, perché i Borboni non avevano una goccia di sangue siciliano e Messina venne assediata da un re borbone perché fu la prima a insorgere dando il via al ’48 europeo».
Quindi?
«Quindi, un siciliano neoborbonico è uno che ha preso un abbaglio clamoroso. Capisco che l’Italia è in debito con la Sicilia, lo è anche il Piemonte. Ma basta con questo noi e voi, Nord e Sud, isolani e continentali. Come si fa a non capire che dietro tanto mugugno incrociato, quello di chi dice che gli uni senza gli altri sarebbero ricchi e felici, si nasconde un modo per scaricare le proprie responsabilità e non fare niente. È un discorso consolatorio e inutile, anzi controproducente».
Nel corso della premiazione “Best in Sicily”, al Teatro Bellini, lei interverrà su storia e futuro di Sicilia. Del presente, meglio evitare di parlarne?
«Non mi sottraggo. Io rispetto le opinioni di tutti, ma devo dire che sono molto deluso della classe politica siciliana. M’ero fatto un po' di illusioni in passato, mi ha deluso Crocetta e il livello attuale mi sembra molto basso. Ricordo, ad esempio, che ero venuto a raccontare la nuotata di Grillo attraverso lo Stretto, ad aspettarlo c’era un piccolo banchetto di militanti siciliani del Movimento Cinque Stelle e parlai con loro. Facevano discorsi antisistema e il capo di questo gruppetto era Giancarlo Cancelleri. Lo stesso Cancelleri che ora sta con Schifani e Forza Italia. Ma che rappresentanti avete in Sicilia?!».
Un Ponte (sullo Stretto) ci salverà. O no?
«Ci salveremo noi, non un intervento dall’alto. Il Ponte, comunque, è necessario perché arrivare in Sicilia non è facile e gli aerei costano caro. Colleghiamo Scilla e Cariddi, i Bronzi di Riace e il capolavoro di Caravaggio che, secondo me, è la Resurrezione di Lazzaro e si trova a Messina. Colleghiamo insomma cultura a cultura, bellezza a bellezza. Poi, lo so anch’io che ci sono Cosa Nostra e la ’ndrangheta ma non possiamo arrenderci. Dobbiamo combatterle e mi piace sempre ricordare, anche all’estero, che la gran parte di quanti hanno dato la vita e sono pronti a dare la vita per combattere la mafia sono proprio siciliani».
Il nostro quotidiano compie 79 anni proprio in questo mese di marzo e celebra il “compleanno” ad Agrigento: omaggio a quella che sarà la Capitale della Cultura nel 2025. Essere “Capitale” per un anno rappresenta più un’opportunità o un rischio?
«Un’opportunità, ovviamente. Fra l’altro, mi viene in mente la “Strada degli Scrittori” che s’è inventato il nostro amico Felice Cavallaro ed è bellissima. Quest’anno ci sta provando anche Alba a diventare “Capitale della Cultura”, non so se sarà altrettanto brava. Mi dicono che Agrigento ha fatto un progetto bellissimo, autofinanziato, mettendo insieme tutti i comuni della zona e non limitandosi solo alla Valle dei Templi. Sono certo che sarà un grande successo e, se mi inviteranno, verrò volentieri».
Dalla Sicilia all’Italia. Per usare il titolo del suo ultimo best seller dedicato a “Roma. L’impero infinito”, v’è stato un tempo “Quando eravamo i padroni del mondo”. Adesso, invece, saremo almeno padroni del nostro destino?
«L’Italia ormai è in Europa e meno male che c’è. Per ogni italiano vi sono nel mondo venticinque indiani e venticinque cinesi: come non capire che, per contare qualcosa, abbiamo bisogno di unirci agli altri europei? Inoltre, abbiamo 3mila miliardi di debito pubblico. Se non ci fosse la garanzia comunitaria, rischieremmo di fare la fine dell’Argentina di Milei (Javier Milei, presidente dello stato sudamericano, ndr). Meno male che l’Europa c’è. Cerchiamo, però, di andarci con dignità perché francesi e tedeschi quando è ora di far rispettare i propri interessi non indietreggiano mica».