A Catania, al “Palazzo Murgo Scammacca” la mostra “Atelier svelati”
Protagonisti: Antonio Vacirca che firma trenta brillanti stampe fotografiche e, con altrettante opere, dodici artisti siciliani Giovanni Blanco, Maria Buemi, Carmelo Candiano, Giovanni La Cognata, Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro
A Catania, l’eleganza di “Palazzo Murgo Scammacca” ospita, fino al prossimo 13 aprile, la mostra “Atelier svelati”, concepita e realizzata da “Scalamatrice33”, curata da Giuseppe Cona, scortata da un testo critico di Pippo Pappalardo. “Atelier svelati” è, sottolinea Cona, «un entusiasmante viaggio nel mondo dell'arte contemporanea che, attraverso il medium fotografico, ci permette di entrare negli atelier e conoscere i segreti e le intime pulsioni dei sei speciali artisti che si sono concessi alla nostra istanza di conoscerli più intimamente, ulteriormente avvantaggiati dal prezioso contributo esegetico scritto da uno dei maggiori esperti di fotografia che abbiamo in Sicilia: Pippo Pappalardo».
Protagonisti: Antonio Vacirca che firma trenta brillanti stampe fotografiche e, con altrettante opere, dodici artisti siciliani Giovanni Blanco, Maria Buemi, Carmelo Candiano, Giovanni La Cognata, Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro. “Chi ha avuto il privilegio di frequentare artisti, e lo spazio fisico dove l'ispirazione prende forma e diventa opera, si rende subito conto che l'atelier d’artista è molto di più di un semplice luogo di lavoro: è rifugio personale, laboratorio di idee, archivio di esperienze, diventando esso stesso estensione dell'anima creativa dell'artista. Sono luoghi carichi di contenuti magici e alchemici dove oggetti, odori, luce e colori, in continuo equilibrio tra materiale e immateriale, compongono una complessa teoria di informazioni dalla sorprendente narrazione, generando una misteriosa energia nella stessa opera”, dichiara Giuseppe Cona.
-Cosa Significa conoscere lo studio di un artista?
«Significa creare una relazione intima con lo stesso, entrando in profondo collegamento con lo spazio fisico che ha generato “l'accadimento artistico”, e solo grazie ad una esplorazione visiva e olfattiva è possibile indagare la complessa e poliedrica personalità dell'artista. Queste solo alcune delle riflessioni che c’hanno condotto ad indagare il fascino che ancora oggi viene generato dagli e dagli atelier nei quali, come esseri che si muovono nel liquido amniotico, vivono e si nutrono di tutto ciò che quello spazio, a volte angusto e circoscritto, a volte luminoso e ampio, riesce ad offrire loro».
-“Atelier svelati”, per creare, svelandolo, un “dialogo” tra policrome creatività?
«Per creare un ponte tra chi ama l'arte e chi la “genera” è un desiderio che, grazie alla sensibilità e alla capacità espressiva del fotografo Antonio Vacirca si è riusciti a realizzare. Ciò è stato possibile anche grazie alla generosa disponibilità, affatto scontata, degli stessi artisti che si sono “mostrati”, anzi svelati, senza preclusione alcuna. Giovanni Blanco, Maria Buemi, Carmelo Candiano, Giovanni La Cognata, Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro ci hanno affidato la loro preziosa immagine accostandosi con curiosità e fiducia a questo esperimento espositivo che certamente non mancherà di affascinare il visitatore».
«A quale genere ascriveremo questa breve nota fotografica? In effetti non abbiamo avvertito alcuna necessità di costruirla come una presentazione sulla personalità dei nostri artisti; né l’abbiamo immaginata come un dispositivo critico ed esegetico utile per illustrare la loro opera e le loro opere; e, volutamente, non intendevamo suggerire percorsi interpretativi circa ill senso e la qualità dei loro elaborati. Ed allora? Più semplicemente, siam voluti tornare sulla “scena del delitto” e, pertanto, tentare di capire quel momento iniziale (nella contrapposta vicenda artistica tra fotografia e pittura) che ha dato il via ad un nuovo modo di vedere le cose e di rappresentarle. Da una parte, in fotografia, la constatazione di una ricerca che va verso l’occultamento dell’autore, quasi un timore ossessivo per la sua presenza autoriale, tutta a favore di una sua scomparsa (vedi gli ultimi esempi di applicazione della cosiddetta Intelligenza Artificiale della fotografia digitale); e, dall’altro, l’orgogliosa riaffermazione dell’individualità artistica, romanticamente e titanicamente (ri)proposta quale espressione di autonomia identitaria, di individualità creatrice, di libertaria risoluzione espressiva del genere umano. Ed allora? Si è preferito prendere lo strumento in mano (quello fotografico), portarlo all’altezza degli “occhi, del cuore, del cervello”, e farlo interloquire con le persone, con gli strumenti, con gli ambienti che con altrettanta dovizia tecnica e altrettanta passione continuano a dare una forma al tempo, una nuova matematica allo spazio, una nuova figura alla fantasia», conclude Pippo Pappalardo.