"Sangue Siciliano": L'Elfo rompe il silenzio e si racconta tra strada e fragilità
E' il nuovo album di Rosario Luca Trischitta
La scena rap italiana si prepara ad accogliere un ritorno atteso e potente. L'Elfo, all'anagrafe Rosario Luca Trischitta, rompe un silenzio discografico durato cinque anni e annuncia l'uscita del suo nuovo album, "Sangue Siciliano". Un titolo che è già un manifesto, una dichiarazione d'intenti che promette di immergere l'ascoltatore nelle radici più profonde e nelle contraddizioni più affascinanti della sua terra. Conosciuto per la sua penna affilata e la voce inconfondibile, L'Elfo ha saputo ritagliarsi uno spazio autentico nel panorama musicale, raccontando senza filtri la realtà della strada e le sue molteplici sfumature. "Sangue Siciliano" non è solo un disco, ma un viaggio intimo e viscerale che affonda le sue radici nella terra, nel vissuto e nell'essenza più profonda dell'artista, esplorando l'identità di chi ha fatto della propria origine la sua forza trainante.
Quanto lavoro c’è dietro a “Sangue Siciliano”?
<<Sono sempre stato operativo in questi anni, anche se dall'ultimo disco ne sono passati cinque. Era un po' che non mi rimettevo davvero in gioco: fare canzoni è un conto, fare un disco è tutt'altro. Un album è come un figlio, e solo adesso mi sono sentito pronto a farlo. Questo si basa sulle mie origini, un ritorno alle radici ma in versione 2.0, con tutta la sicilianità che mi porto dentro. Ci ho messo molto impegno e grande professionalità>>.
Il nuovo album si apre con “Nino”, un ritmo incalzante e un testo crudo e autentico. Il titolo richiama il suono delle sirene delle Forze dell’Ordine, simbolo di una vita costantemente sotto osservazione e in bilico tra il crimine le sopravvivenza. Un brano che affronta temi come la solitudine, la lotta contro l’invidia e la falsità. Come nasce “Nino”?
<<Ho voluto aprire il disco con 'Nino' proprio perché è un brano 'cattivo' che stabilisce immediatamente le sonorità dell'intero progetto. In questa traccia, ho volutamente messo in risalto la mia parte più aggressiva. Se in passato ero solito bilanciare l'aggressività con la tranquillità nei miei album, qui ho scelto di dare libero sfogo a tutta l'energia e la frustrazione che avevo accumulato>>.
Si prosegue con “Chi Spacchiu mi Cunti”, feat Don Pero, una esclamazione tipica catanese. Come si può spiegare questa terminologia oltre i confini regionali? Cosa rappresenta “Chi spacchiu mi Cunti” per un catanese?
<<Il cuore di questo disco è un vero concentrato di sicilianità. Ho voluto che ogni traccia contenesse un simbolo forte della Sicilia. Un esempio lampante è 'Chi Spacchiu Mi Cunti', un'espressione che fa parte del nostro quotidiano. Nonostante questo radicamento, l'album vuole essere internazionale, e infatti una scelta stilistica precisa è stata quella di includere i sottotitoli in inglese in tutti i video. Questo perché 'Chi Spacchiu Mi Cunti' è un'espressione che 'viaggia' oltre i confini. Provate a dire 'che cazzo vuoi' in Italia: non avrà mai la stessa potenza evocativa e lo stesso carattere di 'Chi Spacchio Mi Cunti'>>.
Con la tua musica ci hai “insegnato” che “a Catania ci crisci, ci manci e ci mori”. Cosa rappresenta la nostra città per te?
<<La mia persona è stata forgiata a Catania. È un posto che definirei 'maledetto', una città che allo stesso tempo amo profondamente e detesto. Nonostante tutte le sue contraddizioni e i suoi lati negativi, riesco a trovare una sintonia persino con il suo male. Catania è una vera e propria madre per me; le sono legato in un modo viscerale, accettandone e amandone ogni aspetto, anche i più problematici." Catania è la città che mi ha fatto come sono. È un luogo 'maledetto', la mia città che amo e odio con un'intensità quasi dolorosa. Ma anche con tutti i suoi difetti, riesco a convivere con il suo lato più oscuro. È come una madre per me, le voglio bene nonostante le sue ombre. Il nostro è un rapporto viscerale che va oltre ogni logica>>.
Però i catanesi ti voglio bene e apprezzano la tua musica…
<<Sento di essere arrivato alle persone con la mia musica non solo come artista, ma anche a un livello più profondo, più umano. I catanesi, soprattutto, hanno memoria di me fin dai primi giorni, quando ero solo un ragazzino che faceva rime in strada, senza niente. Mi hanno visto crescere passo dopo passo, e credo che questa vicinanza, questa 'realtà' abbia colpito molto. Sono un ragazzo semplice, oggi come allora, e credo sia la mia vera essenza, non un personaggio, ad avermi aperto le porte del cuore dei siciliani>>.
Nel brano “Me Cumpari” fai un tributo sincero e crudo alle radici e alle amicizie di una vita, un racconto di strada che parte da Catania e attraversa la memoria collettiva di una generazione cresciuta tra sfide quotidiane e voglia di riscatto. Quanto ha influito la strada nella tua vita?
<<Ho fatto della strada la mia carriera, la mia musica stessa nasce da lì. È stata la mia vita fin da giovanissimo: già a 12 anni ero in giro, crescendo a contatto con ogni tipo di persona, dal ragazzo che studiava a chi aveva a che fare con situazioni più complesse. Sono sempre stato privo di pregiudizi. La strada è una fonte inesauribile di ricordi ed emozioni. Penso ai miei compagni con problemi e assistenti sociali: la gente si cerca per affinità, e io in quel contesto di piazza mi sono sempre ritrovato con i 'ragazzi della piazza'. Tutto questo è diventato la mia arte, e voglio un bene sincero a tutti loro>>.
In SMNC (Sa Mettunu ‘Ndo Culu), però, racconti che anche l’amicizia può essere tradita, hai scelto la sopravvivenza come stile di vita. Come mai?
<<La vita è piena di sorprese. Mi considero un ragazzo leale, uno che spesso fa di più per gli altri che per sé stesso. Purtroppo, non sempre si viene ricambiati. In questi anni, molte persone a cui ho dato la mia vera amicizia mi hanno voltato le spalle. Sono convinto, però, che quando si brilla, c'è sempre chi vive di gelosia. Una parte di quelli che consideravo amici si sono rivelati sbagliati, e mi dispiace per loro>>.
Con “Cuttigghiaro” vuoi raccontare i “Pinocchio da Instagram”, chi sono?
<<Nel contesto musicale, la mia delusione si rivolge a tutti coloro che si basano sulla menzogna e sull'immagine. Penso a chi si spaccia per 'malavitoso' o per chi ha vissuto esperienze di strada, pur non avendone affatto. La mia insofferenza è verso chi desidera solo apparire, privo di quella vera 'fame' che anima il rap. Ormai, la frase 'voglio fare l'artista' è diventata il corrispettivo moderno del 'voglio fare il calciatore'. Per me, il rap è qualcosa di sacro. Chi manipola l'immagine cerca solo di accaparrarsi l'attenzione dei giovani, distorcendo la realtà per conquistare la loro simpatia>>.
Brufen è il singolo di chiusura dell’album. Qui ti sei proprio messo a nudo. Hai voluto raccontare la tua “nuova” vita.
<<Mi ritengo un ragazzo tenace, ma anche fortunato. In questa canzone racconto l'episodio più grave che mi sia capitato: avere un ictus a trent'anni non è certo qualcosa che capita a tutti, per fortuna. La mia vita è stata costellata di tantissime 'cazzate' e follie, ma qui, in questo brano, ho voluto racchiudere tutto per svelare la mia fragilità. L'album si apre con 'Nino', che serve a 'spianare la strada' con la sua energia».

