"The Pitt", Noah Wyle in corsia nella serie top dell'anno
Il dottor Carter di "ER" torna in ospedale nel medical drama adrenalinico e commovente dal 24 settembre su Sky
Il dottor Carter è cresciuto. Il timido specializzando di "ER - Medici in prima linea", la popolare serie in onda per 15 stagioni dal 1994 al 2009, è ora dotato di barba brizzolata, aplomb rassicurante da chi ha visto troppo e indiscutibile carisma. Gli anni sono passati per Noah Wyle, che aveva mosso i primi passi televisivi accanto a George Clooney nell’ospedale di Chicago e che ora torna tra le corsie con 'The Pitt', il medical drama che il 24 settembre arriva in esclusiva su Sky (e in streaming su Now), dopo aver conquistato il pubblico statunitense e battuto la favorita 'Severance' agli Emmy.
Creata da R. Scott Gemmill ('ER', 'NCIS: Los Angeles') e prodotta da John Wells ('ER', 'West Wing'), che ha anche diretto il pilota e il finale di stagione, la nuova serie di Hbo Max si inserisce in una tradizione televisiva ben nutrita, da 'A cuore aperto' a 'ER', da 'Grey's Anatomy' a 'Dr. House'. Eppure è facile dire perché sia rapidamente diventata la sorpresa della stagione televisiva oltre Oceano: non assomiglia a niente di già visto.
Adrenalinica al limite dell’angosciante, realista al limite dello splatter, ma al tempo stesso commovente e profondamente umana, costringe lo spettatore a un claustrofobico turno al pronto soccorso di un ospedale del centro di Pittsburgh. Ogni episodio racconta un’ora della stessa giornata, dalle 7 del mattino e alle 10 di sera. Ci sono pazienti dimessi in poco tempo e altri che devono restare a lungo, per mancanza di letti o personale ai piani superiori. Ci sono barelle che entrano ed escono, pazienti che muoiono e altri che guariscono da ferite più profonde di quelle visibili. Ci sono soprattutto medici, infermieri e personale ospedaliero, oppressi in un flusso continuo di decisioni, azioni e conseguenze.
Il perno di questo caos è il dottor Robby, al secolo Michael Rabinovitch, interpretato da Wyle. È lui il responsabile del pronto soccorso, che all’inizio della giornata accoglie e istruisce un nuovo gruppo di medici e specializzandi. La scelta di Noah è stata naturale. «Appena mi è venuta l’idea, gli ho mandato un sms: 'Hey, vuoi tornare in corsia?», racconta Gemmill ai giornalisti radunati nella sala d’aspetto dell’ospedale, che non è in Pennsylvania, ma all’interno del teatro 21 degli immensi studi Warner Bros, a Los Angeles.
Wyle spiega che è stata la pandemia a fargli prendere in considerazione l’idea. «Ricevevo molte lettere dai soccorritori. Mi raccontavano quanto fosse difficile la loro vita quotidiana, chi si ammalava e chi veniva curato. Mi hanno fatto pensare che ci fosse qualcosa di cui valeva la pena parlare di nuovo. Mi sono praticamente offerto volontario».
La sanità è cambiata radicalmente dai tempi di 'ER'. Non succede solo negli Usa, e per questo va dato merito a Sky che trasmette finalmente la serie più premiata dell’anno. «Sono rimasto scioccato nel constatare che questo è stato il primo anno in cui non sono stati assegnati tutti i posti in medicina d’urgenza; Dopo il Covid, sono rapidamente diminuiti. È stato sorprendente, confrontandosi con gli esperti, toccare con mano quanto sia grave la situazione: la crisi dei letti, la carenza di infermieri, i tagli dall’alto». Medici reali hanno seguito ogni fase della produzione e molti degli attori secondari lavorano davvero in ospedale.
Ma l’iperrealismo di The Pitt deriva soprattutto dalla scelta di girare in presa diretta: «Ciò che rende unico il pronto soccorso è che il tempo è essenziale - argomenta Wells - Per trasmettere cosa significa davvero essere lì, il modo migliore era seguire i medici durante le loro ore di lavoro. In pronto soccorso sei lì per otto, dodici, quindici ore, e l’operatore viene interrotto ogni due o tre minuti. Così possiamo catturare quella sensazione reale e viscerale».