l'intervista
Da Firenze a Catania, il direttore artistico del Teatro Stabile: «Ripartiamo dalla relazione con la città, nessuna unione con il Biondo»
Marco Giorgetti spiega le ambizioni del suo lavoro. Dalla possibilità di riaprire una scuola di teatro: «Dobbiamo cercare il nuovo Ferro». All'apertura internazionale: «Un laboratorio per un teatro del Mediterraneo»
Punta a un teatro del Mediterraneo che faccia di Catania il centro di una mappa culturale che colleghi il Nord Europa all’Africa, il progetto del nuovo direttore artistico del Teatro Stabile di Catania, Marco Giorgetti. Un disegno che vuole coinvolgere star e teatri di altri Paesi per costruire un «Laboratorio Catania per un teatro del Mediterraneo», come sottolinea più volte. Fiorentino, 65 anni, una lunga esperienza come manager, è stato direttore del Teatro La Pergola di Firenze, poi Teatro nazionale, per circa 20 anni. E’ stato anche direttore organizzativo e tecnico de “Les Italiens” con Scaparro a Parigi nel 2003, e direttore generale dell’Eti nel 2004.
Marco Giorgetti - che subentra a Graziano Piazza, dimessosi a maggio – nei mesi scorsi è stato protagonista di uno scontro politico al Teatro della Toscana dopo la nomina a direttore artistico di Stefano Massini, scrittore e drammaturgo. Il cda della Fondazione fiorentina (dove Comune e Regione, Pd, hanno la maggioranza) ha deciso di chiudere prima il mandato di Giorgetti, che scadeva nel 2027, nonostante la difesa del ministro Giuli. Il Teatro della Toscana è stato declassato da Teatro nazionale a Teatro della città e Giorgetti è stato nominato a Catania.
Viene da un Teatro nazionale perché ha accettato di dirigere Catania?
«Lo Stabile ha una storia formidabile e oggi è una realtà solida, dopo periodi non sempre semplici. C’è stato un grande lavoro del Cda, delle istituzioni, di tutti coloro che si sono mossi per mantenere l’integrità di un teatro che negli anni 80-90 era tra i più importanti d’Italia. Da questa base concreta, di tradizione e prestigio, può decollare».
Non fa da zavorra il debito pregresso dell’ente?
«La struttura del bilancio è fatta in modo tale da garantire il mutuo. Ripeto, la base è solida, sana. E ringrazio i direttori precedenti e Graziano Piazza. Il teatro ha grandissime possibilità. Sto lavorando a un piano industriale che presenterò al Cda».
Su quali linee intende muoversi?
«Il teatro opera in una città e da questa relazione bisogna partire. Sono entusiasta, ho scoperto una città dalla straordinaria vivacità culturale: librerie, cinema, centri culturali, associazioni, numerose attività teatrali. Una città dove il teatro si respira. E con spazi magnifici: il cortile Platamone, il teatro greco romano, i Benedettini. La forza del progetto è entrare in relazione con questo tessuto civile e sociale da cui possono nascere idee, proposte per riaffermare un teatro del Mediterraneo, al centro delle rotte fisiche e culturali che dialogano con l’Europa, come con l’Africa e l’Oriente».
Pensa di proseguire il forte legame con gli autori siciliani, da Brancati a Sciascia a Camilleri, che ha segnato la storia dello Stabile etneo?
«Quasi tutto quello che è successo nella cultura del 900 è accaduto qui. E qui è nata la radice del teatro, del mito, un patrimonio che va esplorato con mezzi nuovi. In questo senso credo siano utili gli strumenti sperimentati con partner internazionali con cui ho lavorato in Toscana. Penso alla Carta 18-XXI scritta nel 2018 al Théâtre de la Ville di Parigi diretto da Emmanuel Demarcy-Mota. Per parlare di radici e territorio superando i confini».
Come trovare risorse per questi progetti internazionali?
«Grazie ai partenariati con l’estero, si può accedere a fondi europei e al Piano Mattei. Con partner da Parigi a Oslo e Lisbona, dal Kosovo al Sudafrica anche nell’ottica della candidatura di Catania come Capitale italiana della cultura 2028, la città che è al centro di tutte le rotte del Mediterraneo, al centro dell’Europa».
Proprio ieri ha incontrato alcune scuole per presentare la stagione.
«Vogliamo partire dalla nuove generazioni, dagli studenti. Lo Stabile deve tornare a essere il luogo per eccellenza dove si può creare qualcosa. Per esempio, dando accoglienza a una star che vuole realizzare un suo progetto, magari un’Odissea e che a Catania può trovare un teatro, spazi diversi, attori con cui lavorare. Un nome? Troppo presto per farlo, ma l’idea è che lo Stabile sia un laboratorio di cambiamento del modo di fare teatro. Riportando al centro il teatro degli attori e degli autori».
Pensa di riaprire la Scuola di teatro?
«Cosa può fare uno Stabile catanese se non cercare il nuovo Ferro? Qui c’è stato un teatro vero e una scuola importante. Speriamo di riaprire la Scuola per dare agli attori la possibilità di formarsi, una formazione costante».
Da tempo si parla di unire il Biondo di Palermo, che punta a diventare Teatro nazionale, allo Stabile etneo.
«Sgombero il campo categoricamente da qualsiasi ipotesi: il mio progetto è Catania. Nel mio mandato non c’è nessun cenno da parte dei soci al Teatro nazionale con Palermo. Sono stato incaricato di fare il direttore allo Stabile di Catania che ha una tradizione diversa da quella di Palermo».
Non c’è un cenno dei soci, ma possono esserci scelte politiche diverse.
«Credo che la discussione sia un po’ prematura, Catania e Palermo saranno Teatri delle città fino al 2028. A metà del 2027 ci sarà un nuovo Codice in cui probabilmente non esisteranno più i teatri nazionali e potrebbero esserci molti cambiamenti. La politica in futuro farà le sue scelte. Oggi c’è grande collaborazione con Palermo e con Messina. È un gioco di squadra, e ciascuno è un giocatore a sé».