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Così i carabiniericombattono i trafficanti di opere d'arte

Così i carabinieri combattono i trafficanti d’arte

Dalle fabbriche del falso nel catanese, alle vendite su ebay. Da 46 anni è caccia a un Caravaggio. Il racconto del capo del nucleo di tutela del patrimonio culturale

Di Fabio Russello |

Laboratori in provincia di Catania specializzati nella fabbricazione di false monete della Magna Grecia da rivendere a sprovveduti collezionisti o tombaroli del Siracusano che, per non dare nell’occhio, vendono ad uno ad uno – anche su Ebay – i reperti, questi sì veri, razziati in chissà quale area archeologica siciliana. C’è pure questo nella lotta – sempre meno impari – che i carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale conducono ogni giorno contro i trafficanti di opere d’arte e di reperti archeologici. «Il trend di furti – ha spiegato il comandante dei carabinieri del Tpc siciliano, il maggiore Luigi Mancuso – è in costante discesa. L’anno scorso ci sono stati solo 25 furti di beni culturali, la metà dei quali nelle chiese. Ma la nostra attività è particolare perché è sì importante trovare chi ruba, ma è anche altrettanto importante trovare ciò che è stato rubato. Nel 2013 il valore stimato del traffico di reperti è stato di oltre 2 milioni e pure quest’anno (c’è stata un’importante operazione a gennaio, ndr) siamo oltre i due milioni». Un mondo parallelo che in genere opera nell’ombra e che solo pochi giorni fa, con l’assalto al museo di Castelvecchio a Verona con il furto di 17 quadri, tra cui dei Tintoretto e dei Mantegna, ha fatto di nuovo parlare di sé.  

Ma in Sicilia è diverso e la vita dei tombaroli è sempre più dura: intanto perché vi è ormai un archivio on line (c’è persino una App che, fino ad un certo livello, è accessibile a tutti) che consente di verificare in tempo reale se quel reperto sia detenuto o meno legalmente e se sia stato rubato da qualche parte. Senza contare che i carabinieri del nucleo di tutela del Patrimonio fungono anche da «consulenti» per la strutture museali siciliane che, non a caso, sono ritenute tra le più sicure del Paese. «E c’è anche un controllo attento – ha spiegato il maggiore Mancuso – pure nei mercatini dell’antiquariato sul rispetto delle norme su tracciabilità. Anzi, se un privato ha qualche dubbio basta che lo chieda a noi: attingendo alla banca dati ci accorgiamo subito se si tratta di opere trafugate. È un ottimo deterrente perché chi ha questi beni sa che non può esporli».  

Ma ovviamente la banca dati non può contenere ciò che viene trafugato dai tombaroli dai siti: «In Sicilia – spiega subito il maggiore Mancuso – c’è un traffico molto vivo e fiorente. I compratori sono sia in Italia che all’estero dove le norme sono meno restrittive». Sbagliato pensare al tombarolo come il balordo della domenica e basta. Il traffico è invece piuttosto organizzato perché i tombaroli – e questo è emerso in tutte le indagini dei carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio culturale – sono solo l’ultimo anello: «Sopra – ha spiegato il maggiore Mancuso – ci sono ricettatori di zona che molto spesso sono legati a ricettatori di livello più elevato. I beni razziati raramente restano in Sicilia. Vanno verso il Nord Italia o spesso all’estero. E se si riesce a farli partire dalla Sicilia è facile farli sparire perché non sono nella banca dati e abbiamo visto casi in cui ci sono anche soggetti compiacenti che attestano che provengono da una collezione».  

Quest’anno il nucleo Tpc ha messo a segno una grossa operazione Demetra coordinata dalla Dda di Caltanissetta che ha dimostrato come i tombaroli preferiscano scavare non solo nelle aree meno note ma anche nei terreni privati: «Ci sono stati casi di vasi trovati chissà dove e rivenduti anche a 20 mila euro». Un flusso che è continuo e che provoca un danno non solo materiale perché ci sono reperti che lasciano per sempre la Sicilia, ma anche un danno scientifico perché i tombaroli quando scavano non hanno – per usare un eufemismo – alcuna cura per il sito. Ma al collezionista questo non interessa. E’ una sorta di “patologia” perché ama detenere reperti che nessuno può vedere. C’è chi li tiene nascosti dietro false pareti, chi nei doppi fondi degli armadi.   Con l’operazione Demetra è stata trovata gente in Piemonte con migliaia di monete tenute nascoste. Tutta gente molto facoltosa e perfettamente cosciente della provenienza illecita degli oggetti detenuti. E i siccome i trafficanti sanno di questa passione irrefrenabile, mischiano ai reperti veri, anche quelli falsi, confusi con gli autentici in modo da aumentare i profitti. Soprattutto tra i falsi ci sono le monete, che possono avere anche un grande valore: un paio di anni fa, per esempio, in un’asta inglese un decadramma (autentico) di Akragas fu battuto a un milione di euro.  

E poi c’è anche la caccia ai reperti rubati. Molti di essi sono pressoché sconosciuti, perché si tratta di oggetti trafugati nelle chiese – soprattutto pissidi – ma ce ne sono anche alcuni di enorme valore. Il più «noto» è la Natività con la Madonna, San Francesco e San Lorenzo attorno al Bambin Gesù di Caravaggio, dipinto nel 1609 e trafugato a Palermo nell’ottobre del 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo. Un furto attorno al quale sono fiorite un sacco di storie e dove, ovviamente, la mafia c’è entrata con tutti e due i piedi. Diversi pentiti ne hanno parlato. Francesco Marino Mannoia per esempio nel ’96 raccontò di come quella tela fu strappata con un coltello affilato dalla cornice e che poi sarebbe sbriciolata mentre i «picciotti» cercavano di arrotolarla. Un altro pentito, Vincenzo La Piana, nipote del boss Gerlando Alberti, dà un’altra versione e dice che il quadro sia finito in qualche collezione privata di qualche padrino. Racconta che Alberti nel ‘73 portò la tela a Milano per cercare di venderla a un collezionista svizzero. Ma c’è anche chi sostiene sia stata perduta nel terremoto dell’ Irpinia di 35 anni fa dopo un trasferimento in Campania e altri ancora che si sia sbriciolata nella stalla in cui è stata nascosta arrotolata per anni. Addirittura c’è chi ne parlò come quadro da donare a Giulio Andreotti. Qual è la verità? «Stiamo indagando e non le dico di più» ha chiosato il maggiore Mancuso.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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