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Brigantony e Catania:«Se la Plaia fussi come Rimini meno liscìa, più lavoro»

Brigantony racconta la sua Catania: «Se la Plaia fussi Rimini meno liscìa e più lavoro»

Intervista con la star catanese della musica dialettale popolare: la sua ricetta per la città

Di Carmen Greco |

Al ritmo di «Mi stuppai ’na Fanta» ha messo d’accordo tre generazioni. Nonni, padri e figli che, più che suoi fan, sono dei veri “cultori” del genere. Perché Antonino Caponnetto meglio conosciuto come Brigantony è egli stesso un «genere». Sdoganato anche da Fiorello che nel suo spettacolo gli ha reso omaggio definendolo “inarrivabile”. Catanese doc, nativo di Cibali, l’immagine della sua infanzia è legata alla mamma e alla nonna che andavano a sciacquare i panni al lavatoio di Cibali».

E oggi che città vede Brigantony? «Diciamo che ci sono stati molti cambiamenti rispetto agli Anni Ottanta, quando alle 8 di sera c’era il coprifuoco, per colpa di tutta sta’ gente che rovina la Sicilia. Per loro sarà un sistema di lavoro, però… ».

Stiamo parlando dei mafiosi? «E di cui allora? Anche se a me a volte capita di fare delle serate, però si comportano bene… ».

Ma lei lo sa chi sono quando li incontra? «Certo che lo so, e loro sanno chi sono io».

E come ci si rapporta? «Si parla di altre cose, più che altro, dei posti in cui vado a fare i concerti, la Germania, l’Australia… ».

Catania, quindi, come la vede? «E’ la politica che è sbagliata, noi abbiamo una terra bellissima ma la politica non se ne rende conto e continua con le sue solite storielle. Dicono che non ci sono mai soldi, invece il benessere potrebbe crescere molto di più con il turismo. I posti dove portare i turisti ci sono, è la mentalità che deve cambiare, forse tra 20 anni ci riusciranno i giovani, ho fiducia in loro».

I giovani che vengono ai suoi concerti? «Certo. Io li vedo nelle piazze. A questi ragazzi piace il dialetto, penso di avere “azziccato” il filone giusto».

Perché i suoi testi toccano le corde del catanese marca Liotru? «Io penso che la cosa che piace di più è, ripeto, il nostro dialetto: secco, senza strascichi. Anche i palermitani si divertono con le mie canzoni».

Secondo lei qual è il problema più grave di Catania? «Non lo so, forse lo stesso sindaco che abbiamo. Quando fu sindaco per le prime volte tutti parlavano di lui, c’è stato un cambiamento favoloso. Ora Catania è cambiata, non si può negare, però si potrebbe fare molto di più».

Per esempio? «Abbiamo la litoranea della Plaia che è un sogno. S’immagina questa Plaia che arriva fino ad Agnone Bagni come Rimini? S’immagina quanta gente troverebbe lavoro? L’acqua a Rimini fa schifo, lo sanno tutti, ma loro ci sanno fare, sono gentili veramente, perché sanno che vivono di turismo. Figuriamoci cosa si potrebbe fare qui con il nostro bellissimo mare e l’aeroporto a un passo. Gli stranieri verrebbero a farsi il bagno anche d’inverno».

In città dove le piace fare una passeggiata? «Il lungomare, mi ispira tanto, forse perchè sono spesso lontano. Quando arrivo a Catania dopo un concerto all’estero dico sempre Ahhhhhh, arrivai ‘a casa».ù

Quanto sta fuori città durante l’anno? «Per fortuna mia spesso, Brigantony ccì nn’é unu… ».

Che catanesi trova all’estero? «Cominciano a parlare di Catania, anche se sono della provincia, ma io me ne accorgo da come parlano «Tu di Catania Catania nun sì! ». Ma non ci sono solo catanesi, in America, Argentina, Australia, ci sono tantissimi siciliani emigrati. Si putissuru riempire due Sicilie, e menu mali ca stannu ddà, altrimenti n’intappassimu i testi unu ccù l’autru».

Anche lei è stato emigrante. «Si appena sposato, anche per questo accetto sempre gli inviti all’estero. Dove arrivo arrivo, mangio spesso in casa degli italiani che sponsorizzano i miei concerti. I padri parlano ancora il dialetto stretto, i figli un siciliano maccheronico».

Com’è nata la scelta di cantare in dialetto catanese? «La prima canzone in dialetto non l’ho scritta per me, ma per un personaggio che c’era a Catania negli Anni Ottanta che si faceva chiamare “Ciccio pasticcio”. Imitava Franco Franchi e faceva dei nastri, la gente era convinta che fosse Franco Franchi ma quello faceva solo l’attore. Un giorno mi vide ad una serata e mi chiese di scrivergli una canzone. Io all’epoca ero appena sposato con un figlio piccolo e non sapevo cosa scrivere, ero anche lontano da quel modo di fare musica, scrivevo in italiano ed ero rockettaro. Però suonavo con un gruppo per racimolare qualche lira e non mi pagavaA no mai oppure mi pagavano quannu vulevunu, non c’erano contratti, si lavorava al nero, Catania cresceva così in quel periodo. Chi aveva due soldi, all’epoca, si isava na casuzza. Avevo sempre pinzeri. Una sera tornando a casa pinsai di scrivere su quello che capitava a me e ho deciso di fare un pezzo sulla mia vita. Così nacque “Amara cu si marita” il mio primo successo».

Come fa? «Amara cu si marita, amara cu si ni fui, si mette ‘nmenzu imbrogghi e non si leva cchiùi; su càpiti a mugghieri ca non sapi sgavitari, no giru di tri misi ti po’ abbiari ‘a mari… ». Era un linguaggio diverso dalle canzoni siciliane di allora che erano solo a ritmo di tarantella».

C’è una piazza a Catania che sente più “calda” quando fa le serate? «Mah, le piazze sono tutte le stesse, avendo ormai un po’ di mestiere, con un colpo d’occhio, so già con quale canzone devo partire?

Però ne fa pochi concerti in città, perché? «Picchì ci volunu ‘i soddi. Ci sono i Brigantini, ma loro fanno i pub, io non posso, i genti unni i mettu? ».

Quanta liscìa c’è nei suoi testi? «La liscìa fa parte del carattere. Il catanese è così, non lo puoi cambiare. Ha dei modi di fare tutti suoi».

Cosa non le piace del carattere dei catanesi? «Mah, ci sono tante Catanie in base ai lavori che si fanno. U muraturi ha il suo modo di essere, si passa ‘a sirata manciannu carni di cavaddu e s’addiverte, poi mi capita anche di essere invitato in ville di avvocati, magistrati, dutturi ma non mmi nni fannu iri cchiù… ».

E lei in quale Catania si trova più a suo agio? «Mi piace sia l’una che l’altra, certo nella prima c’è molta più ignoranza, nell’altra c’è gente che ha studiato e Brigantony è visto in un’altra maniera. Ma fondamentalmente io di cose negative non ne vedo, forse perché, in realtà, quando passeggio per la strada, tutti mi salutano e mi vogliono bene. Se vado alla pescheria non mi pozzu moviri, mi fermunu tutti».

Ce l’ha un suo posto del cuore a Catania? «Ce ne sono parecchi, mi piacciono i mercati. Per me la Fiera non ha niente a che vedere con la Pescheria, sono due mondi diversi. La cosa che mi preoccupa di più è l’invasione dei cinesi».

In che senso? «Ce ne sono tanti e ne arriveranno molti di più, questi qui prendono un magazzino e se lo comprano».

Sì, ma chi glieli vende i magazzini ai cinesi? I catanesi. «Cettu! Soddi non ccì n’è cchiù. Arrivanu chisti cche soddi… »

Così è la globalizzazione. «Sì, ma chisti sù na piaga, io già l’ho visto in America».

Vuol dire che se i cinesi la invitano per una serata non ci va? «C’hai a ffari qualcosa ppì iddi, veru? 

Secondo me sì. «Picchì, s’uccattassunu ‘u me’ discu? ».

Magari ci fanno un’imitazione in cinese…  «Iddi cumannunu, chisti s’accattunu macari i mura… ».

Lei ha un seguito enorme, le hanno mai proposto di presentarsi alle elezioni? «Una volta sono stato candidato con una lista dell’avvocato Lipera e pigghiai anche voti, ma non mi ricordo quanti. Però i catanesi mi votano sempre alle elezioni, ogni volta ci sono delle schede nulle con scritto sopra Brigantony».

Domani la eleggono sindaco, cosa farebbe come prima cosa? «Ma cchì sacciu? Farei qualcosa per il lavoro, tutti i giovani se ne vanno, cercano strade diverse. Anche se hanno le scuole vanno via. Fuori magari fanno i camerieri, ma per loro è sempre meglio che restare qui».

La Catania del futuro come se la immagina? «Ci vulissi ‘a bacchetta magica. S’è fatto tanto, ripeto, ma a volte non mi piace lo spreco di soldi. Si aspettano sempre i voti per fare le cose e ognuno pensa al proprio interesse personale, invece che l’interesse per gli altri. «Accuntu m’aggiustai iù», questo è quello che pensano i politici quannu acchianunu. Lo so perchè ho avuto che fare con loro. Mi chiamavano per le serate solo per “raccogliere” persone».

Per esempio? «Una volta hanno fatto un concerto in più serate alla Villa Bellini per raccogliere fondi a favore delle famiglie dei ragazzi della scorta di Borsellino. C’erano anche altri cantanti, ma io, in una sola serata, gli ho fatto incassare 40 milioni di lire di allora. Il sindaco Bianco era presente e rimase impressionato dalla folla che c’era al mio concerto. Ricordo che per quella serata ho ricevuto anche delle critiche: “Brigantony, cchi cci fai ‘a sirata ai sbirri? ”. Gente ignorante. Ma che c’entravano quei padri di famiglia ca sautanu ‘nta l’aria mentre faceunu ‘u sò dovere? Che colpa ne avevano? ».

Il prossimo concerto in città? «Boh, vediamo. Abbiamo fatto un concerto al Tondo Gioeni “A pranzo con Brigantony”, erano tutti universitari, una cosa strana ma bella, con gente educata che si è divertita veramente. Che so, si potrebbe fare “Notturno con Brigantony” in centro storico, dove c’è il Teatro Massimo, là fino alle due di notte è sempre pieno di genti».

Una sua canzone per Catania, quale le dedicherebbe? «Mah, è difficile scegliere, forse “Paparedda do me cori”».

E’ tifoso del Catania? «Tantissimo».

E quest’anno che gliene pare? «Purtroppo i calciatori prima di correre vogliono i soldi, senza i soddi ‘u palluni non camina. Quando c’era Pulvirenti ha fatto quello che ha fatto portando il Catania in serie A. Il successo si può fare, ma la bravura è mantenerlo».

E lei come fa? «Con i piedi per terra, l’onestà nei confronti degli altri e l’umiltà».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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