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Tesori di Sicilia, ecco perché il futuro possibile è la co-gestione tra pubblico e privato

Di Gianluca Reale |

CATANIA – «Il 2030 è una data iconica, uno straordinario orizzonte temporale per avere il tempo di sviluppare progetti sui beni culturali e vederne gli impatti sociali».  Parola di Francesco Mannino, presidente di Officine Culturali, anni di esperienza sul campo – al Monastero dei Benedettini di Catania – nella gestione del patrimonio culturale che nasce da un rapporto tra pubblico e privato. È qui che si gioca la scommessa del futuro, d’altronde, per un settore pubblico che nella gestione diretta spesso annaspa lasciando troppi beni non fruibili e un privato che fino ad ora ha agito in un regime concessorio, con l’idea – insita anche nel pubblico – del generare profitto. Idea che non sembra avere effettivamente pagato.

«Guardando al 2030 – dice Mannino – serve un cambiamento di paradigma. Pur non essendo stata cancellata la logica della concessione, nuovi strumenti normativi e orientamenti del ministero permettono di cambiare l’approccio avviando partenariati pubblico-privati per valorizzare il bene culturale anche dal punto di vista sociale». Insomma, occorre superare l’idea erronea di valorizzazione come sfruttamento economico del bene, come se i bookshop e gli altri servizi aggiuntivi potessero risolvere tutti i problemi. E questo, secondo Mannino, prefigura «un futuro di co-progettazione e co-gestione, in cui il pubblico mantiene un ruolo determinante di indirizzo e il privato non è necessariamente la grande azienda, ma può essere un’organizzazione non profit, impresa sciale, cooperativa, fondazione o semplici cittadini che si propongono per garantire la fruizione sociale del bene».

Nuovi strumenti normativi e orientamenti della pubblica amministrazione applicabili anche in Sicilia. Un modello nuovo auspicato anche da chi, come Coopculture, ha deciso di investire a Palermo e Agrigento. «Il nostro impegno – dice la presidente Giovanna Barni – è essere non solo il concessionario di servizi aggiuntivi, ma uno dei soggetti protagonisti dello sviluppo sostenibile territoriale a base culturale. Ci piacerebbe che venissimo sempre più considerati, giudicati e monitorati per questo. È importante considerarci come una leva per muovere una filiera più ampia. Mettere un volontario forse costa meno, ma non produce i benefici che dà un lavoro qualificato e di qualità, anche sposando innovazione, nuove tecnologie, networking, collaborazione con gli attori del territorio. Serve sempre più una governance mista tra pubblico e soggetti qualificati che operano in questo settore».

Innovazione, guardando al futuro, è anche impiego di nuove tecnologie. «La tecnologia è fondamentale, ma dobbiamo essere noi a utilizzarla per costruire percorsi comunicativi attrattivi per il visitatore ed educarlo maggiormente al patrimonio culturale», dice Daniele Malfitana, direttore dell’Istituto beni archeologici e monumentali del Cnr, ente che si mise in campo per una gestione innovativa dell’anfiteatro romano di Catania. «L’operazione anfiteatro dopo un anno si è conclusa, noi non avremmo potuto proseguire, ma abbiamo voluto trasmettere alla politica un modello che siamo sicuri potrebbe funzionare nel rapporto col privato, purché si garantiscano tutela del bene e sostenibilità economica».

In attesa di sviluppi, magari entro il 2030, ci sono già casi in cui una partnership tra pubblico e privato sta funzionando anche in altre forme. Chi guarda al futuro prossimo venturo è sicuramente la realtà di Troina, nell’ennese. «Stiamo sperimentando la collaborazione tra pubblico e privato su grandi temi coinvolgendo famiglie originarie del territorio», dice il sindaco Fabio Venezia. Così una famiglia ha donato un quadro di Tiziano alla città, un’altra un carteggio inedito di un loro antenato con Mazzini e Garibaldi, un’altra famiglia 9 opere d’arte contemporanea e un’altra ancora ha creato una fondazione, ha chiesto al sindaco, da cittadino, di presiederla e ha acquistato 62 scatti inediti di Robert Capa. «Entro l’estate – dice Venezia – apriremo il nuovo museo e la nostra scommessa è tutta qui: mettere insieme pubblico e privato per rilanciare i piccoli borghi come meta di turismo culturale».

Chi, privato, ha avviato autonomamente un’operazione sulla memoria coinvolgendo poi il pubblico è la Fondazione Oelle. «Guardiamo a un futuro che lavora sulla memoria, perché dove non c’è memoria non si costruisce nulla. Sul progetto Area 43 – dice la presidente Ornella Laneri – ci sono unicità e progettualità reali che hanno potenzialità di arricchire il territorio e c’è stata risposta dai Comuni. A partire da Palermo per finire a Noto, con l’intento di creare una rete e una collaborazione dove il privato è “garante” che quel progetto si farà». Un lavoro avviato che può dare frutti concreti in dieci anni «se lavoriamo sulla comunicazione e sull’idea dell’associazione temporanea di scopo tra privati e Comuni, anche sul fronte della ricerca dei finanziamenti», aggiunge Laneri.

Un’altra fondazione in pista è Radicepura. «Dal 27 aprile a Giarre – dice Mario Faro, vice presidente – si aprirà una nuova edizione del festival per promuovere la cultura del paesaggio, connessa alla salvaguardia e allo sviluppo del territorio. Saranno qui per 6 mesi grandi nomi del paesaggismo internazionale, aziende locali, istituti culturali e settore pubblico intorno a un tema che per la Sicilia dovrebbe essere prioritario. Spero che da qui al 2030 la possibilità di agire in questa direzione diventi una prassi consolidata di più fluida collaborazione tra le parti, per rendere le aziende agricole luoghi produttivi, sia nel turismo che in ambito culturale».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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