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Tra Halloween e nuove usanze, quel che resta dei “nostri” Morti

Di Santo Privitera |

C’era una volta la festività dei Morti. Sembra l’incipit di un fiaba ma non è così. Non sappiamo nemmeno se ci sarà un lieto fine. Intanto notiamo un progressivo decadimento delle tradizioni legate ai defunti. La festa di Halloween, che si celebra il 31 ottobre e che non c’azzecca niente con i nostri usi e costumi, sembra averla soppiantata. E’ entrata a far parte anche della nostra cultura, piace a molti e vengono organizzate numerose feste a tema. Seppure c’è chi storce il naso quando ne sente parlare, Halloween è una tradizione anglosassone che da diversi anni a questa parte è stata accolta anche in Italia come occasione per dare libero sfogo alle più macabre fantasie.

Il mondo cattolico appare impotente di fronte al radicamento di questo “rito carnevalesco” fuori stagione che ormai attira giovani e meno giovani. Cambiano i tempi, cambiano i gusti e le mode. Una volta “i motti” si aspettavano con trepidazione. Quella notte tra l’1 e il 2 novembre era attesa per tutto l’anno. I bambini aspettavano l’arrivo dei regali portati dai defunti, facendo bene attenzione a non aprire gli occhi. In caso contrario, una bella grattata di piedi sarebbe stata per loro la dura punizione.

Un fucile, una bicicletta, un pallone da calcio o un paio di scarpe nuove, per i maschietti erano sempre i ben accetti. Per le femminucce, invece, la bambola, la cucina in miniatura o una gonnellina da indossare la domenica potevano bastare. Negli anni ’60 i mattoncini Lego orientarono i gusti verso scelte più costruttive. “Armi Santi, armi Santi” – ripetevano sottovoce i piccoli in trepidante attesa – “iu sugnu unu/a e vuautri tanti: mentre sugnu ‘nta stu munnu di vai, così di motti mittitimminni assai!”.

I ragazzi oggi reagiscono con sarcasmo quando si parla dei doni “lassati de motti.” Non riescono a comprendere come mai i coetanei di una volta si facessero “‘mpapucchiari” in questo modo dai parenti. “Logicu – dice il più giudizioso – ‘na vota i picciriddi nascevunu ccu l’occhi chiusi e ppi 40 jorna stavunu ‘nfasciati”. Giusta osservazione. E c’è da aggiungere che in età pre-adolescenziale vestivano pure con i calzoni corti.

Oggi ci sembra di vivere in tutt’altro mondo. Resistono solo le abitudini gastronomiche: Ossa ‘i mortu, ‘nzuddi” rami ‘i Napuli, Totò (con la classica glassa bianca o al cioccolato). Mancano “‘i pupi ‘i zuccuru” soppiantati già da tempo dalla frutta martorana (‘a pasta reale).

Andando a ritroso nel tempo, Novembre era “‘U misi ‘de Motti”. Tanto per cominciare, in questo mese dove per “San Martino ogni mosto diventa vino”, erano da evitare i traslochi. Non sappiamo quanti osservano ancora tale usanza ma, secondo i nostri nonni, non portava bene cambiare casa in questo periodo: “I mutticeddi” non ne sarebbero stati affatto contenti.

“Doppu ‘e motti ni parramu” era il comune detto di chi voleva rimandare scadenze e impegni vari. Poi all’arrivo di dicembre, lo stesso diventava: “All’annu novu ni parramu!”

Visto che di morti si parla, si va al cimitero a depositare un fiore sulla tomba dei propri cari ma, nel frattempo, tra un vialetto e l’altro, si trova il tempo per curiosare tra le sepolture. La data di nascita e di morte, oltre alle foto del defunto, sono le prime cose che saltano agli occhi. Ognuno azzarda le proprie considerazioni: “Bihhh! Chistu era giovane: poviru figghiu/a! Eh! ’a motti è crapicciusa: Lassa ‘a vecchia e pigghia ‘a Carusa!”. Diversamente, si va per le spicce: “… Ci vulissimu Campari nuautri!”. Le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Capita purtroppo di riconoscere tra quelle foto, amici e conoscenti con i quali si erano persi i contatti.

Gli osservatori più acuti commentano gli epitaffi. In quasi tutte le tombe ce n’è uno. Sono scritte intense, dettate dal cuore e dal dolore; riescono a commuovere anche perché molti di essi contengono teneri messaggi e considerazioni sul senso della vita. C’è di che meditare. “A vita è ‘na livella: nu re, nu magistratu, nu grand’uommo, trasennu stu canceddu ‘a fattu ‘u cuntu ca ‘a persu tuttu: a vita e pure ‘o nuommo (…)” scriveva nel 1964 il grande Antonio De Curtis in arte Totò . Varcando i cancelli del camposanto si ha la sensazione di entrare in una dimensione “altra”. Da qui i tanti suggestivi racconti spiritici sbocciati tra le sepolture.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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