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Così a Catania il culto di Agata soppiantò quello di Demetra e Core

Di Pinella Leocata |

A Catania il culto di Agata ha soppiantato quello di Demetra e Core, il culto più importante e diffuso nella Sicilia di età greca e romana. A illustrare questo passaggio è un interessante studio dell’archeologo Fabio Caruso, ricercatore Ibam-Cnr, pubblicato qualche anno addietro in un testo che la Giunti ha dedicato alla Patrona di Catania: «Agata santa. Storia, arte, devozione».

Nella sua analisi il dottor Caruso parte dallo studio di un rilievo che rappresenta Demetra e Core, la dea dell’agricoltura, Cerere per i romani, e la figlia Persefone che, rapita dal dio dell’oltretomba, ritorna sulla terra ogni primavera dopo le ricerche e le suppliche della madre. Un reperto ritrovato negli anni Trenta del secolo scorso durante alcuni lavori effettuati in piazza Santa Nicolella, dove oggi ha sede la questura di Catania, cioè in una zona non lontana da dove sorgeva il santuario di Demetra/Cerere di cui parla Cicerone e la cui presenza è confermata dal ritrovamento, in via dei Crociferi non lontano dalla chiesa di San Francesco all’Immacolata, di una stipe votiva dove erano raccolti i doni offerti alla dea. E’ probabile, dunque, che il rilievo facesse parte delle offerte votive consacrate alle dee nel loro santuario.

Lo studioso – a partire dall’analisi stilistica del manufatto di produzione attica – ritiene che il rilievo provenga da Atene e lo data intorno agli anni ’20 del V secolo avanti Cristo (mentre la dedica sarebbe successiva), cioè negli anni in cui, con la spedizione del 415 a.C., Catania si alleava ad Atene per contrastare la dorica Siracusa. Questa offerta votiva, dunque, sarebbe anche “espressione o sintomo del legame stretto in questa occasione fra le due città di stirpe ionica”.

Ma un altro particolare è degno di nota: il rialzo del terreno con al centro un foro che si nota ai piedi di Core. Interpretato come un altare, un pozzo, un focolare, o come l’ingresso all’Ade, secondo Caruso – che si rifà ad una prima intuizione di Libertini – rappresenta il cratere dell’Etna lungo le cui pendici, nella versione di Diodoro Siculo, Demetra iniziò la ricerca della figlia dopo avere acceso le fiaccole nelle bocche infuocate del vulcano. E anche questo associare le dee di Eleusi all’Etna sarebbe un modo per sancire e celebrare l’alleanza tra Catanesi e Ateniesi.

Ed è a questo punto che si cominciano ad intravedere le prime tracce del passaggio dal culto di Demetra a quello di Agata che sostituirà le antiche dee eleusine a partire dal controllo dell’attività dell’Etna e dei suoi fenomeni eruttivi. Non solo. «Negli atti greci del martirio – scrive l’archeologo Fabio Caruso nel suo saggio – si narra che ad Agata, condotta a forza dai soldati verso il giudizio, si sciolse un calzare». E, quando si voltò e si rese conto di essere stata abbandonata dai suoi, in quel posto nacque un oleastro.

«La tradizione ha enfatizzato la nascita miracolosa della pianta, mettendo in ombra il tema della scarpa slacciata che, se messo a fuoco, appare invece una delicata rielaborazione del motivo del “monosandalismo”, un costume che nel mondo greco e romano è il marchio delle figure in procinto di accedere a prove iniziatiche o comunque ad una dimensione “altra” dell’esistenza, che proprio nella regione etnea sembra connesso a pratiche rituali di morte e resurrezione simbolica legate a Demetra e Persefone. Non a caso il gesto segna il distacco di Agata dalla sua gente e l’inizio del percorso solitario verso il martirio». Di più. «Anche il motivo del supplizio al seno (…) sembra proporsi nel segno della continuità rispetto ad una certa immagine di Persefone maturata negli ambienti della grecità di Occidente: in alcune laminette orfiche si cita infatti esplicitamente il seno di Persefore al quale l’iniziato ai misteri deve accostarsi per succhiare il latte dell’immortalità».

Ancora. Da Cicerone sappiano che le feste in onore di Demetra e Persefone avevano il carattere particolare, unico, di consentire l’accesso al santuario e ai riti misterici sia alle vergini sia alle donne sposate. Una particolare vicinanza all’universo femminile che è propria anche del culto di Agata. Negli atti del martirio della patrona di Siracusa si racconta che Lucia e sua madre Eutichia si recarono a pregare sul sepolcro di Agata ricorrendo l’anniversario del suo supplizio e che questa sia apparsa loro guarendo la madre malata e annunciando il martirio alla figlia. «Non è improbabile che l’episodio, nella sua semplicità, tenga presente un modello devozionale che affonda le sue radici proprio negli antichi rituali catanesi in onore delle dee».

Infine, un’ultima associazione, per contrasto. Quando Papa Gregorio Magno, nel 593, volle sottrarre Roma al culto eretico ariano, riconsacrò la chiesa di Sant’Agata dei Goti portandovi alcune reliquie della martire grazie alle quali, secondo la leggenda, fu scacciato il maiale-demonio che si era materializzato durante la messa. «E’ significativo che Gregorio – legato al culto di Agata e con forti interessi in Sicilia – abbia scelto proprio questa bestia come protagonista del racconto. Il maiale era infatti l’animale sacro a Demetra e Core, ed occupava nei rituali delle due dee un ruolo di primo piano, testimoniato fra l’altro dalle numerose statuette con porcellino rinvenute nella stipe del santuario catanese. Considerata da questa prospettiva – conclude Fabio Caruso – la cacciata del maiale segna non soltanto la vittoria sulla superstizione ariana, ma prima ancora, e forse ancora di più, il trionfo di Agata sulle antiche dee alle quali si era sostituita».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA