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Gli ellenici catanesi: tre testimonianze che raccontano il sentimento greco

Gli ellenici catanesi: tre testimonianze che raccontano il sentimento greco

Nessuna delle tre ha votato in Grecia, ma a favore del no: «Troppa austerità dalla Troika»

Di Angela Principato |

«Mi innervosisco quando sento che dobbiamo aiutare la Grecia perché è la culla della civiltà e la patria della democrazia. Questo è un dato inconfutabile, ma quello che si dovrebbe fare è salvare la Grecia perché è uno stato della Comunità europea e la sua uscita sarebbe un danno non solo per il Paese greco, ma per tutti gli Stati membri». Le parole della professoressa universitaria Katerina Papatheu, di origine greca, ma insegnante del nostro ateneo, sono inequivocabili: la Grecia deve essere aiutata perché l’indebolimento di un Paese, a lungo andare, lo paga la comunità intera. La voce della docente si unisce a quella di altre due donne greche, un’assistente universitaria e una studentessa Erasmus, che abbiamo ascoltato per commentare il momento che sta vivendo il loro paese. Nessuna delle tre si trova in Grecia in questo momento, ma il loro pensiero è comune: il popolo greco non può più sostenere le misure che gli vengono imposte per restare in Europa.   «Questo non significa – continua Papatheu – che noi vogliamo uscire dall’Unione e neanche che il nostro Paese non debba pagare il debito, ma questo non può essere pagato sul sangue dei cittadini, perché non sono loro la causa di quello che sta succedendo». Una situazione, quella greca, insostenibile sotto tutti i punti di vista. «Il debito pubblico è salito dal 129% del 2009 al 180%, – specifica la prof – la disoccupazione è al 26%, l’aumento dei suicidi per motivi economici ha registrato un aumento del 42%, non ricordo di aver mai visto senza tetto in Grecia, adesso 20mila persone sono senza casa. I dati parlano più delle parole, alcune mie amiche, rimaste senza lavoro, con figli e senza marito, sono state costrette a prostituirsi, la situazione è veramente drammatica».   La prof. Papatheu trasmette parlando tutta la preoccupazione e la disperazione di un popolo intero, perché il non essere lì non le fa vivere il disagio pratico, ma da greca vive tutte le inquietudini dei suoi compaesani. «Essere greci – chiarisce Papatheu – non vuol dire vivere fisicamente in Grecia, la nostra è una cultura e un sentire comune. Per questo c’è una forte solidarietà tra di noi, chi riesce andare avanti aiuta gli altri e la sera non sta a casa, magari va a prendere solo un caffè perché non può permettersi altro, ma esce comunque per incontrare la comunità e vivere insieme il momento».   Poi ritorna alla situazione di questi ultimi giorni, ribadendo il concetto di una Grecia che vuole rimanere in Europa: «Il “no” al referendum non vuol dire no all’Europa, ma è un primo passo per far riflettere anche gli altri Stati sul fatto che non si può andare avanti così, perché questa non è l’Europa in cui ci riconosciamo, l’unica cosa che lega gli Stati è l’interesse economico e questo non crea un’unione vera. L’Europa deve quindi aiutare la Grecia investendo sulle sue risorse e facendo ripartire l’economia».   Anche Nikoleta Rallaki, che ora vive a Lecce, ma ha fatto il dottorato e ha lavorato a Catania, collaborando ancora con il nostro ateneo, è totalmente d’accordo con la professoressa: «Se fossi stata in Grecia in questi giorni avrei votato anche io “no”, perché le misure della Troika sono troppo austere, è vero che in Grecia c’erano dei problemi interni e tante cose andavano ridimensionate, ma non si può continuare così». Il no è quindi un no ad altra austerità, che non aiuta.   «Nessun greco andrebbe via dall’Europa – continua Rallaki – io sono figlia della Grecia europea e non posso immaginare una Grecia fuori dall’Europa, sono anche grata alla Ue perché mi ha dato la possibilità di un percorso formativo internazionale, ma è necessario aiutare la Grecia; non è ammissibile che un cittadino non può più curarsi e non può prelevare denaro dal suo conto, non si può vivere così». E chi sta toccando con mano proprio questa situazione, anche se non sul posto, è Katerina Christoforaki, una studentessa che sta facendo l’Erasmus a Catania.   «Non so bene cosa stia succedendo, ma sicuramente la situazione è complessa, c’è molta paura, sembra un clima di guerra. Io per esempio sono qui a Catania, ma non ho più potuto prelevare dalla mia carta, sono stata fortunata perché sono venute delle mie amiche dalla Grecia e mi hanno portato soldi liquidi, non so cosa avrei fatto altrimenti». Anche lei, se fosse stata in Grecia, avrebbe detto di “no” al referendum perché «non sarà la soluzione ai problemi, ma le riforme sono troppo restrittive e non fanno stare meglio il popolo greco, ma molto peggio».

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