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La favola modernadi un cataneseemigrato a Londrae diventato chef

La favola moderna di un catanese emigrato a Londra e diventato chef

«Sono partito per restare solo tre mesi e invece lì ho trovato la mia strada»

Di Alberto Cicero |

SCORDIA. «Do the right thing». Fa’ la cosa giusta. E Sergio, catanese, all’epoca 25 anni, un diploma professionale e nessuna ipotesi concreta di lavoro, nel 2008 pensò che la cosa giusta fosse andare a Londra «perché sentivo dire – spiega in un raro momento di tranquillità in Sicilia – che tanti ragazzi andavano lì anche solo per migliorare la lingua. Allora decisi di andare anch’io solo per tre mesi. Biglietto andata e ritorno. Ma quante discussioni in famiglia con papà, mamma e anche i miei fratelli. Nessuno che condividesse la mia scelta ma io ero stufo di questo sistema che non accettavo più, fatto di promesse, di parole e di un mondo del lavoro basato su escamotage e sotterfugi. Le buste paga taroccate in Sicilia sono routine».   

Un ribelle? No, probabilmente solo un ragazzo come tanti, ma con la schiena dritta, poco propenso ai compromessi. Anche oggi, a 32 anni, Sergio Vitale, ora che di cose da raccontare ne ha davvero tante, è ancora così, schietto e diretto. E poi trasuda volontà di farcela, umiltà, disponibilità a scommettersi in ogni angolo del mondo. Con un orizzonte ormai proiettato ben al di là dell’Etna e del mare di Catania.    

Ma torniamo al racconto: maggio 2008, un ragazzo di Sicilia sbarca, quindi, a Londra per stare solo tre mesi. «Sono partito con i miei soldi, biglietto andata e ritorno, da maggio a settembre. Il mio inglese scolastico non serviva a niente, così cominciai a frequentare una scuola per due ore al giorno. Mi presento a una agenzia di lavoro e già al secondo giorno mi mandano a fare una prova. Oggi, per via della crisi, non sarebbe più così facile». La vita a Londra mette a confronto ogni giorno quel ragazzo catanese con una realtà molto diversa: «Un impatto molto forte: ricordo tutti i giorni pigiato nella metro, con ben 13 linee però, come una sardina». E i sacrifici, ogni giorno: «Di mattina a scuola di inglese, poi per qualche settimana piccoli lavoretti e un alloggio da dividere con gente così diversa da te, a volte magari con 13 ungheresi che non ti degnano di una parola».  

E poi la svolta. Forse della vita. «Dopo un paio di mesi, quando la data del ritorno si avvicinava, vado a lavorare come lavapiatti al “Volupte”, il primo locale di burlesque di Londra. Un posto dove con 100 sterline avevi cena e spettacolo. Lì mi trovo benissimo. La fatica è tanta, la sera ho la schiena e le gambe a pezzi. In questo locale un algerino prepara antipasti e dolci, all’inizio di agosto va via improvvisamente e la sua partenza mi cambia la vita. Era un sabato, il giorno più “caldo”, lo chef romeno, mi dice: oggi tocca a te. Era un salto non da poco: mi rimbocco le maniche e mi metto al lavoro cercando di dare il meglio. Io avevo avuto in Sicilia solo qualche piccola esperienza di cucina, ma va tutto bene e la proprietaria del locale, Denise, che ha appena 27 anni ed è già una imprenditrice, mi fa i complimenti e mi dice: domani cercheremo un altro lavapiatti… Così passo da 6 sterline a 7,5 all’ora…. Ma siamo già all’equivalente di quasi 2000 euro al mese. Lì nel mondo del lavoro sei in regola sin dal primo giorno. Così vedo che la cosa funziona e butto il biglietto di ritorno».  

Sergio non è più un lavapiatti. Ed è già un salto di qualità. «Ai miei dico che sposto il rientro a Natale – racconta ancora Sergio – e mi butto in questo impegno. A dicembre comincia un periodo d’oro, ci sono tantissime feste aziendali, il locale va molto bene. Passa Natale e rinvio ancora il rientro. Arrivano altre sorprese. Nel 2009 va via il primo chef, un romeno, e viene promosso il secondo, un francese. Io faccio un altro passo in avanti. Il secondo chef in cucina è proprio quello più operativo. A quel punto mi dicono: fai qualcosa che sai fare. A Denise il mio lavoro piace, apprezza la mia inventiva ma sempre nell’ambito dei gusti inglesi. Niente piatti italiani, niente pasta o parmigiana… ma soprattutto arrosti con varie salse di frutti di bosco».  

Tra i fornelli Sergio se la cava benissimo anche se la cucina non è quella legata al suo passato: «Un giorno mi chiamano in ufficio: puntiamo su di te ma adesso devi studiare da chef. E mi iscrivono a un corso in un college che in tre anni, nel 2012, mi fa diventare “professional chef”. Adesso ho anche un titolo professionale riconosciuto a livello internazionale. In Inghilterra c’è molta mobilità nel lavoro ma le occasioni non mancano e tutto alla luce del sole. In Sicilia c’è tanta buona volontà ma tutti si fermano al primo livello. E se vai fuori e ti fai prendere dalla nostalgia della tua terra questa diventa un freno controproducente e si ritorna da dove si è partiti. Anche io avevo nostalgia però non volevo aiuto da nessuno e mi ripetevo sempre “«io ce la faccio da solo».  

Ma mentre compivo i tre anni di corso, ancora un colpo di scena. Nel 2010 lo chef francese viene licenziato e io divento primo chef. Mi sembra tutto incredibile, un sogno perché divento davvero il capo in cucina, faccio i menù, decido le assunzioni, tutto». Nel frattempo nella storia di un ragazzo di Sicilia andato a Londra per stare soltanto tre mesi si introduce un altro elemento. Denise. Lei 27enne imprenditrice di successo, lui 25, venuto dalla periferia d’Europa solo con un bagaglio di volontà, determinazione, e….. «magari quel carattere latino – spiega Sergio – che agli inglesi e alle inglesi piace tanto». Insomma scocca la scintilla tra i due e il rapporto professionale per così dire si completa e si intreccia con quello personale.  

E’ il 2011, l’apice. In soli tre anni la vita di Sergio si è trasformata. Adesso non solo ha un lavoro ma è apprezzato e famoso. Ha una compagna e arriva anche Roberto, il primo figlio. Ma… la vita insegna a rimettersi sempre in gioco. Arrivano i primi problemi: la crisi investe anche Londra. L’altra proprietaria del locale lascia e Denise è costretta a rilevare la sua quota. C’è un calo di introiti e parte del personale viene licenziato. La parabola del “Volupte” si chiude nel 2012. Sergio, e adesso anche la sua compagna Denise, devono reinventarsi. «Ma non mi scoraggio – dice Sergio – e mi metto a lavorare in un ristorante, sempre a Londra, dove si fa anche cucina regionale italiana e così acquisisco altre nozioni. Per un anno, sino al 2013, lavoro in questo posto mentre Denise gestisce il bar in una location per eventi.  

A giugno 2014 mi contatta un catanese che voleva aprire un ristorante in Germania. Sono curioso, mi sento pronto per nuove esperienze e vado». Sembra il racconto di un Ulisse del terzo millennio. Ma come l’eroe omerico, Sergio deve affrontare ancora altre prove: «Cominciamo benissimo, e Denise dopo 4 mesi mi raggiunge col bambino. Tutto va bene ma via via l’aria comincia a farsi pesante. Il proprietario sta pure lui in cucina, dice per aiutarmi ma forse per risparmiare uno stipendio e una sera finiamo per litigare. Lui esce dalla cucina con delle parole un po’ minacciose e così capisco che è meglio andar via. Il giorno dopo, siamo nello scorso aprile, mi licenzio. Era stato il mese più brutto della mia vita. Dopo l’escalation in Inghilterra doveva arrivare un litigio proprio con un conterraneo…. ». Sarà solo un caso? Così tocca ancora cambiare nazione e stavolta è un ritorno a casa: «Sì, i proprietari di un centro sportivo di Scordia mi avevano conosciuto a Londra e così mi hanno chiesto di guidare la cucina della loro struttura per tutta l’estate. Un modo per stare per un po’ vicino ai miei e per portare Denise in Sicilia. A lei piace tutto ma è sconcertata dal nostro modo di vita, le strade, i rifiuti, le urla…. Poi quando vede Renzi che balbetta in inglese ride mi chiede se questo è davvero il meglio che abbiamo…».  

E ora il nostro “Ulisse dei fornelli” che rotta farà? «In ottobre nascerà il mio secondogenito. In febbraio andremo un po’ in Thailandia nel B & B che l’ex socia di Denise ha realizzato lì. Ma nel frattempo mi hanno chiamato dal Qatar da dove mi è arrivata una proposta interessante. Credo che il mio futuro sarà lì». Ma ti senti ancora siciliano? «No, mi sento adottato inglese…E sono davvero contento di pagare le tasse in Inghilterra. La mia terra mi ha fatto andare via e l’Inghilterra mi ha dato più di quanto potessi sognare. Chi resta in Sicilia lo fa solo per la speranza che le cose possano cambiare. Ma quando cambieranno? ». Già. Quando? Intanto, good luck cittadino del mondo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA