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Burocrazia killer, la Sicilia è una mancata Slovacchia

Di Daniele Ditta |

Sull’effetto, leggasi storture create da un sistema non proprio idoneo a fare impresa, le organizzazioni datoriali e sindacali sono d’accordo. Le posizioni, però, divergono un po’, allorché si provano a individuare le cause delle inefficienze che “bruciano” milioni di euro e tarpano le ali allo sviluppo. I rappresentanti delle imprese puntano il dito contro la burocrazia: Confartigianato si è associata all’appello lanciato da Sicindustria che, dopo aver presentato un documento con le proposte per lo sviluppo al governo e all’Ars, ha chiesto ai nuovi direttori regionali procedure amministrative più semplici e veloci. «Il vero tallone d’Achille – ribadisce Giuseppe Pezzati, presidente di Confartigianato Sicilia – è che non ci sono le persone giuste al posto giusto. C’è una lentezza esasperante negli uffici pubblici e molto spesso le imprese si confrontano con funzionari non sempre preparati. Risultato? Dispersione di tempo e smarrimento di fondi. È successo con le Zfu, le Zone franche urbane; speriamo che non succeda con le Zes (Zone economiche speciali, ndr). Per la categoria degli artigiani, le inefficienze ricadono anche sui bilanci familiari, visto che la maggior parte delle aziende ha al proprio interno lavoratori legati da un vincolo di parentela».

Limitare tutto alla mala burocrazia sarebbe riduttivo. C’è dell’altro: ad esempio, le operazioni “mordi e fuggi” da parte di certi imprenditori che vogliono solo speculare. «È vero, esistono anche gli imprenditori scorretti – conferma Pezzati – ma si tratta solo di una minima parte e per di più sono facilmente individuabili. Se solo si facessero le dovute verifiche sui finanziamenti concessi…». Il presidente di Confartigianato Sicilia è netto su questo punto: «Gli imprenditori virtuosi, che investono per creare lavoro, vanno premiati; chi invece si distingue negativamente va isolato e la quota parte di risorse assegnata va dirottata per dare opportunità ad altri. E non importa la grandezza dell’azienda».

Gli artigiani, così come altre categorie di imprenditori, chiedono un maggiore coinvolgimento nei processi decisionali. Pezzati sollecita una «cabina di regia per monitorare l’iter dei finanziamenti sino al raggiungimento degli obiettivi. Non dobbiamo arrivare all’ultimo minuto col timore che si perdano i soldi. Serve una tracciabilità della filiera affinché gli importi erogati arrivino a destinazione. Solo così si potranno individuare eventuali responsabilità, siano esse dei burocrati o degli imprenditori, ma soprattutto solo così si potranno usare bene i soldi che Stato, Regione ed Ue mettono a disposizione».

Il fatto è che questo flusso di denaro in passato si è arenato e, quando si è riusciti a spenderlo, non ha portato valore aggiunto né per il tessuto economico né per i lavoratori. Anzi, spesso ha finito per accentuare le distorsioni già esistenti. Risultati poco (o nulla) tangibili alla nostra economia ha prodotto pure il sistema delle agevolazioni. È il caso delle Zfu, che prevedevano esenzioni dalle imposte sui redditi, dall’imposta regionale sulle attività produttive, dall’Imu e l’esonero dal versamento dei contributi delle retribuzioni da lavoro dipendente. A Librino non hanno inciso, a Brancaccio idem. Il governo nazionale sta riprovando con le Zes, che puntano ad attrarre investimenti nei grandi porti del Sud per “agganciare” l’aumento delle merci in transito nel Mar Mediterraneo. Con le Zes le imprese potranno beneficiare di importanti bonus fiscali (credito d’imposta per maxi investimenti fino a 50 milioni), semplificazioni burocratiche e oneri amministrativi più bassi. Unico obbligo: mantenere le attività nella Zes per almeno 5 anni dopo il completamento dell’investimento agevolato.

«In Sicilia, anche sul fronte Zes, stiamo accumulando ritardi su ritardi, rispetto ad altre regioni del Sud come la Calabria. E la proroga delle Autorità portuali complica il tutto», dice Michele Pagliaro, segretario regionale della Cgil, convinto che «la politica dei bonus non fa altro che “drogare” il sistema economico. In Sicilia – si domanda – si fa impresa perché c’è un mercato o perché vengono dati degli incentivi?». Pagliaro non nasconde il deficit infrastrutturale e il peso di una burocrazia farraginosa («non dico che ad alcuni imprenditori bisogna fare un monumento, ma quasi»), per non parlare di «un’incapacità progettuale – lo si è visto con il Patto per la Sicilia – che di fatto ha reso il piano degli interventi solo un mero elenco». Ma sono altrettanto alti, secondo Pagliaro, i rischi connessi ad una politica «impostata sugli incentivi e non su programmi industriali: il Jobs Act ne è la dimostrazione». È qui che le posizioni di organizzazioni datoriali e sindacali divergono. «Solo gli incentivi – concorda Claudio Barone, segretario della Uil Sicilia – non si possono aiutare le imprese a creare occupazione stabile. Bisogna intervenire subito abbassando le tasse su lavoro e lavoratori, tra le più alte d’Europa».

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