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Le marinerie siciliane sempre più in crisi tra flotte vecchie e leggi datate

La denuncia della segretaria nazionale della Uila Pesca: «Si demoliscono gli scafi invece che costruirne di nuovi»

Redazione La Sicilia

23 Settembre 2023, 16:06

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Catania. Trent’anni e passa. L’età media dei pescherecci della marineria di Catania è, a dir poco, “avanzata”. Enrica Mammucari, segretaria generale della Uila Pesca, ieri alla “Vecchia Dogana” nel Porto etneo per un convegno dell’organizzazione di categoria, non nasconde la preoccupazione per un dato che “parla” di scarsa efficienza dei mezzi, ma soprattutto di sicurezza precaria. E non è neppure tra i peggiori: «In ambito nazionale – afferma l’esponente sindacale – quel dato si attesta addirittura a 54 anni. Che è anche l’età media degli addetti nel settore».

Le marinerie invecchiano. Che si fa?

«Da anni denunciamo la necessità di un rinnovamento della flotta peschereccia con nuovi scafi, meno impattanti sull’ambiente e più sicuri per i lavoratori. Eppure, la costruzione dei nuovi pescherecci continua a non essere tra gli interventi finanziati dal Feampa (Fondo europeo Affari marittimi Pesca e Acquacoltura, ndr). Si è preferito, invece, incentivare la demolizione dei pescherecci nell’errata convinzione che la riduzione di occupati e imprese avrebbe garantito un futuro più roseo. Così non è stato».

Si punta, intanto, sulla formazione…

«È indispensabile promuovere la cultura della prevenzione e la diffusione delle buone prassi tra gli addetti. In questo senso, l’impegno della Uila Pesca è da molti anni costante e sempre più incisivo. In questo 2023, grazie al Programma Nazionale Triennale della Pesca, il nostro obiettivo è coinvolgere a livello nazionale oltre 2500 lavoratori. Di questi, circa 400 in Sicilia con corsi che hanno coinvolto pure la marineria di Catania».

Basterà?

«Assolutamente no. È necessario che i decisori politici intervengano per sanare un ritardo incomprensibile sul versante normativo relativo alla mancata emanazione dei decreti attuativi per la pesca del Testo unico sulla sicurezza, attesi dal 2012. Il comparto attualmente è regolamentato da una disciplina datata. Basti pensare all’inadeguatezza di alcuni dispositivi di protezione individuale, che andrebbero assolutamente rivisti»».

In Sicilia il settore sembra in “crisi di vocazioni”: meno flotte, meno occupati. Quale futuro possibile?

«Il settore è in crisi in tutta Italia ed anche in Europa. D’altronde la politica comune della pesca ha fallito gli stessi obiettivi che si era prefissata, sacrificando migliaia di lavoratori e imprese sull’altare di un ambientalismo ideologico che attribuisce alla pesca nel Mediterraneo la responsabilità del degrado delle risorse. Una stratificazione di normative, che si sono tradotte in limitazioni e riduzioni delle giornate di attività di pesca, aumenta i costi e diminuisce la redditività per gli addetti. Costretti a competere sul mercato con produzioni vendute a basso costo, provenienti da Paesi dove non vi è rispetto né per l’ambiente, né per i diritti dei lavoratori».

Nuove leve sempre più lontane, dunque?

«È indispensabile restituire valore a questo antico mestiere considerando la pesca come settore strategico per l’approvvigionamento di cibo fresco e di qualità senza contare che rappresenta un moltiplicatore di valore per tutte le attività connesse: dal turismo alla ristorazione, per non parlare degli aspetti storici, culturali e antropologici».

Quello del pescatore è uno dei lavori più faticosi e rischiosi al mondo. Una condizione riconosciuta anche in Italia?

«Purtroppo no. Sul versante previdenziale non è considerato usurante, escludendo quindi i pescatori dalla possibilità di un accesso anticipato alla pensione. Questa disparità di trattamento la riscontriamo anche sul versante del riconoscimento delle malattie professionali, nonché sull’assenza di un ammortizzatore sociale strutturato che è rimasto sulla carta».