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Sicilia in vendita, l’economista Faraci: «Fare cassa non è la soluzione»

Di Gianluca Reale |

CATANIA – «Privatizzare o meno è un falso problema che spesso si incaglia nelle secche delle ideologie sui ruoli dello Stato e del mercato oppure delle convenienze elettorali del momento. La vera questione è capire se il soggetto pubblico, proprietario di un immobile o di un’azienda, sia sempre in grado di gestirli in modo efficiente ed efficace, senza generare perdite, anzi promuovendo sviluppo del territorio, indotto economico e favorendo la crescita nel valore degli asset».

Il professore Rosario Faraci, ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Catania, parla senza peli sulla lingua. «Purtroppo – aggiunge – sono poche le esperienze di successo dello Stato o della Regione con funzioni di imprenditore; sono tante invece le storie di “carrozzoni” che per problemi di governance, modeste capacità manageriali, un’etica “sui generis” del lavoro, rappresentano un cattivo esempio per chi pensa al binomio soggetto pubblico-impresa».

Se parliamo di aziende, le Terme di Sciacca e di Acireale sono due casi emblematici.

«Sono aziende che appartengono alla Regione, proprietaria dei compendi immobiliari e degli stabilimenti idrotermali, che ne ha mantenuto la gestione aziendale per decenni. Da quando sono state trasformate in società per azioni, nel 2006, mantenendosi sempre nell’alveo del soggetto pubblico regionale, hanno totalizzato fino ad ora perdite: Sciacca per quasi 17 milioni di euro, Acireale per quasi 15 milioni. Non si è creato alcun valore per il turismo, pur essendoci un potenziale enorme; anzi si è depauperato il patrimonio perché, strada facendo, si è svalutato di oltre 34 milioni per le Terme Acireale e di 12,5 milioni per quelle di Sciacca. Con questi numeri, non c’è alcun dubbio che la Regione proprietaria e imprenditrice è stata fallimentare e nessuna parte politica è esente da questa enorme responsabilità. Se a ciò aggiungiamo che la burocrazia ha inseguito la logica dell’adempimento anziché quella del risultato e non ha fatto nulla per preservare questo patrimonio, è consequenziale immaginare che qualsiasi privato avrebbe operato meglio».

Vendere ai privati “gioielli” immobiliari o naturalistici è invece differente?

«La questione è diversa per gli immobili pubblici. L’elenco dei cosiddetti gioielli di famiglia è lunghissimo. Ho dato un’occhiata al sito web www.privateislandsonline.com dove risulta già venduta l’isola delle Sirene a Mazzarò. Su un altro sito www.vladi-private-islands.de l’isola di Santa Maria, fra Trapani e Marsala, un’area estesa per oltre undici ettari, è in vendita a partire da 17 milioni di euro. Un po’ ovunque ci sono altre offerte di beni naturalistici e storici. Anche la Regione ha un enorme patrimonio immobiliare gestito da Sicilia Patrimonio Immobiliare. In questi casi la privatizzazione ha natura diversa. Chi vende in pratica dismette per far cassa e fronteggiare la riduzione del debito pubblico».

Vendere per far cassa è l’unica soluzione praticabile?

«La gente si chiede se sia realmente necessario alienare ai privati per restituire smalto a beni che non sono mai stati produttivi fin quando sono rimasti nella sfera pubblica. A parte il fatto che sono sempre esperibili forme diverse di partenariato pubblico-privato che incardinano i beni pubblici dentro una logica di valorizzazione degli asset, mi chiedo come mai i proprietari pubblici non abbiano sviluppato prima progetti di marketing territoriale che stabiliscano, per grandi linee, quale debba essere la destinazione d’uso dei beni in relazione al territorio. Faccio un esempio. Se si vende un’isola a ridosso di una città turistica e il privato acquirente volesse realizzarvi un moderno centro commerciale a servizio di un porto turistico, siamo sicuri che il territorio avrà bisogno dell’ennesima grande superficie distributiva che cannibalizza il piccolo commercio e l’artigianato locale?».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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