Dazi, la Ue "molla" la web tax, spiragli per agro alimentare e auto
In Scozia si va verso un'intesa
Appena toccato il suolo scozzese, Donald Trump ha svicolato: «I punti critici sono forse una ventina. Non è il caso di elencarli tutti». Eppure, ogni voce di quella lista è un fronte aperto tra le due sponde dell’Atlantico. E tra i più sensibili c'è la partita delle Big Tech.
Nel braccio di ferro con Washington, i negoziatori europei guidati da Maros Sefcovic hanno affinato le armi tra contro-dazi, linee rosse da presidiare e concessioni per ammorbidire il tycoon. Una strategia che ha portato Bruxelles ad accantonare la tanto discussa digital tax, sacrificata sull'altare dell’auspicato compromesso con dazi al 15% ispirato all’accordo siglato da Tokyo.
Che, per conquistare il favore del tycoon, ha lasciato sul tavolo ben 550 miliardi di investimenti da incanalare verso il mercato americano. I tecnici europei hanno accettato la prospettiva di un’intesa di principio asimmetrica e settoriale. Una logica già collaudata nel 2020 con il cosiddetto lobster deal, quando Bruxelles azzerò i dazi sulle aragoste americane - prodotto iconico del Maine - ottenendo in cambio riduzioni su accendini, detergenti e cristalleria continentale.
La digital tax, pur invocata da Parigi e Vienna, è scomparsa sia dal linguaggio delle minacce che dalla proposta di bilancio Ue 2028-2034, trasformata in moneta di scambio per ottenere le riduzioni tariffarie. Una concessione gradita anche ai tradizionali paradisi fiscali europei delle Big Tech - Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi - da sempre contrari allo slancio riformatore promosso dall’Ocse.
Sulla carta, resta l’opzione del bazooka anti-coercizione, ma il suo impiego contro i colossi del web inciampa su incertezze giuridiche e rischi operativi, con possibili effetti collaterali per gli inserzionisti continentali. Accanto alla flessibilità Ue sul tech - estesa anche all’intelligenza artificiale e all’universo delle criptovalute care al tycoon - Bruxelles ha poi snellito il suo secondo pacchetto di contro-dazi, sceso dai 95 miliardi iniziali a 72, risparmiando computer, motori e microscopi Usa.
Ma le contropartite più importanti sono politiche, con l'impegno europeo ad aumentare gli acquisti di armamenti e forniture energetiche Usa. Una duplice promessa già riflessa nell’accordo del 5% sul fronte Nato, nell’intesa siglata da Eni con Venture Global per l’importazione di gnl dalla Louisiana e in quella futura per un reattore nucleare in Slovacchia con possibile regia industriale americana.
Le linee rosse normative però sono rimaste intatte, con l'arena incontrollata del digitale anche una volta in cima. Agli occhi di Palazzo Berlaymont, le leggi gemelle Digital services act e Digital markets Act (Dsa-Dma) restano bastioni irrinunciabili di trasparenza, concorrenza e vigilanza. Linee invalicabili a cui si è aggiunta la richiesta di segnali chiari sui dossier più sensibili per conciliare gli interessi spesso divergenti dei Ventisette.
E, se sul fronte dell’agroalimentare caro all’Italia le esenzioni appaiono poco realistiche, l'obiettivo di includere i prodotti europei nell’aliquota del 15% - più bassa del 17% paventato da Trump - non sembra lontana. Una soglia limite sostenibile anche per formaggi e olio tricolori, sebbene indigesta per il vino. La Francia, a strenua difesa di Airbus nel duello dei dazi con Boeing, sembra prossima a incassare le tariffe zero, mentre prende forma l’accordo per allineare le tariffe sull'automotive dal 25 al 15%, segnando un punto a favore di Berlino. Chip e farmaci restano sorvegliati speciali, esclusi dalle contromisure Ue nell’auspicio di un passo indietro di Trump sulla minaccia, tuttora pendente, di superdazi fino al 200%.