Intervista al finanziere Massimo Ponzellini: «Il Ponte si farà, grande occasione per la Sicilia, ma è l'hi-tech l'oro dell'Isola»
Dall’Iri di Prodi al futuro possibile per lo sviluppo dell’Isola: «Costruire l’Europa delle regioni»
Quando nel 1981 venne costituita la prima società Stretto di Messina, Massimo Ponzellini era a Bologna tra i fondatori, con Romano Prodi, della società di studi Nomisma. Nel 1983 passa all'Iri e ci resta fino al 1990, sotto la presidenza Prodi, occupandosi soprattutto dello sviluppo economico dell’Italia meridionale. Ecco perché lui, tra i massimi testimoni dei fatti che si sono succeduti dall’idea del Ponte sullo Stretto di Messina fino all’ok definitivo dei giorni scorsi, ha comprensibilmente gioco facile nel commentare, anche con grande franchezza, quella che sarà la più grande opera infrastrutturale d’Europa.
Dottor Ponzellini, con la delibera del Cipess il Ponte ha avuto l’ok definitivo, a questo punto, secondo lei, dobbiamo aspettarci soprese dalla Corte dei Conti?
«L'opera è completamente certa dal punto di vista dell'iter procedurale. La procedura è stata perfezionata fino nei particolari, non ci sono altri passi da fare ma, visto che il finanziamento dell'opera è per la gran parte pubblico, l’unico rilievo della Corte dei Conti potrebbe essere quello che riguarda le coperture delle cifre necessarie per la costruzione e il completamento del Ponte. Se la copertura finanziaria non fosse chiaramente identificata la Corte potrebbe eccepire, rimandare al presidente della Repubblica o direttamente al governo le proprie osservazioni, rilevandone la mancanza. Io penso, però, che essendo questo governo il vero committente ed avendo le finanze pubbliche italiane sicuramente lo spazio per quest'opera, non credo che ciò accadrà. In ogni caso non è che un rilievo della Corte dei conti può fermare l'opera, semmai, può segnalare che c'è un problema. E i problemi di questo tipo non fermeranno il governo».
Sia il ministro Salvini che l’ad della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, dicono che già da ottobre potrebbero cominciare le opere preliminari, che la progettazione esecutiva è già partita e, quindi, siamo arrivati al via, probabilmente già ad ottobre.
«È ciò che dovrebbe accadere. Poi dipende da quando arrivano i mezzi, cominciano gli scavi, le licenze varie. Voglio dire che può essere un mese prima o quello dopo, non è che questo che cambia qualcosa, il problema non è nei tempi del cantiere, ma semmai se esiste uno strumento giuridico per fermare l'opera. E visto che non esiste una ragione tecnica per fermarla e non esistono ragioni finanziarie per stopparla, si andrà avanti. È un'opera che rappresenta un investimento importante per l’Italia, ma non stravolgente per le casse dello Stato italiano, tutti gli eventuali problemi prevedo che verranno superati».
Quindi ci siamo davvero, pronti per il 2033?
«Ecco, l’unico problema potrebbero essere i ritardi che sono possibili a causa delle opposizioni dei gruppi ambientalisti o di quelli contrari all'opera, come è successo per il Frèjus, in Val di Susa, ma tutto si supererà, nell’interesse nazionale di portare a termine un’opera decisiva per lo sviluppo di tutto il Paese».
È dal 1981 che esiste la società Stretto di Messina: da storico direttore generale dell’Iri ricorda tutto?
«Mi ricordo quando fu costituita la società, ma essa in realtà esiste da ancor prima perché, in precedenza fu costituito un gruppo per il ponte dello Stretto di Messina che comprendeva Fiat, Italcementi, Pirelli, Finsider e Italtrade e cioè quelli che fornivano i materiali: la Fiat voleva che le macchine passassero, l'Italcementi avrebbe dato il cemento, la Finsider l'acciaio, l’Italtrade gli asfalti e la Pirelli voleva che le gomme si consumassero. Questi costituirono una società vent'anni prima con il bravissimo ingegnere Gilardini, società che fu poi trasformata dal governo Forlani nel 1981 in seguito alla legge n. 1158 del 1971, che prevedeva il collegamento viario e ferroviario tra Sicilia e continente. Doveva essere una svolta per la Sicilia e la Calabria che erano gli azionisti, insieme all’Iri e alle Ferrovie dello Stato. Questo fu l'accordo. Tutti i fatti e i cambiamenti, i tentativi di messa in liquidazione e altro fino al governo Monti, sono cose che oggi tutti sappiamo e ricordiamo».
Cosa credete ci porterà quest’opera?
«Chi per primo parlò di ponte in un'Italia unita fu, nel 1876, il ministro dei Lavori pubblici Giuseppe Zanardelli. Dunque, la prima osservazione da fare è che con l'inizio di quest'opera si chiude il capitolo dell'unificazione dell'Italia. Finalmente si potrà dire che l’Italia è definitivamente unita e si sana questa frattura che dura, appunto, dal 1876. La seconda osservazione è che la politica europea oggi può avere successo solo in una dimensione mediterranea e non più in una dimensione mondiale. I fatti a cui assistiamo in questi giorni delineano chiaramente il formarsi di blocchi, dunque, l’Europa non può più giocare la parte da leone tranne che nel Mediterraneo. I Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo che sono Francia, Italia, Spagna e la Grecia costituiscono l'85% del Pil dei paesi del Mediterraneo e quindi è questa è la vera la forza. In ultimo, se si guarda con più attenzione si scoprono alcuni dati interessanti».
E cioè?
«L'Europa come si predica da tempo è un'Europa delle regioni e, tra queste, quelle che si affacciano sul Mediterraneo sono per oltre il sessanta per cento in Italia, pensiamo solo che partiamo dalla Liguria e arriviamo al Friuli Venezia Giulia, dall'altra parte della Penisola. Facile affermare che la forza e il peso dell'Italia nel Mediterraneo è spaventosa».
E la Sicilia ci sembra la più coinvolta, oltre che privilegiata…
«Se parliamo di regioni la Sicilia, che ha circa 100 miliardi di dollari di Pil, cioè il doppio della Tunisia, la metà della Grecia e poco meno del Marocco. Aggiungo che per estensione batte di quattro volte Cipro, sei volte l'Albania, ed è più grande della Croazia. Insomma, il reddito pro-capite è il più ricco del Mediterraneo, ma riflettiamoci, la Sicilia è una regione, quelli sono Stati. Quindi, l’Isola, che è stata da sempre il fanalino di coda delle regioni europee in realtà, in una dimensione mediterranea, è l'unica che è a 360 gradi affacciata sul Mediterraneo. Se è vero che il 35 per cento dei commerci mondiali passano nel Mediterraneo è facile concludere che se la Sicilia coglierà l’occasione di quest’opera straordinaria che sarà il Ponte, lo sviluppo sarà esponenziale. Prepariamoci».
C’è qualcosa che ci manca?
«Riflettiamo sul fatto che la StMicroelectronics è rimasta l'unico produttore di chips per l’informatica all'avanguardia in Europa. Questo, tra gli altri, è l'oro della Sicilia, dunque è il momento di essere presenti nel settore dell'informatica, della tecnologia avanzata per la formazione delle generazioni future. Realizziamo Università con specializzazioni in materie tecniche integrandole con alcune eccellenze presenti già sul territorio come, ad esempio, chirurgia, cardiologia e giurisprudenza per intercettare gli studenti che vengono dal Mediterraneo. Non possiamo competere con il Marocco o l’Egitto per l’agricoltura, ma per altri settori sì. Impostiamo dei corsi in italiano, inglese, arabo tenendo presente che il giacimento più importante della Sicilia è quello culturale dunque bisogna fare almeno venti università, una più competitiva dell’altra. Anche in archeologia, letteratura mediterranea, musica, storia dell'arte. Insomma, l’Isola si deve ricavare il suo spazio perché ne ha le competenze e la posizione geografica».