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Produzione di olio, Sicilia spaccata in due Nel Catanese +65%, nel Belice crollo a -70%

Di Sonia Distefano |

Catania. La produzione olivicola siciliana del 2019 è più complessa e articolata del previsto, con buoni risultati per quanto riguarda l’olio dell’Etna e della provincia di Catania, Ragusa e Siracusa, e punte di bassissima produzione nella Sicilia occidentale, con il peggior risultato in termini di quantità di produzione su Trapani. Non sono andate bene neanche Agrigento, Enna, Caltanissetta.

Questa non omogenea situazione non permette alla produzione olivicola della Sicilia quest’anno di registrare un dato positivo in termini assoluti. Per la Valle del Belice, nota per la produzione della Nocellara, Nino Bascio, Presidente del Consorzio dell’Olio Evo Dop «Valle del Belice», parla di «situazione disastrosa, con il 70% in meno della produzione normale. Il calo – ha spiegato – è dovuto alle piogge dello scorso maggio nel momento della fioritura, che hanno danneggiato il fiore e la nascita del frutto. Ci sono appezzamenti di migliaia di piante senza una sola oliva, per una annata da dimenticare. Si salvano solo casi particolari».

Per la Sicilia orientale si parla invece di una buona annata, ma solo rispetto allo scorso anno.

Gino Catania, presidente Società cooperativa Apo (Associazione produttori olivicoli) presidente consorzio di tutela Monte Etna Dop, ci spiega la complessità della raccolta siciliana del 2019: «La campagna attuale – ha detto – rispetto alla precedente (pessima per quantità e qualità), si presume abbia un 65% in più di produzione. Dovremmo attestarci a circa 24-25mila tonnellate. Ma se il dato di quest’anno lo confrontiamo con una campagna normale, quando la Sicilia produceva 45mila tonnellate circa, oggi siamo ancora sotto di almeno un 40%. Il dato di quest’anno non ci soddisfa – afferma –. Significa che la Sicilia, così come l’Italia, non è autosufficiente quindi si presta ad accogliere prodotto dall’estero».

Dal punto di vista della qualità per la Sicilia orientale si parla invece di un prodotto «eccellente – ha continuato Catania – perché le condizioni climatiche non hanno permesso l’infezione da mosca e per conservare la buona qualità dell’oliva abbiamo consigliato ai produttori di anticipare la raccolta a fine settembre».

Una situazione che naturalmente si ripercuote sui prezzi sul mercato per i consumatori. «Nella Grande Distribuzione – ha spiegato Catania – si parla di bottiglie di olio, prodotto dall’UE o fuori dalla UE, a 2.90 euro a litro. Sono prodotti scialbi, senza profumi, che penalizzano il nostro olio extravergine d’oliva. Per i costi di produzione, raccolta, trasformazione nel nostro territorio si parla di non meno di 5-6 euro al litro. Questo significa che un buon extravergine di oliva, che richiami i profumi e odori del nostro territorio, che sia di qualità e abbia un profilo sensoriale che richiami l’amaro e il piccante, che sono pregi dell’olio e fanno bene alla salute, non può costare meno di 8 euro al litro. Il consumatore questo lo deve sapere. Informare le famiglie e orientare la spesa è una battaglia che portiamo avanti da anni».

L’olio dell’Etna è ottimo olio nel panorama siciliano e non solo. «Non c’è un olio migliore dell’altro ma ci sono oli diversi. L’olio dell’Etna è particolare, ha un fruttato medio che tende all’intenso – afferma Catania – con un sapore piccardo e un sapore erbaceo, un equilibrato gusto, un amaro piccante armonico equilibrato. Nell’Etna la pianta nasce, cresce e produce sulla colata lavica. L’Italia e la Sicilia hanno una grande biodiversità. In Italia ci sono circa 450 cultivar autoctoni. In Sicilia si parla di 20 cultivar principali e un patrimonio complessivo di 54 cultivar tra principali e minori. Sull’Etna la Nocellara etnea è la principale e una minore è il Brandofino (tipica del territorio di Randazzo e Castiglione). La Spagna produce invece 20 cultivar di cui solo 2-3 principali, e ha inondato il mercato con un prodotto dal gusto omologato e a basso costo. Auspichiamo un rafforzamento dei controlli affinché quello che c’è nella bottiglia corrisponda all’etichetta».

In Italia si parla di una riduzione del consumo dell’olio extravergine di oliva del 20%. «L’Italia – ha detto Catania – ha perso la posizione di secondo produttore al mondo. Oggi serve rifondare l’olivicoltura e puntare ad una strategia di rilancio nazionale affinché si permetta un aumento delle superfici olivicole, con investimenti anche da parte dello Stato che siano semplici e diretti alla messa a dimora di nuovi impianti. Serve un vero piano olivicolo nazionale. La spagna ne ha fatto quattro, l’Italia neanche uno. Servono strategie di produzione per un abbattimento di costi; condizioni agevolate; un incremento delle superfici olivicole con cultivar autoctone. È necessario promuovere il prodotto e l’identità territoriale. Dobbiamo puntare a conquistare i palati esteri, ma anche il nostro consumatore. La politica nazionale deve difendere l’olio extravergine di oliva 100% italiano, simbolo della dieta mediterranea nel mondo e dell’Italia».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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