consumi
06 Dicembre 2025 - 10:15
Inflazione sotto controllo, occupazione ai massimi e maggiore reddito disponibile: in questo contesto, la domanda delle famiglie - cresciuta di appena lo 0,8% tra il 2019 e il 2025 - appare destinata a rafforzarsi a dicembre, complice anche l’ottima performance della Black Week, che ha generato un giro d’affari di 5 miliardi di euro, in aumento del 20% su base annua.
Le tredicesime destinate ai consumi nell’ultimo mese dell’anno sono stimate in 49,9 miliardi di euro, 2,4 miliardi in più rispetto al 2024, per una spesa media di 1.964 euro per nucleo familiare, pari a 53 euro in più sullo scorso anno.
Questa maggiore disponibilità si rifletterà solo in misura limitata sulla spesa per i doni natalizi, che rimane sostanzialmente stabile: 211 euro pro capite contro i 210 del 2024. Molti italiani, infatti, sembrano intenzionati a “regalarsi” di più: elettrodomestici nuovi, uscite al ristorante, cinema, teatro, visite ai musei e attività legate al benessere personale.
In ogni caso, il valore complessivo dei regali toccherà i 10,1 miliardi, il livello più alto dal 2020. Aumenta anche la quota di chi parteciperà al rito dello scambio dei doni: il 81,5% contro il 79,9% dello scorso Natale. Diminuiscono, invece, quanti prevedono festività dimesse (dal 77,1% al 72,7%) e cresce la percentuale di chi affronta questa spesa con piacere (dal 44,4% al 47,8%), a conferma della “magia” delle feste.
Sono questi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio su tredicesime e consumi di dicembre. «I buoni fondamentali della nostra economia e il risveglio dei consumi autorizzano un cauto ottimismo per le spese di Natale – commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli –. Per consolidare questa tendenza servono segnali concreti. Chiediamo, quindi, al Governo la detassazione degli aumenti contrattuali, anche per i contratti maggiormente rappresentativi che coinvolgono oltre cinque milioni di lavoratori del terziario e del turismo».
La stima della tradizionale gratifica di fine anno si basa sui conti nazionali diffusi da Istat e sui dati delle diverse gestioni pensionistiche Inps. L’ammontare complessivo delle tredicesime nette è valutato in 57,4 miliardi di euro. Dedotti gli accantonamenti necessari a coprire le scadenze di dicembre - saldo Ici-Imu-Tasi e tassa di proprietà dell’auto - le somme indirizzate ai consumi, includendo anche la maggiore spesa dei lavoratori indipendenti, raggiungono 49,9 miliardi.
Da qui deriva una spesa media da tredicesima per famiglia di 1.964 euro nel mese di dicembre: +2,8% sul 2024, +6,9% sul 2019 e +12,3% rispetto al 2008. Secondo l’indagine Confcommercio in collaborazione con Format Research, nonostante la maggiore disponibilità, la spesa in termini reali per i regali rimane sui livelli dello scorso anno (211 euro pro capite).
Nel corso dei primi dieci mesi del 2025 alcuni capitoli di spesa sono comunque cresciuti: tempo libero e servizi ricreativi — musei, cinema, teatri — (+17%), benessere personale (+4%), acquisto di elettrodomestici (+10,5%) e ristorazione (+0,8%). Voci che potrebbero rafforzarsi ulteriormente nella parte finale dell’anno.
Nel 2025 diminuisce la quota di chi prevede un Natale più sobrio (dal 77,1% al 72,7% del 2024) e aumenta, di 1,6 punti, la percentuale di quanti faranno acquisti per i doni (dal 79,9% all’81,5%). Sale, infine, dal 44,4% al 47,8%, la parte di cittadini che considera questo “rito” una spesa necessaria e piacevole.
OCCHIO AL RISCHIO USURA
Con l’avvicinarsi delle festività aumenta, come ogni anno, l’esposizione al rischio di usura. Nelle settimane che precedono il 25 dicembre molte famiglie ricorrono al credito al consumo - prestiti personali, dilazioni di pagamento, formule “buy now, pay later” e rateizzazioni - per far fronte a regali e spese stagionali. L’impennata dei consumi coinvolge anche artigiani e piccoli commercianti che, a differenza di dipendenti e pensionati, non dispongono di entrate certe né della tredicesima mensilità.
Le festività alimentano pressioni sociali -regali, cene, doni e impegni percepiti come “necessari” - che spingono anche chi è in difficoltà a indebitarsi pur di non deludere aspettative, favorendo un aumento della domanda di credito che talvolta sfocia in pratiche illegali. Lo segnala l’Ufficio studi della Cgia, ricordando che una recente indagine commissionata da Facile.it a mUp Research ha rilevato come nelle scorse settimane 800 mila italiani abbiano utilizzato il credito al consumo per acquistare i regali di Natale tramite finanziamenti o prestiti personali. Resta l’interrogativo: tutti si sono rivolti a banche o intermediari vigilati, oppure qualcuno ha chiesto sostegno a “amici” o semplici “conoscenti”, accettando offerte potenzialmente rischiose?
Secondo la Cgia, sono in aumento le imprese insolventi, in particolare nel Mezzogiorno. Dopo la contrazione registrata durante il Covid, da due anni le sofferenze sono tornate a crescere. Al 30 giugno 2025 il numero complessivo ha sfiorato quota 122 mila unità (+3,6% sullo stesso periodo del 2024). L’area più esposta è il Sud, con 42.032 imprese in sofferenza (34,5% del totale), in crescita del 6,3% annuo; seguono il Nord-Ovest con 29.780 (24,4%), il Centro con 29.725 (24,4%) e il Nord-Est con 20.431 (16,8%).
Questa platea di cattivi pagatori è composta in larga parte da autonomi, artigiani, esercenti, commercianti e piccoli imprenditori “scivolati” nell’insolvenza e segnalati dagli intermediari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Per legge, tale classificazione preclude l’accesso a nuovi affidamenti, costringendo chi ha bisogno di liquidità a cercare canali “alternativi” al sistema bancario, con tutti i pericoli che ne derivano.
Nonostante la crescita delle insolvenze, le denunce per usura risultano in calo. Come noto alle forze dell’ordine, il fenomeno non è misurabile soltanto attraverso le segnalazioni: gli usurai agiscono in reti criminali strutturate che esercitano un forte condizionamento psicologico sulle vittime, anche con intimidazioni preventive, danneggiamenti, violenze e minacce ai familiari. A ciò si aggiunge l’imbarazzo di ammettere la propria condizione, una “vergogna” che frena la richiesta di aiuto, soprattutto nei centri piccoli dove tutti si conoscono.
A livello provinciale, la maggior concentrazione di imprese in sofferenza si registra nelle grandi aree metropolitane. Al 30 giugno scorso, Roma guidava la graduatoria con 10.664 aziende, seguita da Milano (7.009), Napoli (6.737), Torino (4.885) e Firenze (2.683). In termini percentuali, i peggioramenti più marcati rispetto a 12 mesi prima si sono osservati a Grosseto (+20,9%, pari a +115 imprese), Arezzo (+18,7%, +134), Siena (+17,2%, +98), Siracusa (+15,8%, +118) e Ragusa (+14,7%, +99).
Chi finisce nella “black list” della Centrale dei Rischi difficilmente ottiene nuovo sostegno dal sistema bancario e rischia più degli altri la chiusura dell’attività o, peggio, di cadere nelle mani degli usurai. Per arginare questa criticità, la CGIA sollecita con forza il rafforzamento del Fondo di prevenzione dell’usura, ritenuto l’unico strumento realmente efficace per sostenere chi si trova in condizioni di vulnerabilità.
Va ricordato che la segnalazione in Centrale dei Rischi non è sempre conseguenza di una cattiva gestione finanziaria: spesso deriva dall’impossibilità, per molti piccoli imprenditori, di incassare regolarmente i crediti dai propri committenti o dal coinvolgimento in fallimenti a catena.
Intanto, i prestiti bancari alle imprese italiane sono crollati dal 2011 a oggi, fatta eccezione per la parentesi pandemica: dai 1.017 miliardi di euro di fine 2011 si è scesi a poco più di 711 miliardi nel febbraio 2020; dopo la risalita durante il Covid, con uno stock a 757,6 miliardi nell’agosto 2022, è ripresa la contrazione fino a poco meno di 667 miliardi a settembre di quest’anno. In dodici anni, rispetto al picco del 2011, si contano 350 miliardi in meno di impieghi (-34,4%).
Gli effetti della crisi dei debiti sovrani (2012-2013), le restrizioni regolamentari della BCE per contenere gli Npl e, in parte, la minore domanda di credito spiegano questo tracollo. Non è escluso che la stretta creditizia praticata dagli istituti abbia finito per “spingere” involontariamente molti autonomi e piccoli imprenditori a corto di liquidità verso le organizzazioni criminali, desiderose - specie nei momenti difficili - di reinvestire i proventi delle attività illecite.
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