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IL CASO

Amazon versa 723 milioni al Fisco italiano: perché l’accordo conta davvero (per l’Italia e per Big Tech)

Un’intesa attesa da anni chiude un capitolo da record, ma apre nuove domande su tassazione digitale, controlli e concorrenza. Ecco cosa sappiamo, cosa resta in piedi e quali effetti potrà avere su mercato e finanza pubblica.

Alfredo Zermo

10 Dicembre 2025, 18:37

Amazon versa 723 milioni al Fisco italiano: perché l’accordo conta davvero (per l’Italia e per Big Tech)

La scena è questa: nel pomeriggio di oggi a Roma, si chiude una trattativa fiscale da 723 milioni di euro. In due righe si condensa un decennio di inchieste, accertamenti e tensioni tra il colosso dell’e-commerce e lo Stato: Amazon paga 511 milioni oggi; le controllate Amazon Logistica e Amazon Italia Transport hanno già definito 212 milioni nei giorni scorsi. Un totale che vale un capitolo a parte nella storia recente del rapporto fra big tech e Fisco italiano. L’accordo arriva a valle di indagini coordinate dalla Procura di Milano e svolte dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle Entrate, e prevede anche meccanismi rateali. È una notizia che, da sola, sposta l’ago della bilancia sul piano di gettito, di enforcement e di reputazione.

Che cosa comprende l’intesa

La capogruppo in Italia di Amazon versa 511 milioni di euro per definire il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate. Le modalità includono pagamenti ratealiLe società operative Amazon Logistica e Amazon Italia Transport hanno versato 212 milioni negli ultimi giorni. La somma complessiva raggiunge 723 milioni di euro. L’accordo nasce da indagini coordinate dalla Procura di Milano.

Secondo fonti di stampa internazionale, la porzione principale dell’accordo con l’Erario riguarda le annualità 2019-2021: la pista investigativa milanese ha quantificato in circa 1,2 miliardi le presunte imposte evase, anche se la cifra esatta oggetto delle contestazioni e le responsabilità individuali restano un terreno giudiziario non ancora chiuso. È rilevante che, pur a fronte dell’intesa fiscale, la Procura abbia segnalato di non condividere pienamente l’esito con l’Agenzia delle Entrate e di voler proseguire gli accertamenti penali, con una conclusione attesa – secondo quanto riportato – nei primi mesi del 2026.

Il tassello del lavoro e dell’IVA nella logistica

Questo accordo segue, a distanza di pochi giorni, un’altra definizione: la controllata logistica italiana di Amazon ha versato circa 180 milioni di euro per chiudere un’indagine su presunte irregolarità fiscali e sul lavoro, avviata nel luglio 2024, che aveva portato al sequestro di 121 milioni. Nel pacchetto, l’azienda ha accettato anche di eliminare un sistema di monitoraggio per il personale di consegna. Si inserisce in un filone in cui oltre 30 aziende hanno pagato complessivamente più di 1 miliardo di euro per definire accertamenti simili.

Perché vale più di un titolo

Negli ultimi anni, la combinazione tra verifiche fiscali, accertamenti tributari e indagini penali coordinata dalla Procura di Milano e condotta con la GdF ha assunto i contorni di un “modello Milano” capace di accelerare il recupero di gettito e di favorire definizioni in tempi relativamente rapidi. È un approccio che, secondo dati divulgati nei mesi scorsi, avrebbe contribuito a recuperare risorse per circa 2 miliardi di euro in tre anni. In questo contesto, il caso Amazon non è un unicum, ma il tassello più voluminoso di un mosaico che ha riguardato anche Google, Apple, Facebook/Meta e altri gruppi internazionali.

Precedenti eccellenti: quanto hanno pagato gli altri

  1. Apple: 318 milioni di euro nel 2015 per chiudere il contenzioso relativo a Ires non versata tra il 2008 e il 2013.
  2. Google: 306 milioni di euro nel 2017 su annualità dal 2002 al 2015, e ulteriori quasi 326 milioni versati il 14 novembre 2024, con richiesta di archiviazione in sede penale nel febbraio 2025.
  3. Facebook (Meta): 100 milioni di euro nel 2018 per definire contestazioni sulla tassazione dei ricavi pubblicitari 2010-2016.

La differenza oggi è la scala: i 723 milioni di Amazon rappresentano, ad oggi, il più alto importo singolo definito con l’Erario da una big tech in Italia per questioni fiscali, e arrivano in parallelo a una più ampia riflessione sul futuro della tassazione dei servizi digitali e sul coordinamento internazionale.

Che cosa resta aperto

L’accordo non chiude tutte le partite. Stando a ricostruzioni giornalistiche, oltre al filone 2019-2021 rimarrebbero sotto la lente ulteriori verifiche potenzialmente riferite ad anni successivi e a profili diversi – inclusi possibili aspetti doganali legati a importazioni dalla Cina – con tempi di definizione che potrebbero slittare al 2026. Sul versante concorrenziale, va ricordato che nel 2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva inflitto ad Amazon una sanzione da 1,13 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel segmento della logistica e-commerce; a settembre 2025, il TAR ha confermato l’impianto della decisione ma ha imposto di ricalcolare l’importo, eliminando un sovrapprezzo del 50% e prospettando un dimezzamento della sanzione a circa 750 milioni. Un esito che, pur non definitivo, ridisegna la mappa dei rischi regolatori per il gruppo.

Il cuore tecnico delle contestazioni fiscali

Secondo atti e ricostruzioni di stampa, uno dei nodi investigativi riguarda il trattamento dell’IVA e, più in generale, l’attribuzione delle responsabilità tributarie nelle vendite sul marketplace italiano, soprattutto quando coinvolgono venditori extra-UE. La tesi, che sarà materia di valutazione giudiziaria, è che alcuni meccanismi operativi e algoritmici non avrebbero considerato a sufficienza gli obblighi IVA a carico dei merchant non europei – un punto delicato, perché intreccia tecnologia, duty of care della piattaforma e obblighi dichiarativi lungo la catena del valore.

Che cosa significa per i conti pubblici

Sul piano del bilancio, i 723 milioni di euro hanno un impatto concreto: in un anno di finanza pubblica tesa, risorse straordinarie di questa entità possono contribuire a coprire misure di decontribuzione, incentivi per transizione digitale o semplicemente a ridurre il fabbisogno. La modalità rateale limita l’effetto-cassa immediato ma assicura una visibilità pluriennale dell’incasso. Se si sommano i 180 milioni della definizione logistica, il “pacchetto Italia” di Amazon negli ultimi giorni sale a oltre 900 milioni. È un segnale non irrilevante per i mercati: nelle ore successive alla notizia, gli operatori hanno letto l’intesa come un passo verso la de-risking del perimetro italiano, pur con le cautele legate alle indagini ancora aperte.

Effetti su mercato e operatori

Per la filiera della logistica nazionale, le definizioni inducono un riallineamento dei costi: il venir meno di pratiche contestate (es. schemi di subappalto opachi e monitoraggi invasivi) riduce l’asimmetria competitiva fra operatori “compliant” e chi puntava a eludere IVA e contributi

Per le Pmi italiane che vendono sul marketplace, maggiore certezza regolatoria e attenzione dei controllori può tradursi in procedure più chiare su fatturazione, dazi e IVA per i beni importati da paesi terzi, comprimendo la concorrenza sleale di seller che non adempiono agli obblighi.

Per i consumatori, l’effetto sui prezzi non è scontato: eventuali costi di conformità aggiuntivi potrebbero essere in parte trasferiti, ma nel medio periodo la competizione – specie se le regole sono applicate in modo uniforme – tende a stabilizzare i listini. Questo punto resta da verificare nei prossimi 12-18 mesi, anche in funzione di decisioni europee su tassazione digitale e marketplace liability.

La cornice internazionale

La partita italiana si inserisce in un contesto globale. Sullo sfondo c’è il cantiere della tassazione digitale: l’Italia ha introdotto una web tax del 3% su alcuni servizi digitali, mentre a livello internazionale la riforma OCSE/G20 a due pilastri procede a strappi. Nell’aprile 2025, Roma e Washington hanno diffuso una dichiarazione congiunta contro prelievi “discriminatori”, lasciando intendere una possibile revisione degli strumenti nazionali in favore di soluzioni coordinate. In questo quadro, le definizioni con i singoli gruppi – come quella di Amazon – servono anche a “mettere in sicurezza” il gettito nell’attesa di un quadro stabile.

Che cosa dice Amazon

Nelle fasi precedenti dell’inchiesta, Amazon ha ribadito l’impegno a “rispettare tutte le normative fiscali vigenti” e ha rivendicato un contributo fiscale complessivo in Italia superiore a 1,4 miliardi di euro nel 2023. Sulla definizione odierna, i dettagli ufficiali emergono dall’Agenzia delle Entrate e dalle ricostruzioni delle principali testate italiane e internazionali; la società, come spesso avviene in procedimenti in corso, mantiene un profilo cauto sui particolari.

Un punto di svolta?

Se c’è una lezione in questa vicenda, è la maturazione dell’enforcement fiscale nell’economia delle piattaforme: non basta agire ex post sui singoli operatori, occorre governare le regole di sistema – dal ruolo dei marketplace nel garantire l’adempimento IVA dei seller extra-UE, alla responsabilità solidale lungo la catena logistica. L’accordo da 723 milioni è un passo avanti tangibile in questa direzione. Ma sarà la qualità della normativa di contesto – nazionale e internazionale – a stabilire se diventerà davvero un precedente o resterà un episodio isolato di successo amministrativo.