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il caso

Microtassa sui pacchi extra-Ue, l’Italia accelera: perché quei “2 euro” possono cambiare l’e-commerce

Un contributo fisso per le spedizioni di basso valore provenienti da Paesi non Ue è sul tavolo della Manovra: come funzionerebbe, chi lo pagherebbe davvero e cosa (potrebbe) succedere dal 1° gennaio 2026

Redazione La Sicilia

11 Dicembre 2025, 11:49

11:54

Microtassa sui pacchi extra-Ue, l’Italia accelera: perché quei “2 euro” possono cambiare l’e-commerce

Una mano prende un pacchetto grande quanto un libro, lo gira: prezzo dichiarato sotto i 150 euro, origine Cina, consegna in 48 ore. È uno dei 12 milioni di mini-pacchi che, ogni giorno, attraversano i confini dell’Unione Europea. In coda, tra etichette, codici, dichiarazioni H7, i funzionari delle dogane devono decidere in pochi secondi se lasciarlo passare. Ora, a quella scatola potrebbe essere aggiunto un contributo fisso di 2 euro. Un importo minimo, quasi invisibile sullo scontrino, ma potenzialmente capace di ridisegnare gli equilibri tra piattaforme globali e negozi sotto casa. Perché dietro quei “2 euro” c’è un braccio di ferro politico, industriale e doganale che va ben oltre il costo di un caffè.

Che cosa prevede l’emendamento FdI

Nel pacchetto di modifiche alla Legge di Bilancio al Senato, cinque senatori di Fratelli d’Italia hanno depositato un emendamento (prima firma del senatore Matteo Gelmetti) che istituisce, “nel rispetto della normativa Ue in materia doganale e fiscale”, un contributo di 2 euro per ciascuna spedizione di “modico valore” proveniente da Paesi terzi. Il perimetro è chiaro: spedizioni con valore dichiarato non superiore a 150 euro, ossia la soglia comunitaria sotto la quale, ad oggi, i pacchi sono esenti da dazio. Il prelievo è presentato come copertura delle spese amministrative connesse agli adempimenti doganali, e – secondo le bozze circolate – verrebbe riscosso dagli Uffici delle dogane al momento dell’importazione definitiva. L’obiettivo dichiarato: riequilibrare la concorrenza con i grandi marketplace extra-Ue, in particolare i colossi cinesi dell’ultra-fast fashion.

Sullo sfondo, la scelta politica di Roma s’inserisce in una cornice europea che si sta muovendo nella stessa direzione: Ecofin e Commissione lavorano da mesi a una stretta sulle micro-spedizioni, con l’ipotesi di un’handling fee da 2 euro a livello Ue e l’anticipazione della fine dell’esenzione dai dazi per i pacchi sotto i 150 euro.

Perché adesso

Il motivo dell’accelerazione è numerico prima che politico: nel 2024 sono entrati nell’Ue 4,6 miliardi di articoli sotto i 150 euro, e il 91% di questi proveniva dalla Cina. Numeri definiti “ingestibili” sia per i controlli di sicurezza sia per l’equilibrio del mercato, che hanno convinto Bruxelles a spingere sull’acceleratore. Non a caso, diversi ministri finanziari – con l’Italia in prima fila – chiedono di anticipare al 2026 una stretta prevista “a regime” nel 2028, quando sarà operativo il nuovo Data Hub doganale europeo.

Cosa cambierebbe per i consumatori

Il contributo di 2 euro si applicherebbe a ogni spedizione con valore dichiarato entro 150 euro proveniente da Paesi non Ue. Non incide sull’Iva (che già oggi si paga su tutti i beni importati, dopo l’abolizione della franchigia da 22 euro scattata il 1° luglio 2021), né sostituisce eventuali dazi o oneri di sdoganamento.

Chi lo paga? La formulazione europea parla di una tariffa di gestione che non dovrebbe gravare sui consumatori Ue, ma essere a carico delle piattaforme o degli operatori che importano: molto dipenderà dal testo finale italiano e da come verrà recepito. Nella pratica commerciale, parte del costo potrebbe essere “assorbita” oppure ribaltata nel prezzo finale o nelle spese di spedizione.

Esempio: su un ordine da 20 euro di bigiotteria, 2 euro equivalgono a un +10%; su un acquisto da 90 euro, l’impatto scende a poco più del +2%.

Per gli acquisti all’interno dell’Ue non cambia nulla: il contributo riguarda solo i flussi da Paesi terzi. Resta inoltre la possibilità, già oggi utilizzata da molti marketplace, di vendere tramite magazzini Ue, dove i beni sono stati già sdoganati e l’Iva è stata assolta tramite il sistema IOSS; in tal caso, in linea generale, non si tratterebbe di importazioni dirette al consumatore e quindi l’handling fee di frontiera non si applicherebbe sulla singola consegna finale.

Chi ci guadagna e chi rischia

Possibili beneficiari: il commercio al dettaglio nazionale e le Pmi che competono con i prezzi ultra-competitivi dei marketplace extra-Ue, specie nei settori moda, accessori, casa ed elettronica low-cost. Inoltre, le dogane nazionali potrebbero finanziare meglio i controlli e gestire il flusso di pacchetti. Confimi Industria ha già salutato positivamente l’abolizione della franchigia daziaria Ue e l’ipotesi di una handling fee transitoria.

Potenziali penalizzati: i consumatori più sensibili al prezzo e i grandi marketplace extra-Ue, che vedrebbero erosa – anche se di poco – la leva del costo. Alcune associazioni, come Codacons, stimano una “stangata” a livello Ue; altre, come Unc, contestano il carattere “protezionista” della stretta sui pacchi. Va detto però che si tratta di valutazioni ex ante e le stime di impatto variano molto a seconda delle ipotesi su chi sosterrà il costo.

Il quadro europeo: cosa ha deciso Bruxelles

Negli ultimi mesi Commissione, Parlamento e Ecofin hanno allineato la bussola su tre direttrici:

Eliminazione della soglia “de minimis” daziaria a 150 euro nel quadro della riforma doganale Ue. Regola formalmente approvata ma con entrata piena prevista nel 2028, quando sarà operativo il Data Hub per la gestione digitale dei valori e dei rischi.

Possibile anticipo al 2026 della stretta, con soluzioni transitorie tipo tariffe medie o flat fee per gestire i volumi di micro-spedizioni, in attesa dell’infrastruttura informatica.

Introduzione di una handling fee europea di 2 euro per pacco, con l’indicazione politica del Parlamento europeo: sì alla tariffa se non è scaricata sui consumatori Ue e se è conforme alle regole WTO.

La linea è sostenuta da numeri che fotografano il fenomeno: un salto da 1,4 miliardi di mini-pacchi nel 2022 a 2,3 miliardi nel 2023, fino a 4,6 miliardi nel 2024; con la Cina a pesare oltre il 90% degli invii low value.

L’Italia tra Bruxelles e la Manovra

Se l’Ue si muove a livello regolatorio, l’Italia intende fare da apripista sul piano operativo. Nelle interlocuzioni più recenti, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spinto per una stretta già dal 2026, in coerenza con la rotta europea. La stampa economica, dai principali quotidiani alle agenzie, registra come l’idea del contributo da 2 euro sia tra le leve individuate per correggere i saldi di Manovra e, allo stesso tempo, per segnare una linea politica contro la concorrenza sleale percepita. Poste Italiane, intanto, ha segnalato di non attendersi impatti rilevanti sul business nel caso di una fee Ue sui piccoli pacchi.

Sul “chi” e sul “quando”, però, prudenza d’obbligo: l’emendamento dovrà essere selezionato tra i “segnalati”, discusso e approvato; l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2026 è un’ipotesi ambiziosa, ma legata all’iter in Parlamento e ai necessari raccordi con Bruxelles.

Quanto vale per lo Stato

La gettoniera da 2 euro per ogni collo fa gola perché i volumi sono giganteschi. A livello Ue si parla di entrate potenziali nell’ordine di miliardi l’anno per finanziare controlli e digitalizzazione; per l’Italia, la stima dipende dal numero di invii effettivamente sdoganati nel Paese e da come sarà definita la soggettività passiva della fee. Prudenza, dunque, sulle cifre: le valutazioni circolate restano indicative finché non si conoscerà il testo finale e il perimetro delle esenzioni (ad es. campioni, resi, riparazioni, categorie sensibili).