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il caso

iRobot dice addio all'autonomia e passa ai cinesi: la parabola di Roomba, icona tech che non regge la globalizzazione

Azienda americana in bancarotta, crollo dei ricavi dopo l'entrata in scena dei colossi asiatici

Fabio Russello

15 Dicembre 2025, 13:52

iRobot dice addio all'autonomia e passa ai cinesi: la parabola di Roomba, icona tech che non regge la globalizzazione

Non è solo il fallimento di un'azienda: è la fine di un mito. iRobot, nata nel 1990 da ingegneri del MIT e celebre per i suoi Roomba – quei robot aspirapolvere che negli anni Duemila hanno portato il futuro sotto i divani di mezzo mondo con oltre 40 milioni di unità vendute – ha depositato istanza di Chapter 11 negli Stati Uniti (che nel dirotto Usa è una sorta di dichiarazione di bancarotta). Il controllo passa al fornitore cinese Shenzhen PICEA Robotics, le azioni vengono azzerate e, per gli azionisti, resta solo il valore simbolico di un'epoca che svanisce.

Formalmente, iRobot continua a operare come "going concern", pagando stipendi e fornitori. Ma nella sostanza, è un'uscita di scena annunciata. Dopo il boom post‑2000, i conti si sono inceppati nel post‑Covid: catene di fornitura fragili, costi alle stelle e una domanda che non decolla più. Il colpo di grazia? La concorrenza cinese, che ha conquistato il mercato globale dei robot pulizia – valutato oltre 5 miliardi di dollari nel 2024 con un +15% annuo secondo IDC – con prezzi aggressivi e innovazione fulminea.

Mentre Roomba restava ancorata al suo status di premium "storico", marchi come Roborock (fondata a Pechino nel 2014 e leader mondiale quest'anno), Dreame (Suzhou 2015, presente in 120 paesi) e Narwal (Dongguan 2016) hanno ribaltato il tavolo. Oggi, entrando in un grande store o sfogliando Amazon, li trovi ovunque: mappature LiDAR 3D, lavapavimenti con stazioni auto‑svuotanti, intelligenza artificiale reale, a prezzi del 30–50% inferiori. Roborock scala con R&D aggressivo, Dreame attacca anche i baluardi europei come Dyson e Vorwerk, Narwal stupisce con modelli come il Flow, un mix di IA e meccanica di precisione. Risultato per iRobot: ricavi 2024 sotto i 600 milioni di dollari (da un picco di 1,5 miliardi nel 2021), margini ridotti al 5–8% contro il 25% dei rivali asiatici, quota di mercato sotto il 10%.

C'era stata una speranza nel 2022, con l'offerta di Amazon per 1,7 miliardi di dollari che avrebbe integrato Roomba nell'ecosistema smart home. Ma Bruxelles ha detto no per timori antitrust sui dati domestici. iRobot ha incassato 90 milioni di compensi, ma gran parte è finita in consulenze e nel rimborso di un prestito ponte da 200 milioni concesso da Carlyle. Il bilancio nel filing parla chiaro: asset e passività tra 100 e 500 milioni di dollari, cassa prosciugata, nessun futuro indipendente.

È una storia che va oltre i robot domestici. L'innovazione americana ha aperto la strada – robot pulenti in massa dal 2015 sono cresciuti del 200% – ma la Cina ha costruito l'autostrada: integrazione verticale, cicli rapidi, costi di produzione inferiori del 40%. Le supply chain asiatiche amplificano i rischi geopolitici, e iRobot ne paga il prezzo. Per gli investitori, è un monito: titoli tech consumer volatili, con iRobot crollato del 95% dal 2021. Occhio invece ai cinesi, come Roborock reduce da un'IPO a Hong Kong con +30% quest'anno. Il settore smart cleaning punta ai 10 miliardi entro il 2028, spinto da IA e 5G, ma con nubi Usa‑Cina all'orizzonte.

Shenzhen PICEA eredita il know‑how, Roomba resta un brand. Ma quel "futuro sotto il divano" oggi gira made in China: economico, veloce, inarrestabile.