finanziaria
Pensioni e riscatto della laurea, marcia indietro del governo. Perché la retroattività avrebbe scatenato una valanga di ricorsi
Un passo indietro in extremis e un principio giuridico che ha salvato migliaia di carriere: cosa c’era davvero dietro alla polemica sui riscatti di laurea
Un ingegnere che ha pagato «per uscire a 62 anni», una biologa che ha rateizzato «quei 6mila euro l’anno», un avvocato che ha riscattato tre anni a costo ordinario. Fino a poche ore prima tutti temevano che quelle scelte — legittime, pianificate, pagate — potessero perdere peso ai fini dell’uscita anticipata. Poi il dietrofront. Sul riscatto della laurea resta tutto come prima.
Il contesto politico: il pacchetto previdenza che ha fatto traballare la maggioranza
Tra la tarda serata di lunedì 15 dicembre 2025 e la notte di giovedì 18 dicembre, il governo ha portato in Senato un maxiemendamento da 3,5 miliardi che teneva dentro misure per le imprese — iperammortamento, Transizione 4.0/5.0, ZES — e una stretta sulle pensioni, con l’idea di allungare le “finestre” di decorrenza e di rimodulare il peso del riscatto di laurea per l’accesso all’anticipo pensionistico. La mossa ha spaccato la maggioranza: la Lega ha minacciato di non votare il testo. Nel cuore della notte, per evitare lo strappo, Palazzo Chigi ha ritirato l’intero pacchetto sulla previdenza e presentato un emendamento “asciugato”, lasciando nel perimetro solo le misure pro-impresa e le rimodulazioni del Pnrr.
La sequenza è utile per capire il nodo giuridico. In Aula e in Commissione, la premier Giorgia Meloni e il MEF hanno chiarito che la stretta sui riscatti non sarebbe stata retroattiva: «I diritti acquisiti vanno salvaguardati», ha ribadito anche il ministro Giancarlo Giorgetti. Resta il fatto politico: la prudenza sulla retroattività è arrivata dopo la rivolta del Carroccio e le critiche dell’opposizione e dei sindacati, che hanno evocato l'incostituzionalità della norma e una prevedibile valanga di ricorsi.
Cosa prevedeva (e cosa ancora prevede) la stretta tecnica
Il cuore del contenzioso era duplice: da una parte l’idea di sterilizzare, in modo progressivo, una quota dei mesi di contribuzione ottenuti con il riscatto di laurea ai soli fini dell’accesso alla pensione anticipata; dall'altro l’allungamento delle “finestre” di decorrenza della pensione anticipata: 3 mesi per chi matura i requisiti entro il 2031, poi 4 mesi entro il 2033, 5 mesi nel 2034 e fino a 6 mesi dal 2035. Una misura che, secondo le ricostruzioni, rimaneva in piedi fino al ritiro complessivo del pacchetto previdenziale.
In parallelo, la Lega ha tentato di cancellare anche l’allungamento delle finestre, indicando coperture tramite una clausola IRAP a partire dal 2033. Ma quando la linea dura del Carroccio ha bloccato il negoziato, il governo ha scelto lo stralcio dell’intero capitolo pensioni, facendo salve, nel nuovo testo ridotto, la proroga delle maxi deduzioni fiscali per le assunzioni e gli interventi sul Pnrr come coperture.
Perché la retroattività avrebbe aperto i tribunali
Qui entra in gioco la grammatica del diritto. Nel nostro ordinamento, il principio generale è limpido: «La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». È l’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale, fondamento del cosiddetto diritto intertemporale. Non è un tabù assoluto — il legislatore può motivatamente intervenire in retro — ma ha confini stretti, tracciati dalla Corte costituzionale: serve una giustificazione «ragionevole», il rispetto del legittimo affidamento e il divieto di colpire diritti già acquisiti.
Nel campo previdenziale, proprio l’affidamento dei cittadini è storicamente protetto da due paletti: il principio dei «diritti quesiti» e del pro rata: ciò che è stato maturato secondo una disciplina non può essere cancellato per il passato; si può intervenire sul futuro, non retroattivamente in peius; la distinzione tra modifiche al «quando» si va in pensione e modifiche al «quanto» si percepirà: entrambe delicate, ma le seconde ancora più esposte al controllo di costituzionalità quando incidono su trattamenti consolidati.
Nell’ipotesi circolata in Commissione, la «retroattività cattiva» avrebbe preso la forma di una progressiva svalutazione dei mesi riscattati nel passato ai fini dell’uscita anticipata. In concreto: chi ha pagato il riscatto per maturare, ad esempio, 42 anni e 10 mesi (con un anno in meno per le donne) avrebbe visto scalare da 6 fino a 30 mesi di anzianità utile entro il 2035, allungando l’attesa. È esattamente l’effetto che i sindacati hanno bollato come «incostituzionale» e che ha acceso il semaforo rosso dei giuristi.
Riscatto di laurea: cosa compra davvero chi paga
Per capire la portata del problema bisogna ricordare cos’è il riscatto di laurea. Dal 2019 esiste un riscatto agevolato per i periodi valutati col sistema contributivo; dal 2024 l’istituto è stato esteso anche a chi ha frequentato un ITS Academy, con criteri precisi e tetti di durata. Il riscatto compra principalmente anzianità contributiva e, nei casi a calcolo retributivo/contributivo misto, può incidere anche sui montanti. I costi oscillano: per il 2025, una simulazione su quattro anni con reddito lordo 32.170 euro ha stimato 42.464 euro in modalità ordinaria (circa 10.500 l’anno), mentre l’opzione agevolata vale 6.123 euro per anno. Rateizzazioni e benefici fiscali sono parte integrante dell’operazione.
E qui si innesta l’argomento-chiave contro la retroattività. Chi ha riscattato ha compiuto una scelta economica rilevante, confidando in una normativa che prometteva un certo effetto giuridico: anticipare l’uscita (o comunque maturare prima il requisito contributivo). Il patto non è scritto tra privati, ma tra cittadino e Stato: cambiarne le regole dopo che il cittadino ha pagato significa incidere sull’affidamento protetto. La Corte costituzionale e la Cassazione — anche di recente — hanno ripetuto che interventi retroattivi peggiorativi in materia pensionistica vanno scrutinati con rigore e possono cadere se privi di ragionevolezza e di un bilanciamento adeguato.
Che cosa cambia davvero per i cittadini: effetti pratici
Chi ha già riscattato: secondo le indicazioni del governo, i diritti acquisiti vengono salvaguardati. Tradotto: chi ha pagato e vede già accreditati i periodi nella posizione assicurativa non perde i mesi ai fini dell’anticipata. Resta, però, da seguire l’eventuale ripresentazione — non retroattiva — di una stretta sulle finestre nel 2031-2035, oppure in un decreto ad hoc.
Chi ha presentato domanda ma non ha ancora l’ok: è la fascia grigia più delicata. In passato, la giurisprudenza ha riconosciuto che l’effetto del riscatto scatta con il provvedimento di ammissione e il relativo pagamento, non con la semplice istanza. Se una nuova norma — per il futuro — cambiasse le regole, potrebbe valere per chi non ha ancora perfezionato il riscatto. Prudenza e verifica caso per caso saranno d’obbligo.
Chi sta valutando il riscatto nel 2026: le cifre attuali dicono che il costo agevolato si aggira sui 6.100 euro l’anno nel 2025; gli importi variano ogni anno, e per il 2026 andranno verificati i parametri. Le domande sono rateizzabili e i versamenti deducibili o detraibili in alcuni casi. In ogni caso, le scelte dovranno considerare eventuali nuove finestre o soglie che il governo potrebbe reintrodurre con efficacia solo per il futuro.