gli scenari
Manovra 2026: Irpef più leggera, Isee “a due velocità”, sanità col freno tirato. Chi vince e chi rischia
Due punti in meno sulla seconda aliquota Irpef, prima casa esclusa dall’Isee fino a 200 mila euro ma solo nelle 14 città metropolitane, 7,7 miliardi alla sanità ma rapporto spesa/Pil in calo: un bilancio lucido, con numeri e conseguenze pratiche
C’è chi sorride per i “due punti” in meno di Irpef sulla seconda aliquota, chi chiede se la prima casa farà davvero salire o scendere il proprio Isee, e chi chiede lumi sulla sanità? Dietro gli slogan nella Manovra 2026 si nascondono effetti molto concreti sul portafoglio di 13,6 milioni di contribuenti, sulle famiglie delle 14 città metropolitane e sui conti del Servizio sanitario nazionale. Qui proviamo a separarli, con numeri verificati e una bussola per capire chi ci guadagna, chi resta fermo e chi rischia di perdere terreno.
Il taglio dell’Irpef: due punti che contano (ma non per tutti allo stesso modo)
La misura più attesa è il taglio della seconda aliquota Irpef: dal 35% al 33% per la quota di reddito compresa tra 28.000 e 50.000 euro. Il beneficio è concentrato su chi sta verso la parte alta dello scaglione. Secondo le stime circolate con la manovra, la platea interessata è di circa 13,6 milioni di contribuenti, con un vantaggio medio intorno a 200–210 euro l’anno e un risparmio massimo nell’ordine di 440 euro per chi si avvicina ai 50.000 euro. Il costo lordo della misura è stimato in circa 3 miliardi nel 2026. Questi ordini di grandezza sono stati confermati da analisi e schede tecniche diffuse nelle ultime settimane.
Come funziona in pratica? Per redditi fino a 28.000 euro resta l’aliquota al 23%; tra 28.000 e 50.000 scende al 33%; oltre 50.000 rimane il 43% per la parte eccedente. Un esempio semplificato: a 40.000 euro lordi, il risparmio annuo si colloca attorno ai 200–240 euro; a 50.000, sfiora i 440 euro. Il beneficio relativo si riduce avvicinandosi ai 28.000.
La riduzione è “orizzontale” sullo scaglione, non un assegno fisso; questo spiega perché l’effetto è crescente con il reddito fino a 50.000 euro. Alcune ricostruzioni segnalano, inoltre, meccanismi di “sterilizzazione” per redditi molto elevati (oltre 200.000 euro) al fine di contenere effetti regressivi; una specifica che il legislatore ha maneggiato in bozza e nelle relazioni, e che va verificata in sede applicativa e con i futuri provvedimenti attuativi.
Quanto vale sui conti pubblici? Le prime stime parlavano di 2,5 miliardi; la versione approvata nel passaggio parlamentare si colloca intorno ai 3 miliardi per il 2026. Il differenziale dipende dal perimetro finale della misura e dall’interazione con detrazioni e “cap” su platee ad alto reddito. In ogni caso, l’intervento è una dote non trascurabile per il ceto medio fiscale, ma lontana da una riforma strutturale del prelievo.
Chi ci guadagna davvero
Lavoratori dipendenti con redditi compresi tra 35.000 e 50.000 euro: effetto più percepibile in busta paga netta, specie in assenza di correzioni su detrazioni.
Autonomi e pensionati nella stessa fascia: beneficio analogo sul piano aritmetico, con impatto percepito variabile a seconda del profilo di detrazioni e deduzioni.
Sotto i 30.000 euro: vantaggio modesto; la misura non tocca l’aliquota del 23%.
Isee, la novità che divide: prima casa esclusa… ma solo dove la vita costa di più
È il secondo pilastro della manovra, e forse quello più insidioso da interpretare per le famiglie.
La prima casa viene esclusa dal calcolo Isee fino a 200.000 euro di valore catastale, ma solo nei Comuni capoluogo delle 14 Città metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari, Catania, Messina, Palermo). Negli altri comuni, la franchigia “base” sale da 52.500 a 91.500 euro, con una maggiorazione di 2.500 euro per ogni figlio successivo al primo. L’obiettivo dichiarato è tener conto dei valori immobiliari più elevati nelle grandi aree urbane.
Attenzione però: l’esclusione/innalzamento opera “a geometria variabile”. Per una serie di bonus nazionali – come assegno unico, assegno di inclusione, bonus nido, sostegno alla formazione e al lavoro, e i nuovi nati – varranno le nuove soglie. Ma per i servizi locali (mense, nidi comunali e altre agevolazioni gestite dai Comuni) si continuerà ad applicare la vecchia franchigia di 52.000 euro sulla prima casa. Risultato: un Isee “a due velocità”, più generoso per i benefici statali, più prudente per le tariffe e i contributi decisi a livello locale. Inoltre, il nuovo Isee chiederà di dichiarare anche giacenze in valuta estera, criptovalute e rimesse via money transfer. Sono dettagli che complicano il quadro e impongono ai nuclei familiari di verificare, caso per caso, quale “versione” dell’Isee servirà per ciascun beneficio.
Perché solo le città metropolitane? La ratio economica è legata alla sperequazione dei valori immobiliari e al costo della vita; il legislatore ha optato per una soluzione mirata, rinunciando a una franchigia uniforme nazionale a 200.000 euro (scenario che avrebbe ampliato troppo platea e costo). In prospettiva, non è escluso che il combinato disposto tra franchigie e curve di equivalenza familiari stimoli aggiustamenti ulteriori nei decreti attuativi.
Effetti pratici per le famiglie
Famiglie proprietarie di prima casa in Milano, Roma o nelle altre metropoli: l’Isee per i bonus nazionali potrebbe scendere (a parità di reddito e altre variabili), ampliando l’accesso ad alcune misure.
Stesso nucleo, stessi redditi ma residente fuori dalle metropoli: la franchigia “solo” a 91.500 euro potrebbe ridurre l’effetto positivo.
Per tariffe e servizi comunali: il “ritorno” alla soglia 52.000 limita gli impatti sul bilancio dei Comuni, ma crea disomogeneità che gli utenti dovranno maneggiare con attenzione quando presentano domande e autocertificazioni.
Sanità: più fondi nominali, meno sanità in rapporto alla ricchezza
La terza gamba della manovra è il rifinanziamento della sanità. Il governo mette sul piatto 7,7 miliardi nel triennio 2026–2028: 2,4 miliardi nel 2026, 2,65 miliardi nel 2027 e 2,65 miliardi nel 2028. Considerando anche gli stanziamenti pregressi, il Fondo sanitario nazionale (FSN) arriverebbe a circa 143,1 miliardi nel 2026, 144,1 miliardi nel 2027 e 145 miliardi nel 2028. Numeri importanti, che però non impediscono al rapporto tra spesa sanitaria e Pil di scendere: dopo un lieve rialzo nel 2026 (intorno al 6,1–6,2%), il peso tornerebbe verso il 6,0–5,9% tra 2027 e 2028. È la fotografia – critica – della Fondazione GIMBE, ripresa da più testate, che parla di “assenza di un vero rilancio del SSN”.
Cosa significa in concreto?
Se il Pil cresce più della spesa sanitaria, il rapporto spesa/Pil arretra anche con fondi nominali in aumento. Il rischio segnalato dagli operatori è duplice: comprimere la capacità di assorbire nuovi farmaci innovativi e frenare il recupero delle liste d’attesa. In parallelo, la spesa per personale – medici e infermieri – fatica a colmare i buchi lasciati dalla combinazione di pensionamenti e mobilità.
Nel 2026 il salto è più visibile (+6,6 miliardi sul 2025 sommando fondi pregressi e nuovi stanziamenti), ma già dal 2027 la curva si “appiattisce” (+0,7% circa), scendendo a un +0,6% nel 2028. La lettura di GIMBE è chiara: coperta “corta”, misure frammentate e una distribuzione che rischia di non aggredire i nodi strutturali (territorio, personale, tecnologia e governance degli acquisti).
Il messaggio politico è differente: l’Esecutivo rivendica l’incremento di risorse in un quadro di vincoli di finanza pubblica e di rialzo dei tassi negli anni passati, con l’obiettivo di difendere la tenuta del sistema. La differenza di approccio si gioca proprio sull’indicatore: per il governo contano i miliardi in più; per gli analisti indipendenti conta la quota di Pil investita.
Rottamazione delle cartelle: nove anni per chiudere i conti con il fisco
Nel pacchetto fiscale rientra anche la nuova pace fiscale. La manovra prevede una rottamazione dei carichi affidati all’agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2023, con pagamento in 54 rate bimestrali (quindi 9 anni), rata minima 100 euro e interessi al 3%. Termine per aderire previsto ad aprile 2026, primo pagamento da luglio 2026. Secondo la relazione tecnica, gli incassi attesi potrebbero toccare 9 miliardi nel periodo 2026–2036. È una finestra di regolarizzazione lunga, ma con platea regolata da parametri selettivi.
Il quadro d’insieme: un equilibrio che rimanda le scelte strutturali
La Manovra 2026 è costruita su un equilibrio prudente. Il taglio Irpef da 3 miliardi offre un segnale al ceto medio senza strappi nei conti; la revisione Isee prova a calibrare il sostegno dove la ricchezza immobiliare “disturba” di più l’accesso ai bonus; la sanità riceve fondi che, però, non invertirebbero la tendenza del rapporto spesa/Pil. È un mix che “fa qualcosa per tutti”, ma non risolve tutto per nessuno.
Le prossime mosse? Due variabili guideranno il giudizio finale:
L’attuazione pratica, dai decreti interpretativi sull’Isee ai contratti nel SSN e alla gestione dei fondi regionali.
La dinamica macroeconomica: se il Pil del 2026–2028 accelerasse più del previsto, la quota sanitaria sul Pil scenderebbe ulteriormente; viceversa, una crescita moderata o un rifinanziamento aggiuntivo potrebbero stabilizzarla.
Nel frattempo, il consiglio operativo per famiglie e contribuenti è di non farsi sorprendere dall’Isee “a due velocità” e di aggiornare le simulazioni con i nuovi parametri; per chi rientra nello scaglione 28–50 mila, monitorare il netto in busta già dai primi mesi del 2026; e per chi ha conti aperti con il fisco, valutare la rottamazione tenendo conto del calendario (aprile 2026 adesione; prima rata luglio 2026) e dei costi alternativi.
In definitiva: poche sorprese, molte conseguenze. E una certezza da tenere a mente quando si farà la fila al Caf o si aprirà il cassetto fiscale nel 2026: i numeri della manovra parlano chiaro, ma il loro effetto dipenderà da dove vivete, quanto guadagnate e da quanto vale – sulla carta – la vostra prima casa.