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Antitrust ferma Meta su WhatsApp: stop alle clausole che tagliano fuori i chatbot rivali

Una misura cautelare che congela la stretta di Meta sull’AI in WhatsApp. L’Autorità italiana contesta condizioni che, dal 15 gennaio 2026, avrebbero escluso i concorrenti: in gioco c’è l’accesso al più grande canale di messaggistica e la contendibilità di un mercato appena nato.

Redazione La Sicilia

24 Dicembre 2025, 11:20

Antitrust ferma Meta su WhatsApp: stop alle clausole che tagliano fuori i chatbot rivali

L’Antitrust italiana ha ordinato a Meta di sospendere quelle clausole di WhatsApp Business Solution Terms che, a partire dal 15 ottobre 2025, introducevano un divieto mirato contro i “provider di AI” generalisti. Niente più ChatGPT, niente Copilot, niente assistenti multiuso non targati Meta: la corsia d’accesso a 2 miliardi di utenti di WhatsApp (su scala globale) si sarebbe ristretta a un’unica corsia preferenziale, quella di Meta AI. L’Autorità non ci sta: la misura è cautelare ma pesante, perché interviene su un’infrastruttura di distribuzione cruciale per l’AI conversazionale. Secondo l’AGCM, quelle condizioni rischiano di limitare “produzione, sbocchi o sviluppo tecnico” del mercato dei servizi di AI chatbot, con danni ai consumatori. Meta contesta: la decisione è “fondamentalmente errata” e sarà impugnata; i chatbot di terzi graverebbero su sistemi “non progettati” per quel carico. Ma intanto lo stop scatta.

Che cosa ha deciso l’Antitrust e perché conta

La misura cautelare adottata il 24 dicembre 2025 impone a Meta di sospendere le specifiche clausole che, nei nuovi WhatsApp Business Solution Terms, vietano l’uso della piattaforma a “AI Providers” quando l’AI è la funzionalità primaria del servizio offerto. È un passaggio tecnico, ma con conseguenze industriali: WhatsApp è il canale di comunicazione dominante per cittadini e imprese e da mesi era diventato una porta d’ingresso per chatbot “general purpose”. Secondo l’AGCM, blindare quella porta avrebbe potuto restringere l’accesso a un mercato nascente e ridurre l’innovazione, in possibile violazione dell’art. 102 TFUE. La stessa Autorità ricorda che il procedimento principale è partito a luglio 2025 sulla presunta integrazione “in posizione preminente” di Meta AI in WhatsApp e che il 25 novembre è stato ampliato, in parallelo all’avvio del sub-procedimento cautelare sulle nuove condizioni, introdotte il 15 ottobre e con piena efficacia prevista entro il 15 gennaio 2026.

La cronologia essenziale: da luglio alla Vigilia

30 luglio 2025 – L’AGCM apre l’istruttoria contro Meta Platforms, WhatsApp Ireland e altre società del gruppo. Il cuore del dubbio: l’inserimento di Meta AI dentro WhatsApp potrebbe “imporre” agli utenti l’uso del chatbot e canalizzare la base utenti nel nascente mercato dell’AI, non per merito competitivo ma per legame forzato tra servizi. L’Autorità opera “in stretta cooperazione” con la Commissione europea. Meta replica: stiamo collaborando, offrire AI su WhatsApp significa più scelta, non meno. Le sanzioni, se si accertasse l’abuso, possono arrivare fino al 10% del fatturato globale.

15 ottobre 2025WhatsApp aggiorna i Business Solution Terms: stop all’uso della piattaforma da parte di AI generaliste distribuite via Business API se l’AI è la funzionalità principale. Il testo include un’ampia definizione di “AI Providers” e attribuisce a Meta un significativo margine discrezionale nel decidere cosa rientra nel divieto. Entrata in vigore effettiva fissata al 15 gennaio 2026.

26 novembre 2025 – L’AGCM amplia l’oggetto dell’istruttoria e apre la procedura ex art. 14-bis legge 287/1990 per l’adozione di misure cautelari contro le nuove clausole e ulteriori integrazioni di Meta AI in WhatsApp.

24 dicembre 2025 – Scatta la misura cautelare: Meta deve sospendere le condizioni che escludono i concorrenti da WhatsApp. Meta annuncia ricorso e definisce “viziata” la decisione; per l’AGCM, la stretta su WhatsApp poteva comprimere accesso al mercato e sviluppo tecnico a danno dei consumatori.

Cosa sono, in concreto, le clausole contestate

Nei WhatsApp Business Solution Terms aggiornati a ottobre, Meta ha introdotto una sezione dedicata agli “AI Providers”: fornitori e sviluppatori di tecnologie di intelligenza artificiale (inclusi, a titolo esemplificativo, LLM, piattaforme di AI generativa e assistenti generalisti) vengono “strettamente proibiti” dall’accedere o usare la Business Solution quando l’AI costituisce la funzionalità primaria offerta via WhatsApp. La ratio dichiarata: preservare la Business API per casi d’uso transazionali e customer support, scoraggiando la distribuzione di assistenti generalisti come “contatti” dentro WhatsApp. Ma l’ampiezza della definizione e la discrezionalità attribuita a Meta nel giudicare se un uso è “primario” o “ancillare” hanno allarmato i regolatori.

Gli effetti immediati: via i grandi assistenti di terze parti

Le nuove regole avevano già innescato un effetto domino: OpenAI e Microsoft si erano preparate a rimuovere, rispettivamente, ChatGPT e Copilot da WhatsApp entro il 15 gennaio 2026. Anche altri player, come Perplexity, erano attesi al ritiro. La misura cautelare italiana interviene prima della data fatidica e apre una finestra di incertezza (o di ossigeno, secondo i concorrenti) sulla possibilità di continuare a raggiungere gli utenti WhatsApp dal canale ufficiale.

Perché l’Italia interviene: dominanza, lock-in e innovazione

Alla base del ragionamento dell’Antitrust c’è una domanda semplice: quando il soggetto che controlla l’accesso al pubblico di massa (la piattaforma dominante di messaggistica) introduce un divieto orizzontale contro i rivali in un mercato adiacente (i chatbot generalisti), sta difendendo l’integrità tecnica del servizio o sta usando il “ponte” della propria dominanza per erigere barriere? L’AGCM evidenzia tre rischi:

Riduzione di output e sbocchi per i rivali, che si vedrebbero tagliati fuori dal canale più capillare d’Europa.

Impatto sullo sviluppo tecnico, perché meno contendibilità significa meno stimolo a innovare, proprio mentre l’AI conversazionale muove i primi passi presso il grande pubblico.

Lock-in degli utenti: se l’assistente nativo è integrato e gli altri sono esclusi, la propensione a cambiare servizio, già bassa, può diventare un ulteriore ostacolo alla concorrenza.

La difesa di Meta: sicurezza, carico di sistema e scelta dell’utente

La replica di Meta si articola su due piani. Primo: un tema di ingegneria. La società sostiene che la proliferazione di chatbot terzi su WhatsApp avrebbe creato un carico non previsto su infrastrutture nate per la messaggistica, non per instradare Q&A massivi verso modelli esterni. Di qui l’esigenza di regole che privilegino usi transazionali e di assistenza clienti; gli “assistenti generalisti” sarebbero, in questa prospettiva, un uso improprio della Business API. Secondo: un argomento di libertà di scelta. Per Meta, offrire Meta AI su WhatsApp non impone nulla: l’assistente si attiva solo se l’utente lo chiama, e la presenza in-app aumenterebbe – e non ridurrebbe – le opzioni. Resta il fatto che, nel frattempo, il divieto per i concorrenti restringe la scelta disponibile dentro l’app. Sarà il procedimento a chiarire se l’equilibrio proposto da Meta regge al vaglio del diritto antitrust.

Il contesto europeo: rollout di Meta AI, privacy e DMA sullo sfondo

Il caso italiano si inserisce in una fase di forte espansione di Meta AI nel continente. Dopo uno stop iniziale per ragioni di privacy, Meta ha avviato il rollout europeo a marzo 2025, partendo con funzioni testuali e limitazioni rispetto agli USA (niente generazione/edizione immagini, nessun training su dati degli utenti UE). L’assistente è accessibile anche su WhatsApp, spesso richiamabile con @MetaAI e l’icona blu. In parallelo, Meta ha comunicato agli utenti UE come intende usare determinati dati per migliorare i sistemi di AI, prevedendo la possibilità di opposizione tramite form dedicato.

Sul piano regolatorio, l’Unione Europea ha designato Meta come “gatekeeper” per diversi servizi sotto il Digital Markets Act (DMA): un quadro che spinge alla interoperabilità delle piattaforme di messaggistica. WhatsApp sta preparando l’integrazione dei messaggi di terzi in Europa proprio per rispettare il DMA. È un paradosso solo apparente: da un lato si apre la chat agli “altri”; dall’altro – con le clausole contestate – si chiude la porta ai chatbot generalisti che usano la Business API come canale. L’effetto combinato sul pluralismo dei servizi di AI sarà una delle questioni di merito sul tavolo dei regolatori.

Che cosa succede ora: scenari e impatti per aziende e sviluppatori

Per gli sviluppatori di AI: la misura cautelare sospende, in Italia, l’effetto delle clausole escludenti. Tradotto: i progetti WhatsApp-based di assistenti generalisti possono non essere costretti allo spegnimento il 15 gennaio 2026, almeno fino alla decisione nel merito o a eventuali modifiche volontarie di Meta. Restano però incertezza giuridica e possibili differenze territoriali fuori dall’Italia.

Per le imprese: i bot di customer service e transazionali non sono nel mirino: anche le nuove condizioni li lasciavano in vita. Ma per chi aveva investito in assistenti generalisti su WhatsApp, la strategia “solo canale WhatsApp” torna praticabile, seppur con cautela. In ogni caso, la diversificazione dei canali (app proprietaria, web, altre piattaforme) resta una buona pratica.

Per i consumatori: più pluralismo significa possibilità di scegliere tra Meta AI e altri chatbot senza uscire da WhatsApp. La partita si gioca sulla usabilità: se il rivale è accessibile con la stessa frizione del servizio nativo, la scelta diventa reale; se invece l’esperienza è ostacolata da limiti tecnici o dall’assenza di integrazioni, l’effetto resterà teorico.

Una decisione cautelare, non una condanna: cosa resta da chiarire

La misura dell’AGCM non sancisce ancora una violazione: congela un assetto potenzialmente dannoso in attesa dell’esito dell’istruttoria. Due sono i nodi da sciogliere:

Se l’integrazione “preminente” di Meta AI in WhatsApp – avviata in Europa nella primavera 2025 – configuri un abuso di posizione dominante per legame tecnico e distributivo.

Se le clausole sugli “AI Providers” siano giustificate da esigenze tecniche e di sicurezza o se rappresentino una chiusura escludente verso concorrenti generalisti, con effetti restrittivi su output, accesso e innovazione.

Nel frattempo, l’AGCM lavora “in coordinamento” con i servizi competenti della Commissione europea. Il segnale politico-regolatorio è chiaro: i gatekeeper non possono usare il controllo su canali di massa per dettare le regole d’ingaggio in mercati adiacenti senza un vaglio antitrust rigoroso.

Il punto di vista industriale: perché WhatsApp è un canale insostituibile

Per i chatbot general purpose, essere “dentro” WhatsApp non vale come qualsiasi altro canale. In Europa, WhatsApp è spesso lo standard de facto per conversazioni personali e di servizio: ridurre la frizione d’accesso è il vantaggio competitivo decisivo. Negare l’uso della Business API ai concorrenti generalisti equivale a spostarli su canali alternativi (app proprie, web), aumentando lo switching cost per gli utenti: anche con un prodotto migliore, la barriera distributiva può soffocare la crescita. È precisamente il tipo di effetto che preoccupa i regolatori quando osservano le condotte dei gatekeeper.

Oltre il caso: concorrenza e governance dell’AI

Sul piano strategico, la vicenda illumina un tema che accompagnerà l’AI per anni: chi controlla il canale (piattaforma) ha un vantaggio sui servizi (chatbot). Se il canale diventa “proprietario” non solo dell’utenza ma anche delle regole di ingresso, la linea tra esigenza tecnica e condotta escludente si assottiglia. L’antitrust interviene proprio qui, soprattutto quando il mercato è “in formazione” e le scelte di oggi possono determinare la struttura di domani.

Nel merito, è legittimo che Meta imponga standard severi per tutelare sicurezza, affidabilità e qualità del servizio su WhatsApp. Ma quando la regola è disegnata in modo tale da vietare l’accesso ai concorrenti generalisti mentre l’assistente nativo resta integrato, la domanda antitrust è inevitabile: si poteva perseguire lo stesso obiettivo con misure meno restrittive? Ad esempio: soglie di utilizzo, throttling, audit di sicurezza, sandbox per i casi d’uso a rischio, requisiti trasparenti e non discriminatori. È su queste alternative che si giocherà una parte dell’argomentazione, tecnica prima ancora che giuridica.

La posta in gioco per l’ecosistema italiano

Per l’ecosistema AI italiano – startup, system integrator, sviluppatori di LLM verticali – l’accesso a WhatsApp è spesso la differenza tra un pilota di nicchia e un prodotto capace di scalare. Con la misura cautelare, l’Italia diventa un banco di prova: se si riuscirà a conciliare sicurezza, qualità e concorrenza, si potrà costruire un modello replicabile in altri mercati. Se invece prevarrà la linea del veto generalista, il rischio è di spingere le aziende a una dipendenza da canali proprietari difficili da negoziare o a costosi percorsi di acquisizione utenti fuori dalle piattaforme dominanti.

In sintesi: la partita non è chiusa. La misura dell’Antitrust accende un faro nel punto esatto in cui AI e piattaforme si incontrano. Il prossimo passaggio dirà se la porta di WhatsApp resterà aperta – con regole – ai concorrenti di Meta AI, o se, dal 15 gennaio 2026, gli utenti italiani si ritroveranno con un solo grande assistente dentro l’app. Oggi, quella porta resta aperta. Domani, dipenderà dalle regole.