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Aumenti in busta paga 2026: la “mini flat tax” al 5% sugli scatti da rinnovo contrattuale spiegata bene
Una nuova detassazione promessa dalla Manovra può alleggerire il prelievo sugli aumenti da rinnovo dei contratti collettivi. Ma vale per pochi, per un solo anno e con paletti stringenti: ecco come funziona davvero e cosa può cambiare per lavoratrici e lavoratori
Una mattina di gennaio del 2026: la busta paga si apre sullo schermo e la cifra dell’aumento non è divorata dalle tasse come al solito. Al posto dell’Irpef a scaglioni e delle addizionali, compare un’aliquota secca: 5%. L’agevolazione però non è per tutti, né per sempre. È un “colpo di luce” creato dalla Manovra per spingere i rinnovi dei contratti collettivi e rimettere un po’ di ossigeno nei salari. In questo articolo smontiamo l’annuncio, ricostruiamo la norma e ne misuriamo gli effetti reali, distinguendo ciò che è già definito da ciò che resta in evoluzione.
Di che cosa stiamo parlando: l’imposta sostitutiva al 5% sugli aumenti da rinnovo
Il Governo introduce per il 2026 una imposta sostitutiva del 5% applicata agli aumenti retributivi derivanti da rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Questa “mini flat tax” sostituisce l’Irpef e le addizionali regionali e comunali sulla sola quota di aumento erogata nel 2026 per effetto del rinnovo, non sull’intera retribuzione.
Secondo le ricostruzioni più consolidate della norma, il perimetro principale riguarda i dipendenti del settore privato con reddito da lavoro dipendente fino a 28.000 euro (reddito di riferimento 2025) e i rinnovi firmati nel 2025 o nel 2026, con effetti in busta paga nel 2026. La platea stimata è di circa 3,326 milioni di lavoratori, per un minor gettito complessivo stimato in circa 474,9 milioni.
In alcune versioni e approfondimenti mediatici è comparsa anche l’ipotesi di estendere o modulare la misura: dalle indiscrezioni parlamentari si è discusso di includere i rinnovi firmati fin dal 2024 e di introdurre una diversa aliquota (ad esempio 10%) per redditi tra 28.000 e 35.000/40.000 euro. Si tratta però di emendamenti e proposte, non tutti confermati in via definitiva al momento delle ultime ricognizioni pubbliche. Massima cautela, quindi: fanno fede i testi approvati nelle sedi istituzionali.
In breve: la regola-cardine è una tassazione “ultraleggera” su una porzione specifica di reddito (gli aumenti da rinnovo), circoscritta al solo anno 2026 e con limiti reddituali selettivi.
Perché il Governo la introduce
Gli obiettivi dichiarati sono due: favorire l’aggiornamento dei minimi tabellari dopo anni di inflazione elevata e agganciare più strettamente salari e produttività, con un incentivo fiscale sugli aumenti fissati dalla contrattazione. La misura si affianca ad altre agevolazioni mirate già previste dalla Manovra per il 2026: l’aliquota all’1% sui premi di produttività fino a 5.000 euro per redditi fino a 80.000 e la flat tax al 15% su straordinari, notturni e festivi fino a 1.500 euro per redditi fino a 40.000. Nel pubblico impiego, è annunciata un’analoga agevolazione al 15% sul salario accessorio con un tetto di 800 euro per redditi fino a 50.000.
Chi ci rientra e chi no
Platea base: lavoratrici e lavoratori dipendenti del settore privato con reddito fino a 28.000 euro, a cui nel 2026 viene riconosciuto un aumento retributivo derivante da un rinnovo del CCNL firmato nel 2025 o nel 2026.
Settore pubblico: su questo fronte, la “mini flat tax” del 5% sugli aumenti da rinnovo è stata talvolta indicata anche per gli statali in alcune ricostruzioni giornalistiche; tuttavia, i riferimenti più chiari e costanti collocano la misura sui rinnovi del privato, mentre per il pubblico si parla soprattutto di detassazione del trattamento accessorio al 15%. È prudente verificare l’eventuale testo definitivo e le istruzioni applicative.
Estensioni e varianti: l’ipotesi di includere i rinnovi sottoscritti nel 2024 e di ampliare la soglia fino a 35.000/40.000 euro con un’aliquota ridotta ma diversa (ad esempio 10%) è comparsa in proposte emendative. Finché non è approvata, resta un’opzione sul tavolo politico.
Come funziona in busta paga: esempi concreti
L’imposta è “sostitutiva”: al posto di Irpef e addizionali, sulla sola parte di aumento dovuta al rinnovo si applica il 5%.
- Esempio 1. Reddito 2025 pari a 24.000 euro; nel 2025 viene firmato il rinnovo; nel 2026 lo stipendio annuo cresce di 1.200 euro. Su questi 1.200 euro nel 2026 si paga il 5%, cioè 60 euro d’imposta, invece dell’aliquota ordinaria (ad esempio 33%). Il risparmio lordo rispetto al 33% è nell’ordine di 336 euro.
- Esempio 2. Reddito 2025 pari a 27.500 euro; il rinnovo del 2026 porta un aumento medio stimato di 680 euro nell’anno. Con il 5% si pagano 34 euro di imposta sulla quota agevolata, al posto di imposte ordinarie (Irpef + addizionali) che, a seconda delle situazioni, possono essere molte decine di euro superiori. La relazione tecnica individua in 680 euro la stima media degli incrementi agevolati.
Attenzione: il beneficio si applica solo nel 2026 sugli importi effettivamente erogati in quell’anno per effetto del rinnovo; non si estende automaticamente agli anni successivi, quando tornerà la tassazione ordinaria salvo ulteriori proroghe.
Cosa si intende per “imposta sostitutiva” e perché la distinzione conta
Definire l’agevolazione come “imposta sostitutiva” significa che, su quella specifica quota di reddito (gli aumenti da rinnovo pagati nel 2026), si applica una tassazione separata, che rimpiazza Irpef e addizionali. Questo è importante perché:
- delimita la base agevolata (solo l’aumento, non il resto della retribuzione);
- isola l’effetto in un singolo periodo d’imposta;
- evita di mescolare l’agevolazione con altre detrazioni/regole previste nell’Irpef ordinaria.
Il linguaggio tecnico con cui la norma è stata descritta nelle sedi specialistiche parla esplicitamente di “imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali” sulla quota agevolata.
Numeri, platea, costo: quanto pesa davvero
- Platea stimata: circa 3,326 milioni di dipendenti.
- Minor gettito di competenza: intorno a 474,9 milioni di euro.
- Aumento medio “agevolato” considerato nelle stime: circa 680 euro nel 2026.
Queste cifre suggeriscono un intervento mirato: la platea non è minoritaria, ma non abbraccia l’intero mondo del lavoro dipendente. L’effetto netto in tasca dipenderà dall’aumento previsto dal proprio CCNL: trasformare un prelievo ordinario (ad esempio 33%) in 5% solo su quella quota può valere, in media, qualche decina di euro al mese per il 2026.
Come si incastra con le altre novità fiscali del lavoro
La Manovra non si limita alla mini flat tax sugli aumenti da rinnovo. Tre architravi compongono il pacchetto “salari”:
- Premi di produttività: aliquota all’1% nel 2026-2027 fino a 5.000 euro per redditi fino a 80.000 (in forte riduzione rispetto al regime ordinario).
- Straordinari e maggiorazioni: flat tax al 15% nel 2026 su notturni, festivi, turni fino a 1.500 euro per redditi fino a 40.000; nel pubblico impiego detassazione del salario accessorio al 15% fino a 800 euro per redditi fino a 50.000.
- Rimodulazione Irpef: passaggio dal 35% al 33% per lo scaglione tra 28.000 e 50.000 euro, con benefici che si sommano, per chi ne ha diritto, agli sconti mirati sopra descritti.
Per molte buste paga, il 2026 sarà dunque un anno di “intreccio” tra sconti generalizzati (sull’Irpef) e sconti selettivi su specifiche voci retributive.
Effetti sulle trattative e sul calendario dei rinnovi
Una detassazione così circoscritta può incidere sulle strategie negoziali di imprese e sindacati. I tavoli più grandi — dai metalmeccanici ad altri settori manifatturieri e dei servizi — stanno gestendo rinnovi che producono scatti scaglionati tra il 2025 e il 2028. Con l’agevolazione confinata al 2026, diventa appetibile concentrare una quota degli aumenti proprio in quell’anno. Alcune ricostruzioni segnalano incrementi minimi contrattuali pari ad almeno 205 euro entro il giugno 2028 nel CCNL metalmeccanici, un contesto nel quale la mini flat tax può giocare un ruolo tattico nel calendario degli scatti del 2026.
Le critiche: equità, distorsioni e platea ristretta
Economisti e addetti ai lavori hanno sollevato alcune obiezioni:
- Distorsione tra “tipi” di aumento: due lavoratori con identico incremento salariale potrebbero subire prelievi diversi se l’aumento nasce da un rinnovo contrattuale (agevolato) oppure da altre voci (non agevolate), intaccando la neutralità del sistema.
- Platea ristretta e beneficio modesto: se la soglia di reddito è fissata a 28.000 euro e la stima media dell’aumento agevolato è 680 euro, il vantaggio per il singolo resta contenuto. Le critiche si concentrano sull’idea che non basti a recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione degli ultimi anni.
- Incertezza normativa: la moltiplicazione di flat tax su singole voci (premi, straordinari, rinnovi) aumenta la complessità delle buste paga e la volatilità delle regole, con il rischio di “finestra annuale” che stimola ottimizzazioni tattiche ma non una crescita salariale strutturale. Osservazione diffusa nel dibattito pubblico e nelle analisi di testate economiche.
Che cosa devono fare aziende e lavoratori adesso
- Aziende: simulare l’effetto in busta paga per i dipendenti sotto i 28.000 euro, pianificando il calendario degli scatti contrattuali nel 2026 laddove le parti ritengano opportuno anticipare una quota di incremento. Preparare l’elaborazione paghe al regime sostitutivo e monitorare i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.
- Lavoratrici e lavoratori: verificare il proprio reddito di riferimento (2025), il calendario degli scatti del CCNL applicato e l’eventuale presenza di una clausola di “rinuncia” all’agevolazione; tenere traccia delle ulteriori misure cumulabili (premi, straordinari) per massimizzare il beneficio del 2026.
Una nota sulle versioni circolate: 28.000 o 33.000? 2025-2026 o 2024-2026?
Nel dibattito pubblico sono circolate soglie e finestre temporali diverse. Alcune ricostruzioni hanno parlato di 33.000 euro e di copertura dei rinnovi firmati dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, ma le letture più aggiornate e coerenti con le relazioni tecniche parlano di soglia a 28.000 euro e rinnovi firmati nel 2025 e 2026 con applicazione alle buste paga 2026. In Parlamento sono stati presentati emendamenti per estendere la finestra ai rinnovi del 2024 e allargare (con aliquota diversa) la platea fino a 35.000/40.000 euro: fino all’eventuale approvazione definitiva, restano ipotesi, non regola. La prudenza, qui, è una forma di accuratezza.
Il verdetto: utile, ma non risolutiva
La flat tax al 5% sugli aumenti da rinnovo è una spinta tattica: rende meno oneroso l’aumento contrattuale nel 2026, incoraggia le parti a chiudere i tavoli e porta, per chi rientra, un risparmio immediato e percepibile. Ma non risolve la questione di fondo dei salari italiani: crescita lenta, ritardi nei rinnovi, potere d’acquisto eroso. L’architettura selettiva — per soglie, importi e un solo anno — rischia di generare nuove disparità se non accompagnata da una stagione di rinnovi tempestivi e da una traiettoria di crescita salariale più stabile.
Per chi oggi vede finalmente un rinnovo all’orizzonte, è un segnale concreto. Per tutti gli altri, la vera partita resta quella — più impegnativa — di un mercato del lavoro che remuneri meglio e in modo più lineare la produttività e le competenze, senza dover affidare la paga del mese a finestre agevolative che si aprono e si chiudono nel giro di un anno.