l'analisi
Pensioni, la riforma che non c’è: cosa davvero cambia dal 2026 e perché l’uscita diventa più lontana
Tra finestre allungate, correttivi dell’ultimo minuto e promesse non mantenute: una guida ragionata alle nuove regole per smettere di lavorare
Un capannone alle porte di Brescia, turno di notte. Alle 5.30 un addetto alla pressa guarda l’orologio: “Me ne mancano ancora quattro anni?” chiede al caporeparto. Non è una battuta. Per molti lavoratori la combinazione tra nuovi paletti, recupero dell’adeguamento all’aspettativa di vita e allungamento della finestra mobile significa proprio questo: l’uscita si allontana di mesi, talvolta di anni. E la promessa, ripetuta per anni, di “cancellare la legge Fornero” resta lettera morta. Nel frattempo, un emendamento del governo, riscritto in corsa, ha sfiorato l’ipotesi di far rimanere in servizio (o nel sistema assicurativo) fino a quasi quattro anni in più alcuni lavoratori che avevano riscattato la laurea: la misura è stata poi corretta, ma il segnale politico è chiaro. La riforma complessiva? Non pervenuta.
Cosa resta e cosa cambia davvero
- La “cancellazione” della Fornero non è arrivata: niente tagli strutturali ai requisiti, e gli scatti legati alla speranza di vita tornano – anche se in modo graduale – a partire da gennaio 2027.
- Le vie di uscita anticipata “speciali” come Quota 103 e Opzione donna non vengono prorogate dal 1° gennaio 2026; sopravvive solo l’Ape sociale. I diritti maturati entro le scadenze restano “cristallizzati”, ma per i nuovi ingressi i canali si restringono.
- La finestra mobile per la pensione anticipata ordinaria si allunga progressivamente: da 3 mesi oggi a 4 mesi (requisiti maturati entro il 31 dicembre 2033), 5 mesi nel 2034, 6 mesi dal 1° gennaio 2035. È il cuore della stretta.
- Lo stop al “cumulo” della rendita della previdenza complementare per anticipare la pensione di vecchiaia (introdotto nel 2024) è stato cancellato con un nuovo emendamento, per risparmiare spesa futura.
- Il caso più esplosivo – la penalizzazione del riscatto della laurea breve ai fini dell’anticipata – è stato riformulato dopo le proteste: via la retroattività promessa dalla premier Giorgia Meloni, ma il tema resta aperto per il futuro.
Le regole sull’età: lo scatto legato alla vita media torna, ma a piccoli passi
Dal 2027 le soglie per l’anticipo ordinario riprendono a rincorrere l’aspettativa di vita. La manovra 2026 prevede un primo aumento di +1 mese nel 2027, che diventa +2 mesi nel 2028 rispetto ai requisiti del 2026; poi il meccanismo si mette a regime. Tradotto: l’anticipo ordinario richiederà via via più anzianità contributiva – oltre i 43 anni per gli uomini e oltre i 42 anni per le donne nell’arco del prossimo decennio – e chi pensava di tagliare il traguardo nel 2027-2028 dovrà ricalcolare le date. È un ritorno alla normalità della Fornero, non una sua abolizione.
Perché questo conta? Perché l’adeguamento “mangia” tempo prima ancora di sommare l’effetto delle nuove finestre mobili. Chi programma l’uscita dovrà proiettare i requisiti su un orizzonte più lungo e considerare margini di sicurezza.
Finestre più lunghe: tre, quattro, cinque e poi sei mesi
La vera novità operativa è l’allungamento delle finestre tra la maturazione dei requisiti e la decorrenza dell’assegno per l’anticipata:
- fino al 31 dicembre 2031 resta la finestra di 3 mesi;
- per i requisiti maturati fino al 31 dicembre 2033 la finestra sale a 4 mesi;
- nel 2034 passa a 5 mesi;
- dal 1° gennaio 2035 diventa 6 mesi.
È scritto nel maxi-emendamento alla manovra e confermato da più fonti istituzionali. In pratica, chi oggi lascia a marzo inizierebbe a percepire l’assegno a giugno; nel 2035, a settembre. Un’attesa in più che, mese dopo mese, riduce la “convenienza” dell’anticipo.
Il caso riscatto laurea: lo scivolone politico e il “quasi quattro anni” in più
Nel testo iniziale del governo, il riscatto della laurea breve ai fini dell’anticipata veniva progressivamente “sterilizzato”: 6 mesi non utili nel 2031, poi 12 nel 2032, 18 nel 2033, 24 nel 2034 e 30 mesi dal 2035. La Cgil ha stimato che, sommando la perdita dei mesi riscattati, l’adeguamento alla speranza di vita e le finestre più lunghe, una lavoratrice o un lavoratore avrebbe potuto restare nel sistema fino a circa 46 anni e 9 mesi di contribuzione, contro i 42 anni e 10 mesi del 2026: “quasi quattro anni” in più. Dopo le proteste, Meloni ha assicurato la correzione della misura per salvaguardare i diritti già maturati, e il governo ha riformulato il testo togliendo la retroattività. Resta però la prospettiva di un forte depotenziamento per chi valuterà il riscatto in futuro.
Sul piano pratico, parliamo di scelte costose: un riscatto ordinario può valere oltre 10.500 euro per anno su una retribuzione media da 32 mila euro, mentre la formula “agevolata” costa circa 6.100 euro l’anno (valori indicativi 2025). Se quei mesi non sono più interamente utili per l’anticipo, l’investimento cambia natura: meno “acceleratore” dell’uscita, più integrazione dell’montante contributivo.
Addio a Quota 103 e Opzione donna: cosa rimane davvero nel 2026
Dal 1° gennaio 2026 si chiudono due canali che hanno scandito la flessibilità in uscita degli ultimi anni: Quota 103 (almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi, con tetto all’assegno) e Opzione donna (uscita anticipata con ricalcolo contributivo per platee ristrette). Restano validi i diritti maturati entro le scadenze – la cosiddetta “cristallizzazione” – ma la porta non si riapre per chi è fuori. L’unico strumento straordinario confermato è l’Ape sociale, che tuttavia non è una pensione: è un assegno ponte temporaneo, destinato a categorie specifiche (disoccupati, invalidi, caregiver, addetti a lavori gravosi), accessibile da 63 anni e 5 mesi. Per la generalità dei lavoratori torna centrale il binario Fornero.
Previdenza complementare: stop a un anticipo, ma scatta il “silenzio-assenso” per i neoassunti
Nello stesso pacchetto di emendamenti, il governo ha cancellato la possibilità – introdotta l’anno scorso – di anticipare la pensione di vecchiaia sommando alla pensione pubblica la rendita del fondo complementare per raggiungere la soglia minima d’importo. Motivo dichiarato: risparmi crescenti sulla spesa (fino a 130,8 milioni nel 2035). In parallelo, dal 1° luglio 2026 per i neoassunti nel settore privato scatterà il silenzio-assenso: in assenza di scelta entro 60 giorni, il Tfr maturando confluirà nel fondo pensione previsto dal contratto. Un tassello che punta a rafforzare il “secondo pilastro” mentre il primo si irrigidisce.
La stretta sui “precoci” e sugli “usuranti”: risparmi di bilancio, costi sociali
Un altro passaggio poco pubblicizzato ma pesante riguarda i tagli ai canali finanziati per i lavoratori precoci e per chi svolge mansioni usuranti. La rimodulazione dei fondi porta risparmi stimati di 90 milioni l’anno fino al 2032, poi 140 milioni nel 2033 e 190 milioni dal 2034; per gli “usuranti” si prevede una sforbiciata di 40 milioni dal 2033. Conti in ordine, ma per platee già fragili l’uscita rischia di diventare più lontana o più costosa.
Pubblico impiego: finestre più lunghe in alcune casse
Per alcuni comparti del pubblico impiego la decorrenza dell’assegno in caso di anticipata slitterebbe di 4 mesi nel 2025, 5 mesi nel 2026, 7 mesi nel 2027 e 9 mesi dal 2028, a seconda della cassa previdenziale di appartenenza (CPDEL, CPS, CPI, CPUG). È un’ulteriore asimmetria che rende la pianificazione più complessa. Verificare la propria gestione è cruciale.