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il caso

Ex Ilva, il bivio americano: perché la sfida tra Flacks e Bedrock può riscrivere l’acciaio italiano

Due offerte per l’intero perimetro industriale, promesse miliardarie e un nodo politico: la scelta su Taranto entra nella fase decisiva, tra piani opposti su occupazione, investimenti e decarbonizzazione

Redazione La Sicilia

29 Dicembre 2025, 10:24

Ex Ilva, il bivio americano: perché la sfida tra Flacks e Bedrock può riscrivere l’acciaio italiano

È un impianto che un tempo produceva 10 milioni di tonnellate l’anno e oggi viaggia attorno a 2 milioni, con un solo altoforno acceso su quattro e migliaia di tute blu a rotazione in cassa integrazione. Proprio qui, in questo vuoto riempito di attese, convergono ora due proposte statunitensi destinate a pesare sul futuro della manifattura italiana: la **cordata di Flacks Group e il fondo Bedrock Industries. Due offerte «per l’intero complesso» dell’ex Ilva — oggi Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria — che, secondo fonti vicine al dossier, sono al ballottaggio. E alcune di queste fonti considerano la proposta Flacks «tecnicamente più solida» su alcuni parametri; ma i commissari hanno ancora verifiche da completare, soprattutto sugli impegni finanziari e industriali dichiarati.

Cosa c’è sul tavolo: due offerte integrali, bandi aggiornati e un quadro che cambia

Le due offerte vincolanti per l’acquisto dell’intero perimetro ex Ilva sono arrivate entro la mezzanotte dell’11 dicembre 2025 da Flacks Group e Bedrock Industries. I commissari straordinari (per Acciaierie d’Italia e Ilva in A.S.) hanno confermato l’avvio dell’analisi di completezza e conformità, mantenendo la procedura «aperta» a eventuali proposte migliorative.

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) ha nel frattempo inquadrato il perimetro con un bando aggiornato: priorità a soluzioni che garantiscano continuità produttiva, tutela occupazionale e accelerazione della decarbonizzazione (più forni elettrici a parità di condizioni, tempi più rapidi, maggior produzione a regime nel limite della nuova AIA).

Il contesto industriale è fragile: nel 2025 la produzione attesa a Taranto è scesa a circa 2 milioni di tonnellate su una capacità teorica intorno a 10 milioni; metà dei circa 10.000 addetti totali sarebbe interessata da sospensioni o fermo parziale, mentre il governo stima in almeno 5 miliardi di euro gli investimenti necessari per allineare gli impianti agli standard del cosiddetto green steel.

Il piano Flacks: 1 euro oggi, fino a 5 miliardi domani, 4 milioni di tonnellate e 8.500 assunzioni

Il fondatore Michael Flacks, imprenditore britannico naturalizzato negli Stati Uniti e specializzato in asset in crisi con forti passività ambientali, ha illustrato in un’intervista i pilastri della sua proposta: Prezzo simbolico: 1 euro per il trasferimento del complesso. Investimenti fino a 5 miliardi per riportare la produzione a 4 milioni di tonnellate l’anno. Occupazione: un organico in crescita fino a 8.500 addetti nella fase iniziale, con una proiezione che potrebbe avvicinarsi a 10.000 a regime se le condizioni di mercato lo consentiranno. Presenza pubblica: lo Stato resterebbe al 40% dell’azionariato nella prima fase, con un impegno contrattuale di riacquisto da parte di Flacks Group in una finestra successiva per 500 milioni – 1 miliardo di euro. Finanza: sostegno da un pool di istituti italiani e statunitensi già pre-accordati, a supporto del capex e del turnaround. Ambientale: disponibilità a farsi carico di ingenti passività ambientali, con l’affermazione — provocatoria ma coerente con lo storico del gruppo — di essere «tra i maggiori acquirenti al mondo di passività ambientali», e l’impegno a una transizione verso forni elettrici in linea con le richieste pubbliche.

Il messaggio chiave è semplice e spregiudicato: «Non si può costruire dal nulla un’acciaieria di queste dimensioni, né importarla dalla Cina; questo è un asset unico. Noi vogliamo farlo ripartire, e ci servono 8.500 persone per farlo». Il terreno su cui Flacks chiede di essere giudicato è quello della esecuzione: riportare produzione e occupazione a un livello sostenibile nel più breve tempo compatibile con la conversione industriale.

La contromossa di Bedrock: pragmatismo siderurgico e profilo industriale

Dall’altra parte del ring, Bedrock Industries, veicolo guidato da Alan Kestenbaum — investitore con un curriculum lungo nella siderurgia e nelle materie prime, già ai vertici della canadese Stelco — ha presentato una offerta per l’intero perimetro. I dettagli industriali e occupazionali non sono stati divulgati nella stessa misura della proposta Flacks, ma il profilo del proponente è di taglio tipicamente industriale: metalli e mining, ristrutturazioni complesse, capacità di operare impianti in contesti di mercato turbolenti.

Secondo ricostruzioni di stampa, l’approccio Bedrock potrebbe essere più graduale sul fronte occupazionale e più concentrato sulla selettività degli investimenti. Resta centrale il tema della decarbonizzazione, sul quale Mimit richiede forni elettrici e un calendario stringente: una condizione non negoziabile per entrambe le offerte. La reputazione di Kestenbaum come “uomo d’acciaio” del private capital potrebbe rassicurare alcuni stakeholder industriali, mentre i sindacati guardano con attenzione alle ricadute occupazionali: l’idea di “tagli pesanti” evocata in passato come ipotesi di mercato viene oggi scandagliata alla luce delle priorità sociali fissate dal governo e dei vincoli di gara.

Il perimetro politico e regolatorio: decarbonizzazione, AIA e ruolo dello Stato

Il Mimit ha consolidato negli ultimi mesi un perimetro regolatorio chiaro: la decarbonizzazione non è uno slogan ma un vincolo: forni elettrici da installare con priorità, tempi rapidi, e target di produzione allineati alla nuova AIA; la continuità produttiva e la tutela occupazionale sono criteri di valutazione espliciti; la presenza dello Stato nel capitale (l’ipotesi 40%) è funzionale a stabilizzare la fase di transizione e a mitigare rischi macro e legali, con una prospettiva di disimpegno a condizioni prefissate.

La direzione politica, sotto la guida del ministro Adolfo Urso, ha inoltre riunito Regione Puglia ed enti locali in un accordo di principio sulla piena decarbonizzazione degli impianti, dopo stagioni di scontro. Restano però nodi aperti: la governance dell’eventuale società a controllo privato con quota pubblica, i tempi di autorizzazione e, soprattutto, la certezza degli impegni industriali e ambientali.

Perché alcune fonti vedono Flacks in vantaggio (con molte cautele)

Nelle ultime settimane, fonti italiane e internazionali vicine al dossier hanno parlato di una proposta Flacks «oggettivamente più articolata» su capex, occupazione e struttura societaria (la famosa quota pubblica al 40% con riacquisto prezzato tra 500 milioni e 1 miliardo). La narrazione del “1 euro” è suggestiva ma non misurabile senza l’analisi dei contratti: ciò che conta è la capacità finanziaria di reggere 5 miliardi fra bonifiche, impianti e capitale circolante, il calendario degli interventi, la tenuta dei rapporti con i sindacati e l’indotto.

In concreto, sarebbero proprio i paletti pubblici — tutela dei livelli produttivi e occupazionali, decarbonizzazione accelerata — a rendere “bancabile” una proposta che scommette sull’incremento della produzione a 4 milioni di tonnellate, anziché su un downscaling. Resta però il tema centrale: il piano industriale deve essere verificato con i dati reali degli impianti, i tempi dell’AIA, i flussi di cassa in un mercato europeo dell’acciaio schiacciato da overcapacity, domanda debole e costi energetici elevati.