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Quei 4 metri di distanza che ucciderebbero i ristoranti d’Italia

Di Redazione |

Quattro metri di distanza tra un tavolo e l’altro: è una delle ipotesi trapelate dalle riunioni del Comitato scientifico a dieci giorni di distanza dal 18 maggio, quando cioè potrebbero riaprire i ristoranti. Ma significa condannare alla chiusura 4 ristoranti su 5: «Se si vuole uccidere la ristorazione, allora basta applicare questo modello», dice Confcommercio, accendendo  la discussione su come potranno riaprire i ristoranti nella “fase 2”.

La proposta di mettere 4 metri tra un tavolo e l’altro per legge è stata con un sonoro “no” da quasi tutti gli addetti del settore e le associazioni di categoria. Dalle Aosta sino a Ragusa viene giudicata una misura assurda.

Come ha spiegato la Fipe, tanti, tantissimi ristoranti in Italia, almeno l’80% secondo il vicepresidente Aldo Cursano, sono legati «al familiare» o «al modello della piccola impresa». Pochi coperti, insomma: ridurli in modo drastico significa che se forse i ristoranti più grandi potranno tenere botta, per i piccoli sarebbe la fine. E la chiusura dei ristoranti sta tirando giù anche la produzione alimentare con una perdita di oltre 1,5 miliardi a marzo per la chiusura di bar, ristoranti, pizzerie, gelaterie.

Certo, c’è l’indicazione a utilizzare quanto più possibile i dehors – e i Comuni si stanno organizzando – ma non tutti potranno recuperare posti all’aperto per le attività di ristorazione.

C’è di più: anche le altre regole anti-covid al vaglio degli esperti non sono prive di criticità per chi ha economie di scala e metri quadri ridotti: percorsi distinti di entrata e di uscita, sanificazioni continue degli ambienti, bustine monodose di sale, olio e simili a tavola, ma anche menu “on line” o esposti (per evitare che oggetti promiscui passino di mano in mano). Il tutto tra camerieri e chef rigorosamente in mascherina e guanti. Volto coperto anche per i clienti negli spazi “comuni” come i bagni o le file alla cassa.

Per approfondire leggi anche: IL MODELLO ALTERNATIVO IDEATO A CATANIA

Insomma secondo la Fipe «qualcuno sta scegliendo la fine di un modello», perché se è vero che già ad aprile Confcommercio aveva ipotizzato 50 mila saracinesche abbassate e 300 mila licenziamenti – meno coperti significa meno necessità di personale – queste ulteriori misure sarebbero il colpo di grazia.

Gli enti locali non sottovalutano affatto la portata del problema. «Se lo mettano a casa loro un tavolo ogni 4 metri, ma non nei ristoranti» ha detto il governatore leghista del Veneto Luca Zaia. E poi il governo – ha aggiunto «si decida a dire qualcosa, perché i ristoranti non possono venire a sapere il 17 sera che riaprono l’indomani». Nel Lazio il governatore-segretario Pd Nicola Zingaretti ha giocato d’anticipo: da una settimana va avanti la concertazione con tutte le categorie per stilare un “vademecum” condiviso già pronto da applicare dal “giorno 1” della riapertura. Ai ristoratori la Regione Lazio ha proposto misurazione della temperatura per i dipendenti a inizio turno, “numero chiuso” di avventori esposto all’ingresso, tavoli igienizzati a ogni utilizzo, ovviamente ben distanziati (si ipotizzava però 1 metro), stoviglie monouso. C’è anche l’idea di un bollino “fever-free” da apporre all’esterno dei ristoranti, per evidenziare chi rispetta le regole.

Un po’ di sollievo dovrebbero darlo comunque i tavolini all’aperto: nel documento di lavoro per la messa a punto del dl bilancio è indicato che l’uso di maggiori superfici per favorire il distanziamento tra i clienti è «oggetto di una comunicazione da parte del titolare e non è subordinata al rilascio di concessione», e che ristoranti e bar non dovranno pagare la tassa sul suolo pubblico fino al 31 ottobre: sarà lo Stato a rimborsare i Comuni dei mancati introiti. 

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