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Sicilia, la regione dove il Covid ha reso povero anche chi lavora

Di Daniele Ditta |

Eccoli i nuovi poveri, che si sono aggiunti alla schiera di fasce deboli già ai margini della società prima del Coronavirus. Il tasso di rischio povertà unito a quello dell’esclusione sociale si può quasi toccare con mano nei dati raccolti da Eurostat e Istat. La Sicilia è oggi, assieme alla Campania, la regione più povera d’Europa. Bonus e ristori erogati nel corso di questa lunga emergenza sanitaria, al pari del Reddito di cittadinanza e quello d’emergenza, hanno solo lenito una sofferenza crescente. Destinata – si spera non troppo – ad aumentare, quando verrà rimosso il blocco dei licenziamenti. Un quadro a tinte fosche in cui il 9,5% delle famiglie in condizioni di povertà assoluta (in Centro Italia sono il 5,5%), potrebbe farsi più cupo. Una povertà economica che spesso si trasforma in povertà educativa.

Ripetere qui i dati messi in fila da Emiliano Abramo, docente universitario ed espressione della Comunità di Sant’Egidio in Sicilia, non è un voler rigirare il coltello nella piaga ma rappresenta l’urgenza di un intervento legislativo, sollecitato da queste colonne proprio da Abramo. La Cgil ieri ha ricordato di averne già parlato quattro anni fa, insieme con un cartello di associazioni tra cui la stessa Sant’Egidio: «Sarebbe il caso che la riflessione delle forze politiche partisse da quel disegno di legge di iniziativa popolare rimasto lettera morta», dicono il segretario regionale Alfio Mannino ed Elvira Morana, del dipartimento politiche sociali. Anche le 60 realtà sociali che costituiscono la rete “L’isola che c’è” «sostengono pienamente l’iniziativa» e lanciano un «appello alla solidarietà oltre gli schieramenti».

Occorre fare qualcosa, e pure presto, per cancellare (o quanto meno ridurre) quel 41,4% di siciliani con un reddito inferiore del 50% a quello nazionale; oppure invertire il trend rispetto a 48,7% a rischio di esclusione sociale. Il Reddito di cittadinanza non basta «se è vero com’è vero che questa misura, per carità importante, non sia riuscita a togliere i tanti beneficiari dalle statistiche sulla povertà». Questa affermazione di Rosanna Laplaca – portavoce dell’Alleanza contro la povertà che dal 2018 riunisce una ventina di soggetti tra sindacati, associazioni datoriali e del terzo settore – è uno sprone affinché la politica vada oltre il Rdc, che in Sicilia conta il 16,4% dei percettori a livello nazionale.

«I dati Inps, aggiornati al mese scorso, sono in aumento rispetto al 15,4% del 2019. Siamo arrivati a 252.118 nuclei familiari, per un totale di 617.354 persone», prosegue Laplaca, mettendo sul tavolo della conferenza dei capigruppo dell’Ars (che si riunirà oggi) un tema del dibattito sulla legge anti-povertà: la riforma del welfare.

«Ci fa piacere questa attenzione – sottolinea Laplaca – anche se arriva in ritardo e per di più in piena emergenza. Proprio il Covid ha messo in evidenza un welfare fragile, con differenze notevoli all’interno della stessa Sicilia. Oggi fa differenza nascere in un comune o in un altro. Lo testimoniano i dati sui buoni spesa finanziati dalla Regione: solo un terzo dei Comuni li ha chiesti, ossia gli i enti in cui i servizi sociali sono più strutturati».

Qui c’è il focus del problema, che la portavoce dell’Alleanza contro la povertà sintetizza nella «mancanza di un’infrastruttura sociale». Sì, perché la Sicilia non è priva solo delle infrastrutture materiali che impediscono all’economia di decollare, ma anche dei servizi per prendere la povertà per le corna. «Bisogna costruire i servizi territoriali laddove non ci sono e rafforzare quelli esistenti. La povertà è un fenomeno multidimensionale e si affronta in un’ottica di sistema». Se ad arrancare, oltre ai disoccupati, ci sono pure le famiglie con minori a carico (un quarto di chi ha il Reddito di cittadinanza) e le donne (la metà dei percettori del Rdc fa parte del gentil sesso), allora «siamo obbligati a sviluppare una rete di protezione delle persone. Un sistema sociale regionale parallelo a quello sanitario».

Come? «Innanzitutto – risponde Laplaca – dando attuazione alle norme esistenti. Ricordo che nel fondo povertà lo Stato ha destinato 82,6 milioni alla Sicilia. In secondo luogo intervenendo sul piano di contrasto alla povertà datato 2018. Un piano inadeguato, che va cambiato. La Sicilia non ha una rete di protezione e inclusione sociale. La Regione deve costruirla con una visione integrata che metta assieme pubblico e privato sociale. “Dalla crisi non si esce da soli”, ha sempre ripetuto Papa Francesco: ecco, questo monito deve diventare la bussola per orientare il nuovo sistema sociale regionale».

Alcuni strumenti ci sono già. La legge 328 del 2000 è uno di questi, peccato però che sia rimasta vittima «di una visione parziale che l’ha resa inefficace: i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) non sono ancora diritti esigibili». Così la portavoce dell’Alleanza contro la povertà, secondo cui «i distretti socio-sanitari non funzionano e i piani di zona non riescono a raggiungere gli obiettivi minimi. Nell’ultima finanziaria regionale c’era un articolo che riformava i distretti socio-sanitari, che però è stato stralciato. È un tema da riprendere. Spero che questo rinnovato interesse della politica possa tradursi in un coinvolgimento delle associazioni nella stesura del ddl regionale di contrasto alla povertà».

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