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Ecco perché il Ponte sullo Stretto porterebbe sviluppo per tutto il Sud

Di Michele Guccione |

I detrattori del Ponte sullo Stretto e delle grandi opere di collegamento in Sicilia sostengono che «tanto i siciliani per andare a Roma continuerebbero a prendere l’aereo», oppure che «non si fa un’opera colossale solo per fare passare qualche chilo di arance». La migliore obiezione è dimostrare come un Sud evoluto sia di beneficio al Nord.

L’arrivo delle infrastrutture porta con sé lo sviluppo delle attività economiche di quel territorio, dalla ricerca all’industria pesante e leggera fino alle startup; e allo stesso tempo, se ciò accade al Sud, favorisce l’approvvigionamento rapido dell’industria del Nord e i consumi al Sud di ciò che il Settentrione produce. È quello che è accaduto in Campania con l’arrivo dell’Alta velocità ferroviaria. Qui, attorno al Cnr e agli altri centri di ricerca, non ultimo quello di San Giovanni a Teduccio, si sono sviluppati fiorenti distretti e filiere produttive, le eccellenze dell’aeronautica, dell’automotive, dell’agroalimentare e della farmaceutica. Il traffico merci si è più che decuplicato. La nascita immediata della Zes e il collegamento di Gioia Tauro all’Alta velocità e ai terminal intermodali di Nola e Marcianise hanno riacceso i motori del traffico container internazionale verso il basso Tirreno. A ruota, cogliendo il vento favorevole di “Matera Capitale della Cultura”, la Basilicata si sta muovendo in tal senso attorno al Cnr e a centri di ricerca, per farsi trovare pronta quando sarà completata la Napoli-Bari. Ecco, qui il treno è arrivato e ha dato pari dignità a un territorio finora condannato al sottosviluppo e all’illegalità. Qui chi vuole fare bene e secondo le regole ora ha le condizioni per riuscirci.

Perché questo è possibile? Perché la tratta da Napoli all’hub milanese di Melzo, che smista le merci verso il Nord Europa, su gomma continua a percorrersi in quasi 10 ore, mentre sul treno ad alta velocità si copre in appena 4 ore. Ecco cosa fa la differenza.

Il resto del Sud sta fermo sul marciapiede della stazione in attesa dello stesso treno. Posta alla stessa latitudine della Campania, anch’essa terra di distretti produttivi, di eccellenze industriali e di export, la Puglia non ha accesso a pari dignità. Da Bari a Melzo si superano le dieci ore, su gomma come su treno, e questo rende non competitiva qualsiasi attività imprenditoriale e taglia fuori porti, aeroporti e logistica dai traffici internazionali di merci nel Mediterraneo. La mancanza di collegamenti veloci lungo la dorsale adriatica, poi, isola l’intera rete portuale fino a Trieste: Crotone, Corigliano, Taranto, Brindisi, Bari, Ortona, Ancona, Ravenna e Venezia. Trieste è saturo e i principali armatori ormai puntano su altri scali. La mappa che pubblichiamo, realizzata dal centro studi Srm di Napoli collegato a Intesa Sanpaolo, visualizza le scie Gps lasciate dalle navi container in transito nel Mediterraneo dal Canale di Suez nel 2020: le fasce rosse indicano le rotte che sono state più frequentate. Ecco, per la prima volta rispetto agli anni precedenti si può notare come il bacino adriatico sia stato di fatto abbandonato, e persino dallo Stretto di Messina fino a Genova la banda colorata si è sbiadita, mentre si è riacceso di rosso fuoco il flusso sull’hub di Gioia Tauro. Per il resto, quasi tutte le navi da Suez si dirigono attraverso Gibilterra fino a Rotterdam e Antwerp, allungando enormemente la navigazione perché manca un hub libero che consenta di arrivare subito al Nord Europa con merci lavorate. Lo stesso Gioia Tauro non riesce a fare più di 5 milioni di Teus l’anno perché è privo di retroporto e il collegamento ferroviario è stato inaugurato da qualche mese.

Ma come, non c’è la Sicilia con Augusta? Ebbene, Palermo-Melzo si percorre in quasi 20 ore, su gomma come su ferro. Da Reggio Calabria sono oltre 15 ore. E non c’è neanche un terminal cargo aereo attrezzato. Né l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina. Né l’alta velocità ferroviaria.

Ecco a cosa servono queste grandi opere: a intercettare l’enorme volume di merci che ogni giorno naviga a poche miglia dalla costa siciliana, sviluppando da Augusta il retroporto e l’interporto di Catania in collegamento sinergico con Gioia Tauro, e con Taranto che deve rilanciare il porto e l’area ex Ilva.

In questo momento in cui la domanda mondiale di merci supera la produzione, fare della Sicilia e della Calabria, con Campania, Puglia e Basilicata l’hub logistico del Mediterraneo farebbe rimbalzare la crescita dell’Italia intera.

I team di economisti di Srm, coordinati dal dg Massimo Deandreis e da Alessandro Panaro, capo Maritime Economy, assieme a quelli di Alex Bank (controllata egiziana di Intesa Sanpaolo) guidati dal Ceo Dante Campioni, hanno aggiornato lo studio sulla Maritime Economy del Canale di Suez, evidenziando come il traffico commerciale nel 2020 sia aumentato dello 0,6% nonostante la pandemia, proprio grazie alla necessità di garantire, con 18.829 navi, rifornimenti rapidi ai tanti Paesi in “lockdown”. Infatti, le rinfuse secche sono cresciute del 21,7% rispetto al 2019. Dato in crescita cui vanno aggiunte le navi dirottate spesso verso il Capo di Buona Speranza a causa dell’intenso traffico. La prospettiva dovrebbe indurre il governo nazionale ad accelerare sulle opere logistiche e di trasporto al Sud: per il 2021 Srm e Alex Bank prevedono una ripresa del + 4,8% nel Mediterraneo orientale e un + 8,9% nel Mediterraneo occidentale, nel 2022 il rimbalzo sarà rispettivamente +4,6% e + 5,5%.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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