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L’economia siciliana è la più colpita dal Covid: dal 2020 persi 66.990 mila posti di lavoro

Di Michele Guccione |

Palermo – Se si punge un elefante con uno stuzzicadenti, quest’ultimo si spezza senza scalfire l’animale. Mentre se con lo stesso strumento si punge una mosca, la si uccide. È un modo, anche banale, per confutare quanti sostengono che la pandemia ha avuto sulla Sicilia effetti molto blandi rispetto alle regioni del Nord Italia. In realtà, quelle economie del Paese sono paragonabili ad elefanti: hanno sì subìto danni ingenti, ma vengono da decenni floridi e hanno le condizioni per riprendersi velocemente. La Sicilia, invece, si può dire che sia in “lockdown economico” da 13 anni e che dal 2020 continui ad esserlo. Partendo da questa base, l’analisi di Cerved e Confindustria con Intesa Sanpaolo sul tessuto delle Pmi (le imprese da 50 fino a 249 dipendenti) conferma che nell’Isola l’impatto del Covid ha avuto effetti devastanti quanto meno sul piano dell’occupazione. Infatti, fra il 2020 e il 2021 la stima è di una perdita di 66.990 posti di lavoro, pari al -8,50%. In Lombardia, la previsione di contratti cancellati è di 262mila, pari al -7,80%. Già così si vede come in proporzione la Sicilia abbia un maggiore rischio di default. Bisogna, però, considerare anche che l’Isola negli ultimi anni ha visto sparire una media di 40mila posti l’anno, cui vanno aggiunti 20mila emigrati.

Ad onor del vero, va detto che, al contrario, le misure statali varate a protezione delle imprese hanno contribuito a contenere il numero dei fallimenti di Pmi, in proporzione meno in Sicilia e molto più in Lombardia. Nella nostra Regione le procedure aperte sono state 61 nel 2020, -16,4% rispetto alle 73 dell’anno precedente; nella “locomotiva” del Nord, invece, si è registrato un decremento dei fallimenti del -28,4% (da 429 a 307).

La pandemia non ha colpito solo l’occupazione. Il sistema delle Pmi ne esce con le ossa rotte anche sotto il profilo della solidità finanziaria. Se come numero, in Sicilia, le Pmi sono cresciute da 5.819 del 2019 a 5.843 del 2020, il trend di crescita è di appena +2,9% in dodici anni e il rapporto fra debiti finanziari e capitale netto nell’ultimo anno è cresciuto dal 70,2 al 74,4%, fra i più alti d’Italia. Il rapporto fra oneri finanziari (interessi sui debiti) e mole delle imprese è salito dal 14,5 al 19,5%. E così il capitale delle Pmi siciliane rischia di essere eroso del 5,7%, in base alla stima del Rapporto sulle Pmi che potrebbero uscire dal mercato o essere costrette a ridimensionarsi per fare fronte a ridotti ordinativi. Ora il tema sarà capire se e come le nuove misure del governo Draghi potranno aiutare queste attività a non chiudere e a riprendere la corsa.

Infatti, lo scenario descritto dal Rapporto Pmi di Cerved e Confindustria con Intesa Sanpaolo vede la Sicilia ultima, molto indietro rispetto al Mezzogiorno che le risorse del “Recovery Fund” dovrebbero fare ripartire. Ad esempio, il numero delle Pmi nelle otto regioni in ritardo di sviluppo è cresciuto notevolmente (+11,8%) in dodici anni, i fallimenti in un anno si sono ridotti del 29,7%. Gli altri indicatori (posti di lavoro persi, oneri finanziari ed erosione del capitale) riportano percentuali analoghe. Ma già il tessuto produttivo meridionale, più dinamico, sarà più capace di recepire gli effetti positivi del “Recovery” e di trarne beneficio. Alla Sicilia toccherà compiere uno sforzo maggiore, un contropiede. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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