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Commercio, l’invasione dei venditori ambulanti nei centri storici

Di Anna Rita Rapetta |

È il quadro che emerge dalla seconda edizione della ricerca “Demografia d’impresa nei centri storici italiani”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio e presentata ieri a Roma.

Lo studio prende in esame 40 comuni italiani di medie dimensioni capoluoghi di provincia, con la distinzione tra centri storici e non. Tra il 2008 e il 2016 il numero di negozi in sede fissa è sceso del 13,2% nelle città italiane, un fenomeno più marcato nei centri storici che in periferia (-14,9% contro -12,4%).

Per contro, gli ambulanti aumentano dell’11,3% (addirittura del 36,3% nei centri storici), mentre alberghi, bar e ristoranti crescono del 10,2%. Tutto ciò avviene soprattutto nel Mezzogiorno, dove le attività legate al turismo (bar, ristoranti e alberghi) crescono del 17,8% e il commercio ambulante addirittura dell’85,6%.

La rarefazione dei negozi nei centri storici, secondo l’Ufficio studi di Confcommercio, si spiega in parte con l’invecchiamento della popolazione (si riduce la capacità di spesa e anche di differenziare, innovare). Ma dipende soprattutto dal livello dei canoni d’affitto: 630 chiusure su 3.470 nel periodo 2008-16 dipendono dall’insostenibilità di questa voce di spesa.

Scendendo nel dettaglio. A Palermo in otto anni il fenomeno del commercio ambulante ha fatto registrare un’impennata che allarma Confcommercio: +286,6% nel centro storico. Dai 212 ambulanti che si registravano nel 2008, si è arrivati a quota 819. Impetuoso anche l’aumento del numero degli ambulanti fuori dal centro storico: 176,6%. Dai 639 del 2008 ai 1.224 del 2016.

«È la liquefazione del commercio… questi numeri dicono che qui non si è voluto governare il fenomeno», commenta Mariano Mirabella, direttore dell’Ufficio studi Confcommercio. La crescita, infatti, non si spiega nemmeno con la pur drammatica contrazione registrata in tutti gli esercizi commerciali in sede fissa: -24,6% al centro di Palermo, dove chiudono prevalentemente le librerie, i tabaccai e i negozi di informatica e itc, mentre aprono i negozi di prodotti alimentari e bevande (+23%), gli alberghi (+84,9%), i bar e i ristoranti (+39,1%); -19,4% in periferia dove abbassano le saracinesche soprattutto i negozi di prodotti alimentari e bevande e di prodotti per uso domestico.

Negozi “in fuga” anche dal centro storico di Catania (-25,5%). Via i negozi di articoli culturali e ricreativi (-35,2%), i tabaccai (-28,8%). Lasciano il passo alle attività ricettive (alberghi +21,3%, bar e ristoranti 18,6%) e ai negozi di informatica e Itc (+26,8%). Nelle periferie tra il 2008 e il 2016 ha chiuso i battenti il 16,6% dei negozi con sede fissa.

Ma, rivela lo studio della Confcommercio, il fenomeno del commercio ambulante fa registrare un trend diverso. Il processo è quasi osmotico, almeno in termini assoluti: per 109 ambulanti in più nel centro storico (+51,3%) se ne contano 152 in meno in periferia (-20,1%).

«Senza i negozi nelle città non c’è luce, non c’è socialità, non c’è bellezza, non c’è sicurezza. È un problema grave perché le città sono di tutti e per tutti costituiscono una risorsa di inestimabile valore», ammonisce il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, che chiede al Governo «di favorire il ripopolamento commerciale delle città attraverso un’efficace politica di agevolazioni fiscali» e «alle associazioni dei proprietari immobiliari di aprire un confronto per la revisione delle formule contrattuali e per rendere i canoni commerciali più accessibili».

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