C'è anche una Sicilia che non si arrende al Covid e che anzi fa ancora affari
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PALERMO C'è chi ha raddoppiato il fatturato nell’asset, chi è riuscito a salvare il posto a qualcuno dei propri dipendenti pur dovendo fare ricorso alla cassa integrazione per gli altri, c'è chi con gli incassi soprattutto nei week-end riesce a pagare l’affitto del locale: sono le attività che in Sicilia in pieno lockdown per l'emergenza Covid-19 sono state autorizzate a rimanere aperte fornendo cibo da asporto, pizza compresa.
Si tratta di ristoranti, bar, pasticcerie, pizzerie. E si scopre, leggendo una indagine della Cgia di Mestre, che nell’isola sono un bel po': 4.499. Addirittura per numero di attività aperte la Sicilia è al top nel Mezzogiorno, mentre nel Paese è dietro soltanto alla Lombardia (ne ha 7.004) e all’Emilia Romagna (4.672). Più indietro il Veneto con 4.072, il Lazio con 3.796 e la Campania con 3.519.
«Grazie ai servizi a domicilio che forniamo con i nostri rider o avvalendoci dei servizi del socialfood siamo riusciti a rimanere sul mercato, nonostante le forti perdite permangano - dice un noto imprenditore di Palermo - Peccato che il governo Musumeci nei giorni di Pasqua e pasquetta abbia vietato le consegne a domicilio, sarebbe stata un’occasione per fare qualche incasso in più». Scelta criticata anche dalla segretaria della Filcams-Cgil di Palermo, Monia Cajolo: «Non l’abbiamo compresa, se l’autorizzazione vale per l’intera settimana non si capisce perché è stata 'sospesà proprio nei giorni in cui ci sarebbe stata magari una richiesta maggiore, era un modo per sostenere chi è già in difficoltà finanziarie».