Quel lessico corretto che penalizza i tratti distintivi dell'identità personale
Ha destato un certo stupore il contenuto delle linee guida politically correct della Commissione europea, peraltro, ritirate con immediatezza.
Le raccomandazioni di Bruxelles, al fine di favorire una comunicazione inclusiva, consigliano l’utilizzo di un linguaggio senza riferimenti al genere, razza, etnia, religione. Meglio, ad esempio, usare “colleghi” al posto di “signori e signore”. Si giungeva, per non urtare qualche suscettibilità, a sconsigliare l’espressione “buon Natale”, da sostituire con generico “buone vacanze”. Per una corretta trasmissione del pensiero, infatti - secondo la commissaria europea all’eguaglianza - non bisognerebbe fare alcun nessun riferimento alle feste cristiane, dovendo preferire l’espressione “le festività sono stressanti” anziché “il Natale è stressante”. In questa sorta di galateo delle istituzioni europee anche i nomi propri vengono messi sotto accusa.
Si ritiene perfino inopportuno l’uso di nomi tipici riconducibili ad una specifica religione, come Maria e Giovanni. Diventa una questione di buone maniere sostituirli con nomi internazionali come Malika e Julio. E come la mettiamo con chi possiede un nome che si rifà alla religione. Fare sentire il peso dell’inadeguatezza per una scelta che gli è stata imposta al momento della nascita non pare la migliore trovata per combattere le discriminazioni.
Il nome proprio, nelle moderne democrazie pluraliste, a differenza di quanto avveniva nei regimi totalitari, non rappresenta esclusivamente la dimensione pubblicistica quale strumento identificativo del singolo. Ma, innanzitutto, costituisce uno dei diritti inviolabili tutelati dall’ordinamento che si traduce nella pretesa a conservare un segno che identifica l’individuo in una dimensione relazionale. Trattare le persone in modo eguale e mostrare sensibilità per le tradizioni religiose e culturali di tutti, non può significare privare un singolo soggetto della propria individualità e riconoscibilità sociale.
L’annullamento delle differenze costituisce, piuttosto, la cifra dei regimi tendenti alla totalità, in cui si afferma un sistema di pensiero unico e omologante. Al contrario, le società autenticamente sensibili alla tutela dei diritti, si nutrono e si arricchiscono delle differenze e del modo di essere “plurale” della società. Diritti delle minoranze e diritti della maggioranza devono poter convivere pacificamente con il minore sacrificio per le posizioni di entrambi.
Le Costituzioni nate dopo il secondo conflitto mondiale rifiutano l’idea della prevaricazione e dell’ingerenza in ogni aspetto della vita, anche privata, dei cittadini. Le Carte dei diritti basano la loro esistenza sull’ideale di promozione di ciascuna persona, essere unico e irripetibile. Non hanno paura di manifestare l’origine e i tratti identitari di ogni popolo e di ogni nazione.
L’elemento distintivo dell’Unione europea “unita nella diversità” sta proprio a definire il progetto di concordia da realizzare nel rispetto delle differenti culture, lingue, tradizioni presenti nello spazio europeo. Anche le radici cristiane costituiscono una parte imprescindibile del patrimonio europeo che si è formato in millenni di storia.