Resta soltanto l'acqua sporca, perché il bambino è già annegato
Il punto di partenza delle inchieste del nostro giornale sui “fondi allegri” della Regione è racchiuso in un numero primo: tre. L’articolo 3 della Costituzione
Può anche darsi che alla fine, come da manuale dei pastrocchi siciliani, anche stavolta riusciranno a farla franca. O magari a limitare i danni. La “casta con le sarde”, dopo la contestazione del ministero dell’Economia sulle norme-mancia dell’ultima finanziaria regionale, s’è ribellata. Lesa maestà: all’Ars ieri un coro (quasi) unanime contro chi osa ficcare il naso nella sacrale autonomia siciliana. Mentendo su un principio che La Sicilia sostiene da ben prima che scoppiassero gli scandali.
Il punto di partenza delle inchieste del nostro giornale sui “fondi allegri” della Regione è racchiuso in un numero primo: tre. L’articolo 3 della Costituzione. Che sancisce l’uguaglianza dei cittadini. Ed è su questo principio fondamentale - e non certo su un oscuro codicillo di un capriccioso burocrate romano - che si fondano le «osservazioni» del Mef a 22 dei 30 articoli della manovra regionale a rischio impugnativa. Perché vengono distribuiti contributi straordinari «senza specificare i criteri a cui sono ispirate le scelte», né «alcuna procedura a evidenza pubblica»?
La domanda, a pensarci bene, è la stessa che anche nei palazzi regionali si sono posti solo dopo lo scandalo sul “sistema Auteri”: fondi per eventi ad associazioni di parenti. Ma, pur rovistando nelle tasche del deputato ex FdI fino all’ultimo centesimo pubblico, sin dall’inizio questa testata ha guardato oltre. Senza cadere nella trappola qualunquista del “così fan tutti”, abbiamo dimostrato - con le carte - che l’amichettismo dell’Ars era diffusissimo. E trasversale. Così, alla vigilia dell’ultima manovra, su input del presidente dell’Ars in sintonia con il governatore, la scelta di cancellare i contributi ai privati: niente a nessuno.
Ma il “sistema” è sopravvissuto. Per gli enti pubblici. Il criterio, infatti, è identico: soldi soltanto a chi ha un santo a Sala d’Ercole. Anche per le cause più nobili. Così al sindaco di Roccacannuccia niente defibrillatore né scuolabus, mentre al collega “raccomandato” sì. E per chi indossa la fascia tricolore sedendo pure all’Ars è una pacchia. Lo stesso principio di diseguaglianza vale per gli enti religiosi, dall’arcivescovo al parroco di campagna. Gustoso aneddoto emerso durante un vertice di centrodestra: a un prete etneo che chiedeva 20mila euro per riparare l’altare è stato risposto che «sono rimasti solo “tagli” da 50mila…». Ma a sopravvivere è anche la spartizione fra maggioranza e opposizione, con un budget a disposizione per ogni singolo deputato per «interventi territoriali». Così si spiegano anche l’indignazione grillina e l’imbarazzato silenzio dem nella seduta di ieri.
Più bandi per tutti. È la soluzione per cui ci battiamo dal primo giorno: stabilire un plafond per ogni settore e poi finanziare i progetti (pubblici, ma anche privati) con criteri oggettivi e procedure trasparenti. Ma l’autoproclamato «Parlamento più antico d’Europa», ribattono gli irriducibili, ha il diritto di legiferare come vuole. Sembra l’ultimo rigurgito del Marchese del Grillo, soprattutto di fronte alla Costituzione.
Sia chiaro: non abbiamo l’anello al naso ed è scontato che il pasticcio, a Roma, in qualche modo lo sistemeranno, salvando le mancette siciliane. Ma quello arrivato dal governo è un segnale preciso (solo una coincidenza la contemporanea scelta di FdI di asfaltare i vertici regionali nella Florida della “corrente turistica”?) a una classe dirigente ossessionata dal particulare machiavellico: mentre il mondo guarda a Starlink, in Sicilia si fanno le barricate per la sagra del pecorino. Un imbarazzo che accomuna Giorgia Meloni a Elly Schlein, imbufalita per la linea inciucista dei suoi. Riusciranno a trasformare i rossori in barlumi di luce? Forse no, hanno altro da fare. Ma qui è rimasta soltanto l’acqua sporca, senza più il bambino. Che è già annegato.