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«Dove siete, il malato mi sta seguendo»: a chi si rivolgeva Sara

A noi adulti, a noi genitori, a noi che scriviamo e magari ci ubriachiamo del vino delle polemiche, la sbronza mediatica che fa titolo ma che poi scivola via, come appunto una sbronza che l’indomani si dimentica

Antonello Piraneo

03 Aprile 2025, 08:48

sara

«Dove siete, il malato mi sta seguendo». Il messaggio - allarmato a caldo, raggelante a freddo - mandato dalla povera Sara a una collega poco prima che si compisse la sua tragedia, oggi appare rivolto a tutti a noi. A noi adulti, a noi genitori, a noi che scriviamo e magari ci ubriachiamo del vino delle polemiche, la sbronza mediatica che fa titolo ma che poi scivola via, come appunto una sbronza che l’indomani si dimentica.

Perché quel messaggio evidenzia intanto una necessità, che prescinde da norme e codici, da misure più stringenti ed efficaci, pur urgenti di fronte al dilagare della violenza sulla donna. Quel messaggio di Sara tradisce l’esigenza di una priorità educativa, culturale, sociale.

Diciamo alle nostre figlie non di convivere con la paura, ma di aprire gli occhi sì, per saper affrontare una quotidianità complessa, in cui il confine tra il corteggiamento gratificante e la molestia fastidiosa può essere un bilico stretto. Raccomandiamo loro di non sottovalutare nulla, di non fare spallucce, di non sentirsi forti comunque, di parlare in famiglia di ciò che gli succede perché un consiglio può essere salvifico.

Ricordiamo loro il primo “comandamento” da osservare in questa realtà fatta di sangue, ovvero dire no alla disperata richiesta di un “ultimo appuntamento” per chiarirsi. Ecco, giunti qui il bilico s’è fatto strettissimo e forse si è prossimi al dirupo della violenza.

Ma parliamo anche e soprattutto ai nostri figli maschi. Diciamo ai ragazzi che la vita è anche fatta di no, di porte sentimentali che si chiudono e che non vanno forzate, di amori impossibili ma ugualmente belli perché sognati, inseguiti e basta, che proprio questi sono gli amori che fanno maturare, che allargano le spalle di fronte alle tante altre soglie che si presentano lungo i viali della crescita. Spieghiamo loro che il machismo in realtà è la maschera dietro cui si cela una debolezza estrema, che il “tutto e subito e per forza” non appartiene neanche ai supereroi dei fumetti.

Educhiamoli a essere uomini partendo da un atteggiamento che non sia sessista, magari già da un linguaggio che sia banalmente consapevole, senza con questo cedere alla deriva degli asterischi: il rispetto non si sostanzia in una vocale, né nel privarsi di fare un complimento, ma nel considerarsi, anzi nell’essere pari nella vita di tutti i giorni, dando spazio al merito ben al di fuori del recinto di una “quota rosa”.

Questo è un possibile paradigma educativo forse mancato al ragazzo di ieri diventato l’adulto assassino di oggi, ai maschi violenti che non sanno vivere la loro vita e infieriscono su quella altrui.

Per questo dobbiamo rispondere, tutti, al messaggio di Sara, agli appelli delle tante, troppe Sara di cui ci dimentichiamo in fretta. Come fossero gli echi di una qualsiasi sbronza e non la spia di un’emergenza vera.