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L’idea delle Terre Alte di Sicilia tradita insieme alla sua dignità

L’urgenza di una fiscalità di sviluppo dedicata alle aree montane dell’isola, come strumento per arginare lo spopolamento e innescare un ciclo virtuoso di investimenti e lavoro

Vincenzo Lapunzina

13 Luglio 2025, 11:24

Ambiente

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C’è stato un tempo in cui credevamo davvero che il destino delle Terre Alte di Sicilia potesse essere riscritto. Lo abbiamo fatto con la forza della visione, con il coraggio delle idee e - soprattutto - con la fiducia incrollabile che lo sviluppo di questi paesaggi non fosse solo possibile, ma doveroso. Siamo stati pionieri di una proposta concreta: ben prima che il Pnrr entrasse nel vocabolario della politica italiana, avevamo già intuito l’urgenza di una fiscalità di sviluppo dedicata alle aree montane dell’isola, come strumento per arginare lo spopolamento e innescare un ciclo virtuoso di investimenti e lavoro. Non è stata un’utopia.

La nostra visione è arrivata nelle stanze del potere: dal Presidente del Senato ai ministri, dai vertici della Regione alla Conferenza Episcopale Siciliana. Abbiamo parlato il linguaggio delle leggi, dei numeri, delle sentenze - inclusa quella della Corte di Giustizia Europea - e abbiamo ottenuto risultati: 300 milioni di euro in tre anni (2022-2024), destinati, sulla carta, a compensare gli svantaggi strutturali dell’insularità. Una misura innovativa, seppur simbolica, pensata - di fatto - per avviare finalmente l’esperienza legislativa delle Zone Franche Montane in Sicilia, “protetta” da un percorso che l’avrebbe messa al riparo delle giustizia della concorrenza. E poi, il tradimento.

Il Governo Musumeci, ha cannibalizzato quelle risorse, deviandole altrove con la complicità silenziosa - o interessata - di alcuni amministratori locali. Lo stesso Presidente, che si era pubblicamente impegnato a destinare almeno 20 milioni nel 2022 per dare il via alla legge, ha clamorosamente disatteso la parola data. Noi, invece, ci abbiamo creduto fino in fondo.
Abbiamo investito risorse personali, affrontato ostilità, tentativi di delegittimazione, veri e propri sabotaggi. Eppure, la nostra proposta, radicata nell’autonomia statutaria siciliana, era una possibilità unica. Ed era concreta. Oggi, però, la realtà si fa ancora più amara. Nel Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne - approvato, di fatto, dal Governo Meloni nel marzo 2025, ma reso pubblico solo ora - si legge che i futuri interventi per le aree interne, comprese le Terre Alte di Sicilia, non punteranno più allo sviluppo, ma alla “gestione dignitosa del declino”. Un colpo durissimo. A maggior ragione perché la proposta, che ha indirizzato l’intero impianto del Piano, porterebbe la firma di un rappresentante del CNEL, nominato dal Presidente della Repubblica. E se pure il Ministro Foti ha anche tenuto - in gran fretta - a precisare che il documento non è stato approvato dal Consiglio dei Ministri ma da una cabina di regia tecnica, resta l’evidenza: lo Stato ha scelto di non credere più nella rinascita delle aree interne, ma solo nel loro spegnimento controllato. Si premiano - forse si illudono - i territori che sapranno “performare” meglio nell’incremento delle nascite o nel contrasto all’invecchiamento. Ma tutto questo senza una visione economica, senza un progetto di lungo respiro, senza un’idea di futuro.

Nel frattempo, c’è già chi si prepara ad approfittarne. Nelle Madonie - una delle aree a più alta biodiversità dell’isola - progettisti e tecnici, spesso gli stessi che hanno ostacolato la nostra legge, si organizzano per spartirsi fondi pubblici destinati alla transizione (forse inevitabile, a prescindere dalle rassicurazioni di Palazzo Chigi) e gestire a loro piacimento il “fine vita” di coloro che non hanno avuto o non avranno la possibilità di scappare. Una partita che si gioca sulle spalle di chi ancora resiste in questi paesaggi ricordati a singhiozzo e/o a convenienza. Ma noi, come Associazione Zone Franche Montane Sicilia, non ci siamo arresi. Abbiamo raccontato tutto in un libro, “Il Cavallo di Troia. Zone franche Montane Sicilia”, che oggi è più che un’opera di denuncia: è un documento storico. Perché ciò che è accaduto deve essere ricordato. Perché le responsabilità politiche e istituzionali non possono essere insabbiate nell’indifferenza. Questa terra non è condannata al declino. Ma serve il coraggio di riconoscerlo.
*Presidente dell’Associazione
Zone Franche Montane Sicilia