13 dicembre 2025 - Aggiornato alle 20:46
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L’intervento

La metafora della Ferrari e della velocità applicata alla separazione delle carriere

La riforma al vaglio del referendum di marzo ruota attorno al nodo delle due corsie parallele per giudici e pubblici ministeri, ma si tratta di una misura che non risolve nulla dei problemi della Giustizia italiana Numeri alla mano ecco perch

Francesco Puleio

13 Dicembre 2025, 00:05

Davvero separare le carriere di giudici e pm sarà la soluzione per tutti i problemi della giustizia italiana? Questa la recente modifica costituzionale, nell’attesa del referendum confermativo, previsto per il prossimo marzo. Cerchiamo dunque di analizzare motivazioni dei fautori della riforma e possibili scenari futuri di un cambiamento così rilevante degli equilibri stabiliti dalla Costituzione.

Una delle principali argomentazioni dei fautori della riforma è che chi ha svolto ruoli accusatori non possa poi diventare un giudice imparziale. Questa affermazione, per mia personale esperienza, è infondata: nei miei quarant'anni di servizio in magistratura, i migliori giudici che ho incontrato erano stati pm e gli inquirenti più accorti provenivano dalla giudicante. Vero era il contrario, perché la duplicità delle esperienze garantiva un completamento del percorso umano e dell’attrezzatura professionale del magistrato. Ma tutto ciò appartiene ormai al passato, perché la distinzione tra le due funzioni si è già realizzata nella pratica. Il trasferimento da una funzione all’altra è un episodio assolutamente marginale, potendo essere effettuato solo una volta durante la carriera e con il trasferimento in un’altra regione: così, negli ultimi tre anni ci sono state solamente 80 transizioni da pm a giudice e 41 nel senso opposto, equivalenti rispettivamente all’1,17% e allo 0,20% del totale dei magistrati in servizio.

Né appare più convincente la tesi secondo cui la necessità della separazione delle carriere deriverebbe dai principi del giusto processo sanciti dall’articolo 111 della Costituzione. Sostiene taluno che la parità delle parti davanti a un giudice terzo sarebbe compromessa qualora accusatore e giudice facessero parte dello stesso ordine giudiziario. Ma la parità in questione è quella garantita dalla legge durante il processo, non quella di tipo ordinamentale; inoltre, occorre non si può negare la differente natura della parte pubblica rappresentata dal pm, il quale - diversamente dal difensore, vincolato alla rappresentanza degli interessi delle parti private - ha l’obbligo di ricercare e sottoporre all’attenzione del giudice anche elementi favorevoli all’imputato.

Il principale argomento sostanziale a sostegno della separazione - cavallo di battaglia anche di una parte dell’Avvocatura - è la presunta incapacità dei giudici di esercitare la funzione di controllo in ragione di una loro propensione ad accogliere le tesi dell’accusa, quando queste siano presentate da soggetti appartenenti alla medesima carriera (da cui la prospettiva di un “appiattimento” dei giudici sulle posizioni del pm). Nuovamente, le statistiche forniscono una smentita puntuale e perentoria: secondo i dati raccolti dalla Procura Generale della Cassazione nel 2024, già in primo grado la percentuale di assoluzioni nel merito raggiunge il 26%, arrivando al 40% nei giudizi monocratici. Rimane difficoltoso determinare il numero delle richieste di misure cautelari respinte dal Gip, poiché tali informazioni raramente vengono rese pubbliche al di fuori del procedimento, ma non si contano i processi di notevole importanza e/o risonanza mediatica conclusisi con sentenze di assoluzione, talora dopo esiti giurisprudenziali contrastanti. In definitiva, i giudici risultano già pienamente impegnati nell’esercizio della loro funzione di controllo.

Anche si sostiene che i giudici sarebbero psicologicamente sottomessi al pm e che analoga influenza sarebbe esercitata sul Csm, attraverso le correnti. Tuttavia, i dati disponibili dimostrano il contrario: i rappresentanti dei giudici sono tre volte più numerosi di quelli dei pubblici ministeri (13 contro 5). Inoltre, sia nel Csm che nell’Anm, negli ultimi anni le cariche di capogruppo, o di dirigente o segretario non sono state ricoperte, se non in misura residuale, da magistrati provenienti dalle Procure. Il principale argomento a favore della separazione si basa dunque su un sospetto privo di riscontri oggettivi, alimentato dal fuoco delle polemiche che caratterizzano il dibattito sulla giustizia e riflettono opinioni discutibili. Non si pensa che la separazione delle carriere renderà comune ciò che oggi è solo un'eccezione: un pm con poteri simili a quelli della polizia, molto più esposto alle pressioni dell'opinione pubblica e alle sue richieste di risultati rapidi, soprattutto in seguito a eventi gravi.

In questo scenario, il pm, separato dalla giurisdizione e con un Csm autonomo rispetto ai giudici, troverebbe la sua funzione istituzionale principalmente nella fase investigativa, mostrando minore interesse per l'esito processuale, anche a livello di carriera. Parallelamente, il giudice si ritroverebbe più isolato e vulnerabile.

Infine, la questione più delicata legata alla separazione delle carriere riguarda la possibile dipendenza del pm dall'esecutivo. Sebbene la modifica non lo preveda esplicitamente, la tendenza osservata in diversi sistemi europei suggerisce che questa sia una direzione obbligata. Del resto, in una democrazia, sarebbe problematico avere un organo così potente - anche grazie al controllo su tutta, ma proprio tutta la polizia giudiziaria: Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza - ma privo di responsabilità, se venisse meno il legame, seppur minoritario, con la giurisdizione.

Ci attende dunque un pm come rappresentante del potere esecutivo? La prospettiva è inquietante. Perché configurare un ordinamento giudiziario il cui giudice, sfornito di iniziativa propria, non può mettersi in moto, se non lo richieda di ciò un funzionario dipendente dal potere esecutivo, rende detto potere arbitro della giustizia sino ad annullarla di fatto. A cosa servirebbe un giudice - privo di poteri di iniziativa ma munito di garanzie di indipendenza, una volta che l’ordinamento neghi al pm, motore del procedimento, gli stessi presidi? Sarebbe come affidare una Ferrari a un pilota che ha paura della velocità.

(L'autore è procuratore della Repubblica di Ragusa)