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Catania, “La Rondine” di Puccini apre stagione al Massimo Bellini

Di Sergio Sciacca |

Enzo Bianco, come sindaco della città metropolitana di Catania e presidente del Teatro ha sottolineato il rilievo che la presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, conferisce alla prima etnea: «È la prima volta che il Presidente della Repubblica presenzia a un inizio di stagione lirica etnea, un altissimo onore per la città e per la sua arte. Ma anche un riconoscimento della eccellenza culturale che per molto tempo è stata misconosciuta. Quando a suo tempo si indicarono i teatri lirici più significativi in Italia, per la Sicilia fu scelta la sede di Palermo: paghiamo un prezzo salato per non essere capoluogo di regione, ma con l’impegno assiduo di tutto il teatro si sono realizzati programmi che corrispondono alla gloria mondiale del nome di Bellini e della tradizione musicale e culturale della sua città natale. Nonostante il Teatro Massimo abbia dovuto fronteggiare cospicui tagli dei finanziamenti, l’impegno di quanti lavorano nel teatro e della cittadinanza che lo sostiene sta dando i suoi frutti. Le stagioni hanno una loro storica continuità, la ricerca musicologica sta offrendo spunti di studio apprezzati dai centri di cultura più importanti del mondo. Non le “nozze coi fichi secchi”, ma nozze reali, nonostante l’esiguità delle risorse pubbliche».

Roberto Grossi, come sovrintendente del Bellini ha rimarcato che il Capo dello Stato non si è recato all’inaugurazione scaligera ma verrà a quella catanese, e ringraziandolo per la sensibilità ha rivolto un plauso al pubblico che ha acquistato 100mila biglietti per l’intera stagione 2018 e sostiene, anche in tempi economicamente precari, le iniziative del proprio teatro come fanno anche gli imprenditori che investono nella cultura. «Il nostro teatro vanta un direttore d’orchestra di rilievo mondiale e anche se sussistono alcuni problemi si possono superare: le facilitazioni per gli abbonamenti continuano». Chi segue la vita del teatro sa che vi sono state ospitate manifestazioni con partecipazione popolare di massa (non solo delle élites culturali) che corrispondono alla disegno di continuare le glorie di una città che nella musica e nella letteratura, nelle scienze e nelle arti meritò il nome di sicula Atene.

Francesco Nicolosi, come direttore artistico del Bellini ha sinteticamente osservato che le programmazioni da lui firmate seguono un tema conduttore di rinnovamento culturale: per l’inizio di ogni stagione si sono individuati titoli (la Fedra, La Straniera e adesso la Rondine) di rara o rarissima presenza sulle scene mondiali, ma i cui valori artistici e morali hanno implicazioni non indifferenti. Si tratta di melodrammi che hanno al centro figure femminili che andavano controcorrente nel mito o nella storia e che gli autori scelsero come temi di riflessione per gli spettatori. Ha ragione: la Fedra descritta da Euripide intendeva scrollare le convenzioni retoriche della società attica; così come la Rondine pucciniana intende additare le ipocrisie perbeniste della società nella Belle Epoque, culminanti nello sposalizio o nella lacrimevole morte della Traviata o Peccatrice di turno, ma incurante di vizi e prepotenze che rendevano possibili i peccati o i traviamenti.

È stato questo il tema sul quale si è concentrato Gianluigi Gelmetti, come direttore d’orchestra della Rondine e regista. Accoppiata oggi insolita ma del tutto naturale quando si pensa che una idea interpretativa deve restare unitaria sia nell’aspetto musicale che in quello teatrale (salvo generare mostruose scissioni in cui si canta un sentimento e se raffigura un altro). Del resto il nostro direttore principale ospite ha esteso lo sguardo all’opera pucciniana tutta indicando come segno di contraddizione esecutiva la separazione del Trittico in singole entità autonome, mentre si tratta di tre momenti della medesima storia sentimentale e della medesima modulazione musicale. Questa Rondine in cui si tratta di una donna (che modernamente chiameremmo una “escort”) che rifiuta le nozze “riparatrici”, è una “protofemminista”, consapevole del proprio fondamentale decoro e della altrui pudibonda ipocrisia. Analisi che trova corrispondenza in Dante che pose in Paradiso una Cunizza di cui la morale condannava i proventi, ma di cui il ghibellin fuggiasco comprendeva i generosi sentimenti.

A questo punto Gelmetti ha lanciato riferimenti al “sacri-ficium”, la cui radice etimologica è la medesima del “sacer-dotium” indicando una abnegazione di sé che andrebbe scandagliata in altra sede. Quando il nostro Coro (magistralmente istruito da Gea Garatti Ansini) intonerà il finale dell’Inno di Mameli in onore del Presidente, riconosceremo lo stesso concetto.

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