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“I tesori ritrovati”, mostra nella chiesa di San Francesco Borgia a Catania

Di Pinella Leocata |

Catania – La mostra degli antichi arredi e paramenti sacri della chiesa di San Francesco Borgia, curata da Luisa Paladino – storica dell’arte e una delle dirigenti del “Polo museale di Catania”- ha catturato il presidente della Regione che, dopo il taglio del nastro, colpito dalla bellezza di questi oggetti di alto artigianato, si è lasciato andare ad esprimere valutazioni, idee e progetti per la valorizzazione del patrimonio culturale siciliano, convinto com’è che proprio da qui bisogna partire per promuovere un turismo di qualità.

Il primo annuncio è che in Sicilia si riprenderanno gli scavi archeologici. E non è un caso che abbia scelto come assessore alla Cultura l’archeologo Sebastiano Tusa, presente all’inaugurazione della mostra permanente “I tesori ritrovati. Corredi liturgici e dipinti della chiesa di San Francesco Borgia del demanio regionale a Catania”. «Certa politica – commenta Nello Musumeci – era convinta che solo quello che sta sopra la terra dà consenso e voti. Io la penso diversamente». Di più. Di fronte ai preziosi arredi sacri che si credevano del tutto perduti e che Luisa Paladino ha in parte recuperato in maniera inaspettata, il presidente Musumeci si è detto certo che, «con i materiali conservati nei vari archivi e depositi siciliani, si potrebbero aprire altri 10 musei, 4 dei quali di scienze naturali». E questa non è soltanto una costatazione, ma l’annuncio di una strada da percorrere. Del resto Musumeci, da presidente della Provincia di Catania, e lo ricorda, ha ideato e aperto due musei: «quello dello Sbarco, che è il secondo in Europa per numero di visitatori, dopo quello di Londra, e quello del Cinema, che è secondo soltanto a quello di Torino».

Un’operazione allora condotta all’interno di quella, più vasta, del recupero delle raffinerie dello zolfo, le Cimiere, nella prospettiva di farne un centro fieristico e poi culturale. Un precedente che il presidente della Regione non vuole rimanga un fatto unico. Infatti – e lo annuncia ammirando ostensori, pissidi e calici d’argento finemente lavorati – è sua intenzione realizzare un grande polo culturale nelle tre grandi città siciliane. E ha già in mente le possibili sedi: a Palermo l’ex Albergo delle povere e a Catania l’Ospedale Vittorio Emanuele che entro un mese e mezzo sarà del tutto trasferito al Policlinico. «È un’idea del presidente», si affretta a specificare per poi aggiungere che ne discuterà in Giunta. «Qui, come in una sorta di Centro Pompidou, potrebbero trovare sede, negli antichi padiglioni, tra il verde, spazi espositivi per mostre e iniziative culturali, e poi una galleria d’arte moderna, una d’arte contemporanea, i musei scientifici, il museo antropologico e tanto altro ancora». Il che equivale a dire due cose: che non condivide l’idea di fare negli spazi dell’Ove né un campus universitario né speculazione edilizia, e che il Museo della Città non si farà più nell’ex convento dei Crociferi, come era previsto. E il museo Egizio? «In questo periodo è pericoloso parlare dell’Egitto», scherza Nello Musumeci che così annuncia di volere chiudere anche questo capitolo. A cosa sarà destinato, allora, l’ex convento dei Crociferi, restaurato ormai da tempo? «Ho delle idee, ma non le anticipo».

Così l’inaugurazione di una mostra diventa occasione e ribalta per annunciare nuovi progetti e nuovi indirizzi politici, oltre che spunto per ringraziare per il lavoro svolto la dottoressa Luisa Paladino, che a fine anno andrà in quiescenza, e per elogiare l’impegno e la dedizione di quanti, alla Regione, s’impegnano nel proprio lavoro. Alla ricerca della dottoressa Paladino, fatta sulle carte di Ignazio di Loyola insieme ai catalogatori, si deve l’ostinazione di sapere che fine avesse fatto il tesoro dei Gesuiti di San Francesco Borgia dato per scomparso, sottratto alla chiesa di via dei Crociferi nel corso degli ultimi decenni. Gli archivi parlavano di 150 pezzi d’argento finemente lavorati. Luisa Paladino ne ha trovati 32, e tra questi alcune opere di pregio, espressione della qualità dei maestri argentieri catanesi e del fatto che non si fecero fermare dal terremoto del 1693 continuando a lavorare con il sostegno delle maestranze messinesi. Oggetti e paramenti sacri sono stati ritrovati in parte nella sede delle Ipab siciliane e in parte sono stati restituiti dalle monache del vicino convento di San Benedetto che in precedenza li avevano dati al Museo Diocesano in via di realizzazione, senza che però fossero mai esposti.

Tra i tesori ritrovati un magnifico ostensorio del 1691, il famoso secentesco calice di oro massiccio di cui si favoleggiava e che si è scoperto essere, invece, d’argento ricoperto con uno spesso strato di oro-mercurio. Una scoperta che si deve all’accurato lavoro di restauro e ripulitura di tutti i pezzi effettuato dal gioielliere Ugo Longobardo che della mostra, fatta a costo zero, è sponsor tecnico. Ritrovati ed esposti anche pissidi, teche portaostie, fermagli per piviale, paramenti intessuti in filo d’oro (bisognosi di restauro) e alcune delle pale d’altare. Una di queste è stata rintracciata nella cappella del Nuovo Seminario arcivescovile cui l’avevano indebitamente data le suore benedettine, e un’altra nel negozio di un antiquario di Torino che l’aveva travisata per renderla irriconoscibile. Espediente che non ha ingannato i carabinieri del nucleo tutela di quella città, così come i loro colleghi di Siracusa sono riusciti a rintracciare una piccola parte della tela strappata dall’altare maggiore.

Questa mostra di oggetti preziosi di squisita fattura, realizzati tra la fine del Seicento e il Settecento, ci racconta anche della ricchezza e della potenza dei Gesuiti, che proprio per questo furono cacciati dai Borbone, e della nostra storia dei decenni scorsi segnata dal disprezzo e dalla rapina dei beni della collettività e, più di recente, della nuova volontà di riscatto, di riappropriazione e tutela del nostro importante patrimonio culturale.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA