Notizie Locali


SEZIONI
Catania 13°

Archivio

Le “Sorelle Materassi” debuttano al Verga con le musiche siciliane di Mario Incudine

Di Redazione |

CATANIA – Tournée trionfale per “Sorelle Materassi”, versione scenica del romanzo di Aldo Palazzeschi, un capolavoro le cui riduzioni hanno sempre goduto di straordinario successo, al cinema come in televisione ed in teatro. In questo caso il merito è del libero adattamento originale scritto per l’occasione da Ugo Chiti, uno dei più importanti drammaturghi italiani, dell’interpretazione di tre splendide attrici e beniamine del pubblico come Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati e della regia di Geppy Gleijeses. Le scene sono di  Roberto Crea, i costumi di Ilaria Salgarella, Clara Gonzalez, Liz Ccahua, coordinate da Andrea Viotti (Accademia Costume&Moda, Roma – 1964), le luci di Gigi Ascione, le musiche di Mario Incudine. Nel cast si segnalano ancora Gabriele Anagni, Sandra Garuglieri, Luca Mandarini, Roberta Lucca.

La produzione è realizzata da Gitiesse artisti riuniti in collaborazione con Festival teatrale di Borgio Verezzi. Lo spettacolo sarà ospite del Teatro Stabile di Catania dal 22 al 27 gennaio alla Sala Verga. Ambientato nei primi anni del XX secolo nel sobborgo di Firenze Coverciano, Sorelle Materassi narra la vicenda di quattro donne che vivono una vita tranquilla e isolata. Tre di esse (Teresa, Carolina e Giselda), sono sorelle: le prime due sono nubili, la terza è stata da loro accolta essendo stata respinta dal marito. Teresa e Carolina sono abilissime sarte e ricamatrici e vivono cucendo corredi da sposa e biancheria di lusso per la benestante borghesia fiorentina. Giselda, delusa dalla vita, tende all’isolamento e si lascia tormentare da un rabbioso risentimento. Una dose di popolaresco ottimismo e di serena saggezza è introdotta nella vita familiare dalla fedele domestica Niobe che tranquillamente invecchia insieme alle padrone.

Tutto sembra scorrere su tranquilli binari quando nella casa giunge Remo, il giovane figlio di una quarta sorella morta ad Ancona. Bello, pieno di vita, spiritoso, il giovane attira subito le attenzioni e le cure delle donne i cui sentimenti parevano addormentati in un susseguirsi di scadenze sempre uguali. Istintivamente Remo si rende conto di essere l’oggetto di una predilezione venata di inconsapevole sensualità e approfitta della situazione ottenendo immediata soddisfazione a tutti i suoi desideri e a tutti i suoi capricci. Il sereno benessere della vita familiare comincia ad incrinarsi: Remo spende più di quanto le zie guadagnino con il loro lavoro e le sue pretese non hanno mai fine. Giselda è l’unica a rendersi conto della situazione ma i suoi avvertimenti rimangono inascoltati. A poco a poco Teresa e Carolina spendono tutti i loro risparmi per soddisfare le crescenti esigenze del nipote, poi iniziano a indebitarsi e infine sono costrette a mettere in vendita la casa e i terreni che avevano ereditato dal padre.

«Affrontare Palazzeschi e Sorelle Materassi – sottolinea Geppy Gleijeses – esigeva anzitutto un’esatta collocazione di uno straordinario romanzo in un genere teatrale: cosa può diventare o meglio cosa può rappresentare “in nuce” Sorelle Materassi? Una commedia, una tragedia, un grottesco, un vaudeville, una farsa? L’esercizio non è ozioso, perché l’inserimento (apparentemente pedestre) in un genere, ti indica una strada. Ebbene Palazzeschi ti fornisce una quantità di segnali fuorvianti, attraverso la sua personalità e il romanzo in oggetto. Futurista nel 1910, pacifista nel ’14, toccato dall’esperienza dell’avanguardia nel ’20 (il “ritorno all’ordine”), lo ritroviamo nella ripresa sperimentale delle avanguardie degli anni ’60 (oggetto di culto del gruppo ’63 e di Alberto Arbasino – suo splendido esegeta – in particolare). Poeta, prosatore, drammaturgo, romanziere, giornalista, ancora poeta. Cos’è Palazzeschi, cos’è quindi Sorelle Materassi? Palazzeschi è un autore che vive e scrive in una inconfondibile e quasi cinica giocondità, con un suo nichilismo generoso, ma c’è qualcosa in lui di meravigliosamente oscuro, enigmatico e inafferrabile».

Da questa premessa discendono le scelte di Gleijeses, che racconta come è maturato lo spettacolo. «Mi viene in mente un titolo di Ruccello: “piccole tragedie minimali”. Non abbiamo cercato in Palazzeschi lo spessore della tragedia, né fino in fondo atmosfere cechoviane (anche se punti di contatto ve ne sarebbero), ma solo un gioco estenuato che si scioglie in una “impossibilità del dramma”. L’autore non lo cerca e il romanzo non ne ha la “struttura”, non ne sopporterebbe il peso. Teresa e Carolina in un finale apparentemente fosco (tipo “Corvi” di Becque) in mezzo a cambiali, ipoteche, alla rovina della fine di ogni speranza, non si incamminano sul sentiero de I Malavoglia ma chiudono la storia rovistando tra le foto dell’atletico nipote in costume semiadamitico e accettando la proposta di Niobe di lavorare per la ricca piccola borghesia di Coverciano piuttosto che per la nobiltà fiorentina. Un gioco, delizioso e sottilmente crudele. In un trionfo di motori rombanti alla Boccioni-Balla, di giovani “fassisti”, massaie prolifiche, edilizia monumentale e altre amenità dominanti (Oddio, il “piombo” puniva davvero), ci ritroviamo tra beghine sole, un po’ disperate e fisicamente aride come “catini di zinco”, avarizie sordide di vecchi bottegai, esistenze inutili che sfioriscono e appassiscono nei retrobottega senza monumenti e senza vetrine, in simbiosi con macchiaioli come Signorini e Lega e i loro cortiletti campestri e le toilette mattutine alla “Maison Tellier”, o come gli intonaci scrostati di Ottone Rosai. Ma non si scherza! Quando Palazzeschi dedica un capitolo alle nozze provinciali e grandiose di Remo e Peggy è grande come solo Tomasi di Lampedusa nel ricevimento del Gattopardo».

Ed è un libero adattamento quello su cui s’incardina messinscena, come spiega ancora il regista: «Da questo dedalo di segnali spesso non univoci, ma splendidamente fuorvianti, Ugo Chiti è uscito scrivendo, a mio avviso, una delle più belle “novità italiane” degli ultimi anni, con spirito e delicatezza. Lucia Poli, attrice immensa e mia prediletta compagna d’arte, gioca con toni duri e abbandoni a cui né lei né noi possiamo resistere, Milena Vukotic distilla deliqui, smancerie e piccole ribellioni con il raro dono della grazia, Marilù Prati porta da par suo una ventata rivoluzionaria da povera pasionaria violata covercianese e tutti gli attori perfetti, lo scenografo, le costumiste e il maestro delle luci di questa “commedia” (sì, definiamola così) mi hanno più o meno consciamente indicato la strada che spero avrebbe gradito quel burlone di Palazzeschi, la piccola tragicommedia minimale. Perché lui era fatto così: ad Arbasino che lo intervistava sui sublimi e banalissimi ricordi della sua infanzia apparsi sul “Corriere della Sera”, rispondeva: “A Ugo Ojetti quegli articoli piacevano molto… ne domandava anche due o tre al mese, mentre io più di uno non riuscivo a farne mai… E mi piacevano così poco…».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA