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Fabio Concato torna in Sicilia in versione jazz in omaggio a papà

Di Luigi Provini |

Fabio Concato torna in Sicilia nella sua versione jazz, accompagnato dal trio composto da Paolo e Glauco Di Sabatino, rispettivamente al pianoforte e alla batteria, e Marco Siniscalco, al basso. Doppio appuntamento siciliano; il primo a Messina, il 23 febbraio (ore 17.30 e ore 21) al teatro “Vittorio Emanuele”, poi a Trapani, il 26 marzo (ore 21) al teatro “Ariston”. “Gigi”, album presentato nel 2017 che ha messo insieme alcuni dei più grandi successi del cantautore meneghino, più che un esperimento è una bella realtà.

Fabio, sei cresciuto a pane e musica, sulle ginocchia di papà…

«È così. Ho cominciato con lui ad ascoltare musica, a lui devo la passione per il jazz. Ero piccolino; attraverso i suoi racconti, ma soprattutto grazie ai suoi arrangiamenti, ho imparato i primi accordi e ho iniziato a comprendere che cosa rappresentasse questo genere. I papà, naturalmente, hanno un ruolo determinante per i figli. Se aggiungiamo la capacità di saper educare alla buona musica, per me, diventano ancora più importanti».

Balzi tra pop e jazz. Novità o ritrovata abitudine?

«Era una cosa che mi mancava. Negli ultimi anni ho avuto il privilegio di suonare con molti musicisti jazz che mi hanno consentito, per la prima volta, di fare qualcosa di concreto. Adesso mi pare normale proporre certi brani, prima accadeva sporadicamente».

Cominciasti con una scommessa, per altro insolita. Ti senti vincitore?

«Tutto è iniziato con Fabrizio Bosso e Julian Olivier Mazzariello. In effetti, ripensandoci, abbiamo fatto qualcosa di anomalo; piano, tromba e voce non rappresenta un ensemble tipico, anzi. Adesso, con Paolo, Glauco e Marco stiamo portando avanti questo progetto che ci diverte molto; il loro modo di suonare è formidabile… La gente ci ascolta con piacere; non so se potermi considerare vittorioso, ma di certo non mi sento sconfitto!».

Concato eclettico. Solo nella forma perché la sostanza resta la stessa?

«Delle differenze ci sono. Nel pop, per esempio, quando registro dei dischi mi capita di impiegare qualche settimana di lavoro. Quando ho registrato “Gigi” in meno di una settimana abbiamo fatto tutto. Pronti, via e buona la prima. Questo nuovo approccio alla musica mi ha positivamente colpito».

Qual è l’aspetto che preferisci?

«Non c’è mai una serata uguale a un’altra. Da questo punto di vista mi sento un po’ jazzista; nel senso che, secondo me, chi suona jazz è abituato non solo a improvvisare, ma soprattutto a sperimentare. Non si canta mai alla stessa maniera e a me questo piace tantissimo. Mi interessa rischiare; mi attira molto l’idea di potermi confrontare con musicisti diversi, far musica con jazz band composte da ragazzi molto giovani o con grandi formazioni musicali. Non è detto che vada sempre bene ovviamente, ci sono delle volte in cui le cose riescono meglio e delle altre meno. Provarci mi stimola parecchio…».

Tutti noi ti conosciamo come cantautore. Sul “tuo” palco, però, non c’è spazio solo per la musica. Dico bene?

«Resta la protagonista, però è vero per me ridere è fondamentale. Spesso mi diverto a ironizzare su me stesso e questo viene apprezzato anche dal pubblico. Nei miei spettacoli provo a metter dentro pure qualche “pensierino” a voce alta. Non mi dispiace poter fare riflettere o riuscire, addirittura, a commuovere. La musica non è asettica, riesce a creare alchimie magiche e situazioni davvero interessanti; ha uno straordinario valore sociale».

A proposito di valore; quant’è preziosa, per te, la musica di oggi?

«Non penso sia un caso che, oggi, le hit parade, ammesso che esistano ancora, durino una settimana. C’è qualcosa che non funziona. Sarebbe bello, come accade per certi brani sempreverdi, che tra quarant’anni si cantino i successi odierni. Onestamente, però, non ci credo. Perché manca la “ciccia”».

Che vuol dire?

«Significa che a troppa musica contemporanea mancano i giusti ingredienti. Scarseggiano le armonie, le melodie, rilevanti per la musica popolare. Naturalmente c’è ancora chi scrive e compone in maniera pregevole. Sono convinto, per quanto ne sia dispiaciuto, che oggi la musica, quella maiuscola, sia un po’ latitante. Non credo che tra decenni canteranno i brani che vanno per la maggiore».

Qualcosa, invece, sarà uguale. La domenica, anche in futuro, continuerà a essere “bestiale”?

«Me lo auguro, ma pensiamo al presente. Intanto non vedo l’ora che arrivi la prossima, per ritornare nella vostra meravigliosa terra che mi accoglie sempre con affetto».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA