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Massimo Ranieri, a Catania la musica napoletana in chiave jazz

Di Giuseppe Attardi |

Catania – È l’istrione del teatro italiano, ed è anche lo stakanovista della scena nazionale. Massimo Ranieri, 65 anni, ha un calendario fitto di appuntamenti fino al prossimo ottobre, protagonista, pardon, mattatore di ben tre spettacoli differenti: Sogno o son desto, di derivazione televisiva, show nel quale l’artista mescola tutti i suoi successi con quelli dei grandi autori di musica e teatro, da Viviani a Gaber; Teatro del porto con cui porta in scena poesie, parole e musiche di Viviani, nella Napoli di cent’anni fa, tra emigranti, zingari, pescatori, guappi, gagà, cocotte e prostitute; e, infine, Malìa, concerto in cui Ranieri divide il palcoscenico con professionisti dell’improvvisazione, permettendosi di fare davvero l’americano di Napoli, il napoletano d’America, puntando sulla convivenza di due culture musicali profondamente diverse, eppure capaci nel tempo di influenzarsi a vicenda. Ed è con quest’ultimo progetto che domani sera (ore 21) Massimo Ranieri si presenterà al Teatro Metropolitan di Catania.

Una “chicca”, perché è difficile mettere insieme nella stessa serata cinque stelle del calibro di Enrico Rava alla tromba e al flicorno, Stefano Di Battista ai sassofoni, Rita Marcotulli al pianoforte, Riccardo Fioravanti al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Con loro, Massimo Ranieri ha intrapreso un viaggio verso un incantesimo. Una sorprendente avventura musicale in un tempo magico delle canzoni napoletane, quando tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta quelle melodie già universali si riempirono improvvisamente di estate e di erotismo, di notti e di lune. E si vestirono di un fascino elegante e internazionale. È l’inconfondibile Napoli “caprese”, che diventò in un baleno attraente, seducente, prestigiosa e sexy come una stella del cinema. Una Napoli che cantava e incantava. E che è diventata una immortale Malìa, come suggerisce il titolo del progetto che ha conquistato anche la platea di Umbria Jazz. «Adesso posso dire che ci sono stato, pensi: Rose Rosse a Umbria Jazz. Ho saltato più in alto di Bubka. Le emozioni sono il sale della vita» commenta divertito. Singolare connubio, con Rava, Di Battista e company: «Il segreto è che in quella settimana in cui ci vediamo, parliamo cantiamo, ridiamo, mangiamo, e alla fine si fondono queste due personalità. In tutta la giornata ci diciamo sì e no cinque cose, ma c’è quell’assenso senza parlare, si capisce la stima e la bellezza dello stare insieme. Loro sanno che debbono fare cose che non hanno mai fatto. Io so che debbo cantare con dei sublimi musicisti. E tutto diventa fluido, non c’è l’ansia».

Tant’è che Malìa ha avuto un secondo capitolo. «Ho iniziato questa avventura quasi per scommessa, continuando nel percorso di rilettura del pianeta cantaNapoli intrapreso con Mauro Pagani. Perché è bello, alla mia età, sentirsi di nuovo un debuttante e poi, piano piano, fare sul serio» racconta la voce di Perdere l’amore.In Malìa 2 ci sono omaggi più o meno diretti al suo pantheon verace personale. Partendo da Che t’aggia dì, da Sergio Bruni, ‘a voce ‘e Napule. «A parte l’esperienza da tredicenne quando il maestro mi volle come sua spalla negli Usa, a me che non avevo mai visto nemmeno Roma, Bruni è la canzone napoletana, il canto napoletano. Come dimenticarsi degli echi rurali che metteva in Giacca russa ‘e russetto (‘58), che qui portiamo in Sudamerica, o in Vieneme ‘nzuonno, perla del Festival di Napoli del 1958 da noi rivissuta come uno slow swing? Il jazzista ha il privilegio di scegliere di suonare cose che ama, mi sono sentito un jazzista almeno in questo».

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Giacca rossa e russetto è un omaggio a Renato Carosone. «Senza di lui non si parlerebbe di canzone napoletana moderna. Quel pezzo l’ha scritto con Nisa, il paroliere di tanti successi, compreso Torero (‘57) che abbiamo destrutturato con estremo rispetto». Poi c’è Totò e Malafemmena (1951), e Modugno, con Strada ‘nfosa (‘59) e Musetto (‘56), che però è in italiano. «A Mimmo io sono troppo legato e questa delizia tenera e discreta meritava di finire tra le nostre malìe, con una intro gershwiniana e poi armonie sorprendenti». A completare il tutto ci sono una rinnovata Dove sta Zazà (‘44), Indifferentemente (‘63), una strepitosa Tammurriata nera (‘44) e Luna rossa (‘50), in attesa di un Malìa 3 «magari arrivando sino a Pino Daniele». Che Massimo Ranieri già omaggia in Sogno o son desto. La riscoperta artistica delle radici napoletane, con questa nuova chiave jazz, richiama alla mente il divertente aneddoto di un rimprovero amorevole nel momento in cui stava decollando la carriera di uno degli artisti più poliedrici e completi. Fu Anna Magnani a dare il “là” ad un giovane Ranieri. «Un giorno – racconta – lei mi disse: “Regazzì, senti un po’ ‘sta canzone…». Era Reginella, anche se io, giuro, non l’avevo mai sentita prima. Ad Anna cascarono le braccia: “Non la conosci? Ma che razza di napoletano sei? Avanti, canta!”. E così, un po’ perplesso, iniziai a cantare». Da allora non ha più smesso.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA