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enogastronomia

Cibo e tradizione, la scacciata di Catania: il “giornale” commestibile che racconta la città

Prepararla non è semplice cucina: è liturgia. C’è chi impasta a mano, “perché la pasta deve sentire il calore” e chi giura che l’impasto si offende se qualcuno ci litiga in casa

Francesca Aglieri Rinella

08 Dicembre 2025, 18:45

Cibo e tradizione, la scacciata di Catania: il “giornale” commestibile che racconta la città

A Catania, quando arriva dicembre, qualcosa nell’aria cambia: non è solo l’odore di legna accesa, né la frenesia delle feste. È un profumo più basso, caldo, quasi furtivo, che esce dalle cucine private e dai panifici di quartiere. È l’odore della scacciata, la regina non dichiarata delle tavole natalizie catanesi, un piatto che è insieme rito familiare, sfida tecnica e affermazione identitaria.

La scacciata - da ‘ncacciari, “schiacciare” - nasce come piatto povero, un modo per racchiudere in un involucro di pasta tutto ciò che la dispensa poteva offrire: verdure, formaggi, avanzi, perfino sorpresa. Oggi è un piccolo romanzo gastronomico che ogni famiglia riscrive a modo suo.

Un rito domestico (e dialettale)

Prepararla non è semplice cucina: è liturgia. C’è chi impasta a mano, “perché la pasta deve sentire il calore” e chi giura che l’impasto si offende se qualcuno ci litiga in casa. La pasta, sottile ma non troppo, deve essere sufficiente a contenere il ripieno senza esplodere anche se nessuna cena è davvero catanese senza almeno una scacciata “scoppiata”, accolta tra risate e giustificazioni creative.

Poi ci sono i ripieni, che sono mappe della città:

  • Broccoli arriminati e salsiccia, la versione “invernale” per eccellenza.

  • Tuma e acciughe, quella più antica, dal sapore rustico.

  • Patate, cipolla e pepe, la scacciata vegetariana che non si fa mancare nulla.

  • E la variante più discussa, quasi politica: la scacciata con la mortadella, che divide famiglie e forni quanto un derby calcistico.

Talvolta è opinione, talvolta è geografia

A Catania, dire che preferisci la scacciata alta è una dichiarazione di stile; sostenerla bassa e croccante, una filosofia di vita. La si compra nei panifici storici, dove le teglie escono dai forni come editoriali: qualcuno protesta se è troppo unta, qualcun altro applaude per il bordo bruciacchiato, e il fornaio ascolta paziente come un direttore responsabile di una testata culinaria.

Una tradizione che resiste

Nonostante food trend, cucina molecolare e nuove mode gastronomiche, la scacciata rimane un piatto che non si può “reinventare” troppo. Chi prova a farla gourmet rischia lo sguardo severo delle nonne catanesi, vere custodi della ricetta: “Bello, ma dove vuoi andare se la tuma non fila?”.

La scacciata non è semplicemente un rustico: è un racconto popolare, una memoria collettiva, un’azione culturale da forno a legna. Una storia che profuma di casa e di tradizione, e che ogni dicembre torna a dirci, silenziosamente, che certe cose non vanno solo mangiate: vanno condivise.