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L’arringa del “compagno” Miccichè «Laura, ecco le mutande per tutte»

Di Mario Barresi |

Catania – Dopo il cinguettio di giovedì sera, in cui aveva dato dello «stronzo» a Salvini, ieri la telefonata da Arcore («Ma con Berlusconi ci sentiamo ogni giorno, non mi ha chiamato per questo…», minimizza il destinatario), con un garbato richiamo: «Gianfranco, okay la critica politica, ma noi abbiamo uno stile. E quella parola non si usa, tanto più contro un ministro…».Ma a lui – guascone e passionale – il Cav perdona questo e altro. Perché Gianfranco Miccichè è così: prendere o lasciare. Da contestato custode dei vitalizi della casta a inneggiato difensore dei diritti dei profughi.

La “migrazione” si materializza nel pomeriggio, in un’improvvisata assemblea al porto di Catania. Miccichè è appena sceso dalla Diciotti, da presidente dell’Ars con la commissione regionale Sanità «con una delegazione di tutti i gruppi tranne i grillini», si affretta ad annotare. A incrociare il viceré berlusconiano di Sicilia è una parte del popolo della sinistra. Decine di esponenti della Cgil, ma anche qualche manifestante di sigle più radicali che da giorni presidiano il porto. Dopo il duro attacco al leader della Lega, l’accoglienza a Miccichè è di curiosa attenzione. E l’ex manager Publitalia, reclutato in politica da Dell’Utri un quarto di secolo fa, sente il peso del ruolo. Si fa sussiegoso nel rivelare il diario di bordo: «Signori, da un momento all’altro la situazione può precipitare: le condizioni igieniche sono molto precarie». Davanti a lui, a raccogliere gli aggiornamenti, c’è anche Laura Boldrini. «Ma gli indumenti glieli avete portati? E gli eritrei come stanno?», gli chiede l’ex presidente della Camera con un certo trasporto. E qui Miccichè si gonfia il petto: «Sì, Laura, abbiamo portato anche le mutande. Siamo stati costretti noi a comprarle: le donne avevano lo stessa biancheria da 15 giorni senza ricambi. Forse pure gli uomini, ma non potevamo comprare cose per tutti». A un suo collaboratore fa un cenno: «Portate su mutande e medicinali».

E così, mutatis mutandis, il «compagno Miccichè» – così lo saluta un sindacalista etneo – si gode il suo quarto d’ora d’attenzione dagli (ex?) «nemici comunisti». C’è pure la moglie del padre di Erasmo Palazzotto, deputato di Sel, fra chi gli dice: «Bravo Gianfranco, così si fa».

Gianfranco Miccichè al centro e di spalle Laura Boldrini

Lui , da vecchio marpione della politica, aveva persino invitato a pranzo Stefano Fassina, suo compagno di ispezione sulla nave, in una trattoria alla Pescheria. «Certo Gianfranco, dammi le coordinate e ti raggiungo», la spontanea risposta del deputato di Leu prima che un convincente spin doctor palermitano gli consigli di evitare attovagliamenti inopportuni. Ma Miccichè non molla: ricorda i trascorsi giovanili nella sinistra extraparlamentare (in Lotta Continua, nome di battaglia “Frisco”): «Una volta incontrai Berlinguer a Palermo e gli dissi che ero comunista ma non lo votavo perché nel Pci non c’era libertà». Alla fine dell’arringa sotto il gazebo, qualcuno va pure a stringergli la mano. E lui – ora in versione rivoluzionaria, da MicciChe – saluta tutti con orgoglio. «Penso di averli convinti che la sinistra non ha l’esclusiva delle persone perbene. E in questa storia della nave siamo dalla stessa parte. Quella giusta…».

Poi il commissario di Forza Italia in Sicilia propone l’armistizio: «Salvini, fai scendere almeno le donne e ti chiedo scusa». E sembra sulla buona strada: «Secondo me è un buon politico. Oggi sta sbagliando, sta esagerando anzi. Perché sta commettendo un errore senza rendersene conto, spero che se ne renda conto…». E se non fosse così? Qualche decimo di secondo e il fair play del “compagno Miccichè” è già finito: «Se invece lo sta facendo in malafede, allora è davvero stronzo!». Si congeda con una risata liberatoria. «I picciotti sulla nave sono stravolti, ma io ora sono stanco. Ho 65 anni, io…».Twitter: @MarioBarresi

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