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Sistema Montante, le nuove piste fra 007, tangenti e fondi neri

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

Caltanissetta. Non finisce qui. Non può finire qui. La stangata di venerdì sera – Antonello Montante condannato a 14 anni – sarà rimessa in discussione nell’appello già annunciato dai difensori. Eppure per chi, da cinque anni, indaga sull’ex paladino nazionale dell’antimafia, la sentenza di primo grado è un punto fermo. Il sistema Montante non è più soltanto una suggestione giornalistica. Né un semplice riserva da cui la commissione Antimafia nazionale, dopo l’esemplare lavoro di quella dell’Ars, potrà dare la caccia ai «traditori dello Stato» evocati dal presidente Nicola Morra.

È tutto nero su bianco. In attesa delle motivazioni del giudice Graziella Luparello, con le quali i difensori dell’ex leader di Confindustria Sicilia (e non solo loro) capiranno come si arriva a una condanna “lorda” a 21 anni, «quanto il minimo di carcere per un omicidio», prima della riduzione di 1/3 per il rito abbreviato.

A Caltanissetta, venerdì notte, al quarto piano le luci delle stanze della procura si sono spente in nottata. «Sono tutti in riunione», dicevano gli addetti alla sicurezza ai cronisti a caccia di reazioni, prima che il procuratore Amedeo Bertone facesse capolino dall’ufficio di un pm per esternare (sobria) soddisfazione. Poi quella porta s’è richiusa. E, andati via i giornalisti, il vertice è proseguito. Non soltanto per scaricare – “festeggiando” con bottigliette di minerale e caramelle alla menta – l’adrenalina dopo un verdetto cruciale. Ma anche per fare il punto (con Bertone l’aggiunto Gabriele Paci, i pm Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso e il capo della Mobile nissena, Marzia Giustolisi) sul lavoro da fare dopo il weekend di pausa. Già domani c’è un’altra udienza del processo “gemello” con rito ordinario (imputati, fra gli altri, l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, e l’ex capo dei servizi civili dell’Aisi, Giuseppe D’Agata) sul sistema messo in piedi da Montante. Che in questo procedimento potrebbe salire sul banco dei testimoni, così come alcuni pentiti.

Una parentesi a parte la merita, in questo contesto, l’approfondimento che si aprirà dopo scelta del gup Luparello, che – come si legge nel dispositivo della sentenza – ha trasmesso in procura i verbali di due testimoni «per le valutazioni di competenza»: si tratta di Mario Parente e Valerio Blengini, rispettivamente direttore e vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto civile. Anche in Procura aspettano di leggere le motivazioni per capire meglio le coordinate, ma sembra chiaro che al centro di questa ennesima spy story c’è Andrea Cavacece, altro imputato nel rito ordinario.

Ma non è tutto. Forse ha un po’ ragione, l’avvocato Carlo Taormina, quando parla dell’inchiesta come «pesca a strascico». La condanna di Montante come capo di un’associazione a delinquere è figlia legittima della reazione dell’indagato dopo le rivelazioni di Repubblica: come una mosca antimafia chiusa in un bicchiere, l’imprenditore di Serradifalco comincia a seminare le molliche della corruzione per scoprire notizie riservate su un’indagine che, continua a ripetere ai suoi legali, «mi ha fatto diventare pazzo». E a questo proposito si riflette, dentro il palazzo di giustizia e non soltanto lì, sul fatto che la strategia della Procura, dopo la maxi-condanna di venerdì, s’è rivelata vincente anche nella scelta di tempi e scelte. Perché – con l’aiuto decisivo dell’indagato eccellente – venerdì, rispetto all’enormità del potenziale Romanzo Criminale appena abbozzato in decine di faldoni s’è già chiuso un capitolo con una prima verità giudiziaria. Ma non sarà l’ultima. Né la più pesante. «L’indagine per concorso esterno non è stata archiviata», si limita a certificare Bertone. Con aplomb notarile, anche per non creare troppe aspettative su un’inchiesta complicatissima. Tutt’altro che a binario morto, se è vero – com’è vero – che lo stesso avvocato Taormina ha dedicato buona parte della sua arringa difensiva al processo per corruzione più per provare a smontare la “mafiosità” del suo assistito.

Vecchi verbali di pentiti e di imprenditori, ma forse anche nuovi elementi. La pista della contiguità di Montante a Cosa Nostra. Ma non è la sola. Se dalla rete di magistrati e polizia non è ancora emerso il “pescecane” con la coppola e la lupare, dal fascicolo iniziale è scaturito molto altro. La cricca degli spioni era l’evidenza più facile da sostenere in un processo ed è per questo, magari, che s’è partito proprio da lì. Ma da “Regionopoli”, la tranche sulla corruzione finalizzata al finanziamento illecito dei partiti (fra gli indagati, oltre a Montante, l’ex governatore Rosario Crocetta, le ex assessore Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, la neo-sindaca di Naro Maria Grazia Brandara, il presidente autosospeso di Sicindustria Giuseppe Catanzaro e altri imprenditori di griffe confindustriale) promette, dopo la proroga delle indagini, novità anche entro l’estate. Qui, però, l’ex paladino della legalità ha lasciato molte meno molliche. E non è semplice ricostruire il sistema di potere fondato sullo scambio (soldi e favori) che s’era insediato anche nei palazzi della Regioni.

E qui la metafora investigativa non è più marinara. Ma ortofrutticola: una ciliegia tira l’altra. I presunti finanziamenti alla campagna elettorale di Crocetta (nel registro degli indagati, in uno stralcio c’è anche l’ex senatore Beppe Lumia) si legano alla caccia dei presunti fondi neri di Montante. Ci furono già un paio d’indagini, in Piemonte e anche in Sicilia, un po’ troppo frettolosamente archiviate. A Caltanissetta si riprende la traccia del tesoretto-bancomat della corruzione, con la prospettiva di un vaso di Pandora il cui contenuto potrebbe essere utile anche nell’inchiesta-madre.

Non ci sono nuovi filoni d’indagine. O almeno così assicurano in Procura. Semmai, una percentuale della ponderosa montagna di carte potrebbe essere utile altrove. Magari a Siracusa. Dove le vicende dell’Ias, moneta di scambio per gli spioni indagati a Caltanissetta, avrebbero spunti di approfondimento. Magari a Palermo. Dove alcuni degli atti sequestrati all’assessorato delle Attività produttive (decisivo il contributo di Francesco Conticello, ex imprenditore antiracket poi assunto come dipendente regionale) potrebbero andare ben oltre la semplice ricostruzione che si sta effettuando a Caltanissetta, con la necessità di aprire altri cassetti istituzionali. Magari altrove. Termini Imerese, Trapani: le vie della corruzione e degli affari sporchi – fra appalti e gestione delle ex Asi – sono infinite. Senza dimenticar le «fughe di notizie» evocate fino a venerdì mattina in aula dai difensori di Montante. «Se avete elementi che ritenete utili, denunciate. Ma questi aspetti – li ha rintuzzati il pm Luciani – non riguardano il processo». E ha ragione. Perché questa è un’altra storia.

Twitter: @MarioBarresi

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