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«Scelte chiare su cosa tutelare poi il coraggio di demolire»

Di Mario Barresi |

Catania – La premessa è che «nelle nostre città non si può tutelare tutto indistintamente». E dunque s’impone «una scelta coraggiosa» su «cosa bisogna tutelare» e dunque mettere in sicurezza. Il resto? «Va abbattuto per poi essere ricostruito in un progetto nazionale di rigenerazione urbana». È una proposta che farà discutere, quella di Paolo La Greca, ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica all’università di Catania. Eppure è la sua idea (inascoltata) da anni. Partendo da «un dato inconfutabile», ovvero che «c’è una rilevantissima parte delle nostre città che è a rischio». E ciò «a prescindere dall’elemento intrinseco, come possono essere le calamità e nella fattispecie gli eventi sismici», perché secondo l’ex direttore del Dicar (Dipartimento Ingegneria civile e Architettura) «il maggior fattore di rischio è intrinseco, dovuto alla fatiscenza degli edifici».

Il colloquio con La Greca avviene all’indomani dell’ennesima scossa di un terremoto che nel Centro Italia sembra non finire più. «È chiaro che la riflessione di queste ore sulla vulnerabilità del sistema edilizio non può essere slegata dall’altissimo rischio sismico di alcuni territori, fra i quali l’Appennino e la Sicilia orientale». Ma il ragionamento di uno dei più prestigiosi urbanisti italiani arriva sempre sul concetto della «vulnerabilità edilizia». Con un aneddoto che risale a qualche giorno fa: «Facevo due passi, dopo il caffè, nel cuore della Catania moderna, con edifici risalenti agli anni 60». E ha filmato un particolare «che mi ha lasciato esterrefatto» e cioè «un pilastro di 30×40 centimetri, che ne perde 5 attorno al suo perimetro, riducendo la sezione resistente del 50 per cento». Riflessione: «Qui non è più una questione di prevenzione sismica. Senza un immediato e radicale intervento di consolidamento statico, questi edifici rischiano di implodere per il loro stesso peso. Urge che i catanesi ne siano consapevoli».

Un video diventato virale su Facebook, scatenando un dibattito. Il punto di partenza per estendere la riflessione, dopo l’ultimo terremoto in Centro Italia, al tema della qualità edilizia. «Non è più pensabile che ci siano interventi a macchia di leopardo sul singolo edificio, il sistema è fortemente interconnesso». Non a caso si parla di Sum (strutture urbane minime) in cui s’intrecciano scelte urbanistiche e di mitigazione del rischio.

Ma è arrivato il momento di quelle che La Greca definisce scelte «serie e coraggiose». Che partono da due necessità operative: la «tutela storica» e gli «interventi rilevanti». Da effettuare, però, «dopo aver definito cosa tutelare, perché al giorno d’oggi non si può tutelare tutto». E allora, sostiene l’urbanista catanese, «bisogna scegliere in modo serio e scientifico, concentrando risorse e competenze sull’oggetto di questa scelta». Per La Greca sarà «un piano di rigenerazione urbana, un programma trentennale che diventi la sfida del ventunesimo secolo». Di più: «Un’opera lunga e impegnativa che superi i colori dei partiti e l’alternarsi dei governi, perché deve diventare una priorità dei cittadini, che ovviamente devono compartecipare all’investimento nel caso di immobili privati, con aiuti e assistenza tecnica garantiti dallo Stato. La proprietà privata, nei frequenti casi di crolli, al di là delle calamità, è stato sempre il grande convitato di pietra».

E il resto? Cosa fare degli edifici che rimarrebbero fuori dalle scelte prioritarie di tutela? «Questa è la parte più coraggiosa, ma secondo me più lungimirante, di questa prospettiva di rigenerazione urbana. Bisogna abbattere tutto ciò che non è meritevole di tutela, per poi ricostruire». Una prospettiva che certo non farebbe fare salti di gioia ai proprietari degli appartamenti nei palazzoni anni 60-‘70, ma che per La Greca è «indifferibile, oltre che economicamente vantaggiosa». Perché, dettaglia, «quando si parla di investimenti miliardari per ristrutturazioni e messa in sicurezza, poi comunque quasi mai trasformati in provvedimenti concreti, si dimentica di fare i conti».

Un esempio: fra facciata, manutenzione degli impianti, adeguamento dei riscaldamenti, antisismico e di efficienza energetica, in una palazzina anni 60 delle nostre città si arriva a spendere anche 100-150mila euro per ogni singolo appartamento. E allora meglio abbattere, ricostruendolo con criteri di massima sicurezza, magari con aumento di cubatura (in questo caso: da 6 a 8 piani, anche come margine di profitto per chi ricostruisce) e una riduzione dell’altezza dei singoli piani. I risvolti positivi? Almeno due: «Il rilancio dell’edilizia e dell’occupazione collegata, ma soprattutto una riqualificazione urbana con edifici in cui riparta un nuovo ciclo di vita, caratterizzato da sicurezza e da qualità abitativa». E c’è un modello di riferimento, con il quale il Dicar di La Greca si confronterà – a Catania, il 6 e 7 dicembre prossimi – con i colleghi dell’Imperial College: Londra, oggetto di «autentica rigenerazione urbana» soprattutto per costruzioni degli anni 50 e ‘60.

Tutt’altro che una provocazione. «Gli edifici non sono eterni, hanno un ciclo di vita che spesso dura mezzo secolo. C’è carenza prestazionale dei materiali, compreso il cemento armato che spesso s’è dimostrato qualitativamente meno valido della vecchia muratura, e poi ci sono le operazioni dissennate dell’uomo, che peggiorano le cose e talvolta danno il colpo di grazia». Dunque, «anche senza alcun evento sismico», c’è «una rilevante parte delle nostre città che ci sembra in buona salute e che invece non lo è». E ha bisogno di una cura drastica: «Dopo un attento monitoraggio bisogna abbattere e sostituire. Integralmente».

Twitter: @MarioBarresi

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