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Centuripe, il paradiso negato per un dettaglio. La strada provinciale franata, il museo abbandonato

Di Giuseppe Di Fazio |

Due anni fa, al momento della nostra inchiesta su “Centuripe, un paese proibito”, si poteva comprendere il motivo. Allora mancava il sindaco, il consiglio comunale era dimissionario, il commissario nominato dalla Regione non aveva potuto firmare alcun atto perché s’era scoperto, a posteriori, che non aveva i requisiti per ricoprire l’incarico. Ma ora che c’è un sindaco in piena attività, per di più con grande esperienza politica, come si spiegano questi ritardi? «Quello che toccava a noi – ci dice Elio Galvagno, primo cittadino di Centuripe dal giugno del 2015 – lo abbiamo fatto. Esiste un progetto di rifacimento e consolidamento della strada già approvato e abbiamo trovato un finanziamento di 500 mila euro». Cosa manca allora? «Attendiamo il parere della Sovrintendenza, senza del quale i lavori non possono cominciare».

Sembra una storia kafkiana. Una cittadina è isolata, ma non c’è verso di sistemare una strada provinciale. Dario Luca, 35 anni, lavora alla zona artigianale. «Siamo gravemente penalizzati – racconta –. I camion che vengono da Palermo devono fare un giro più lungo di quasi 15 chilometri».

Ma dove lo Stato e l’ente pubblico non riescono, supplisce la buona volontà della popolazione. «La frana – racconta ancora Dario, che è anche il proprietario della Casa dell’acqua, di cui parleremo in seguito – ha di fatto isolato anche alcune contrade con diversi nuclei abitativi, fra cui il mio. Per due mesi potevamo raggiungere casa solo a piedi, percorrendo quasi un chilometro». La situazione è perdurata finché alcuni volenterosi, a proprie spese, hanno deciso di costruire una strada di collegamento alternativa che permettesse di superare la zona franata.

Il museo abbandonato

Due anni fa avevamo trovato un paese allo sbando: senza sindaco, né commissario; senza collegamenti pubblici con Enna, Paternò e Catania a causa del fallimento della ditta che gestiva il servizio dei bus; e con il museo, gioiello del paese, chiuso per inagibilità.

Il museo, per l’appunto. Oggi è aperto ai visitatori, ma solo in un piano; il resto dei locali rimane chiuso per mancanza del nulla osta dei Vigili del fuoco. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti e i numeri parlano chiaro. La metà dei dipendenti che vi lavoravano sono stati trasferiti in altri siti della provincia (Enna, Aidone, Piazza Armerina) e il numero dei visitatori s’è ridotto drasticamente. Nei primi sei mesi del 2016 le presenze si sono fermate a quota 981, la metà di quelle raggiunte nello stesso periodo dell’anno precedente. Negli ultimi anni il crollo dei visitatori è stato verticale. «La verità – confida il sindaco – è che il nostro è un museo abbandonato».

La storia di questa struttura è singolare. Ci sono voluti 50 anni per completarla. E, nel frattempo, tutti i reperti di epoca romana che venivano alla luce dagli scavi archeologici o durante normali lavori di rifacimento di strade sono stati depositati in custodia in altri musei dell’Isola, da Siracusa a Palermo. Cosicché quando l’edificio museale di Centuripe è stato completato e inaugurato s’è dovuto aprire un lungo contenzioso coi musei che conservavano i beni centuripini. La struttura, nata come antiquarium, divenuta poi museo comunale, è, infine, passata alla Regione, «che – commenta il sindaco Galvagno – l’ha completamente abbandonata».

C’è un episodio, in particolare, che in paese fa discutere. Nel 1938, durante i lavori di rifacimento di una strada venne ritrovata da operai locali una grande testa marmorea di Ottaviano Augusto. Trattandosi di reperto di valore fu affidato a un museo che potesse adeguatamente custodirlo, quello di Siracusa. Nel 2007 la testa di Ottaviano è stata prestata al museo di Bonn, poi è stata esposta alle scuderie del Quirinale, quindi è tornata nella sua sede naturale, al Museo di Centuripe. Ma solo per sei mesi. «Oggi – racconta il sindaco – è di nuovo a Siracusa, riposta in magazzino. Vi sembra giusto?».

Un comune per vecchi

Francesco Chiara, 31 anni e una laurea in Ingegneria civile, fa sfoggio di pessimismo della ragione. «Questo – dice – è un paese per vecchi. Da lunedì a venerdì la sera per strada o in piazza non c’è più nessuno. Sembra di vivere in un deserto. Il nostro unico punto di ritrovo è il pub, ma il sabato sera». E Salvo Longo, studente universitario in Lettere e anima dell’associazione “Kento”, rincara: «Sì, è vero, qui non ci sono luoghi di ritrovo. Col bel tempo al massimo si va in auto a Corradino [il giardino pubblico, ndr] e lì, rimanendo in auto, si chiacchiera con gli amici, a volte da un’auto all’altra». E Ignazio Russo, di professione autista ma per diletto prestigiatore, aggiunge: «Siamo spenti, non c’è più l’abitudine di condividere insieme un interesse o un hobby». Ma Nicola Rosano, 26 anni, impiegato in una ditta che si occupa di energie rinnovabili, riporta gli amici a un maggiore realismo. «Qualcosa sta cambiando, ci sono stati diversi tentativi per svegliare l’ambiente – dice – anche se non c’è poi stata continuità». Qui il volto dei nostri intervistati per un momento si illumina ed è come se ciascuno cercasse un esempio in positivo. Salvo racconta delle manifestazioni dell’associazione “Kento”, tutte autofinanziate. Nicola parla dei tentativi della Pro Loco, Dario descrive come gestisce in paese una “Casa dell’acqua” che conta ben 850 tesserati offrendo un servizio che consente risparmi economici e combatte il consumo di plastica. Ignazio, invece, si appassiona a spiegare come, nel tempo libero dal lavoro, prepara i suoi giochi di prestigio o addestra gli animali.

Tutta questa creatività, però, prende le forme delle eruzioni dell’Etna, il vulcano che fa da sfondo al panorama centuripino: grandi sbuffi di lava, boati e poi lunghe pause.

Le potenzialità dimenticate

Uno sguardo che non si fermi in superficie o che non si culli nel comodo disfattismo, non può fare a meno di prendere nota di alcuni segnali che, se adeguatamente sostenuti, farebbero ben sperare. «Anzitutto la rete delle associazioni (culturali, sportive, musicali) che quando si attiva – ci dice Gaetano Scornavacche, docente di Lettere nella locale scuola media e animatore di una vivace realtà educativa – riesce a realizzare eventi di valore come l’iniziativa “Centuripe nel presepe”, arrivata alla nona edizione, o le manifestazioni per le feste patronali». Tra le realtà che portano vivacità in paese c’è anche la scuola. L’istituto comprensivo “Ansaldi”, anzitutto, che con i suoi progetti didattici mobilita molti ragazzi nella conoscenza del territorio. E poi l’Istituto alberghiero, che dipende da Agira, ma è un fiore all’occhiello del paese. Quest’anno l’istituto, in qualità di vincitore del premio 2015 per la produzione di gelato artigianale, ha ospitato le selezioni regionali del concorso nazionale del gelato. Però, se il contorno resta un deserto, i giovani diventano facili prede della cultura dello sballo.

Il quadro, tuttavia, non sarebbe completo se non si tenesse conto del lavoro prezioso svolto dalla chiesa locale e dal volontariato, soprattutto attraverso l’azione caritativa in favore dei poveri e degli emarginati. Qui la Caritas parrocchiale e il Banco Alimentare operano da tempo in sinergia, con una dedizione e con risultati sorprendenti.

Tutto questo bene, però, è come se scorresse in un fiume sotterraneo che permette alla cittadina di non soccombere, ma non diviene lo sguardo e l’energia con cui affrontare i problemi del presente. Il sentimento pubblico prevalente, perciò, rimane la lamentela e la sfiducia.

Resta aperto, però, il problema del lavoro. Qui, come nel resto della provincia, la disoccupazione giovanile è molto alta. Né la zona artigianale, che all’inizio attirò diverse imprese anche dal Nord, né il turismo culturale, che avrebbe potuto trarre vantaggio dal Museo, hanno invertito la rotta. E ci si è dovuti affidare all’istallazione di un call center per poter godere di una ventina di posti di lavoro part-time. Un po’ poco per una realtà che, sulla carta, presenta enormi potenzialità. Così vivere a Centuripe è come avere un piccolo paradiso a portata di mano, eppure non poterne godere.

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