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Dario Argento: «Ho scritto un soggetto per un’avventura di Dylan Dog»

Di Ombretta Grasso |

Doveva essere un tranquillo pomeriggio di paura con il regista mito amato nel mondo che ha terrorizzato più di una generazione, ma Argento (classe 1940) ha preferito far divertire la sala stracolma di giovani e giovanissimi, scatenando risate e applausi con ricordi, progetti, giudizi taglienti su personaggi di oggi e del passato. Un bagno di folla con interminabile coda per gli autografi che firma, gentile, disponibile, sguardo luciferino e sorprendentemente sorridente, sulla sua autobiografia, “Paura”, sulle locandine dei film più celebri, su quaderni, foto, dvd, cd delle colonne sonore.

Un programma fitto quello che ha coinvolto il regista, padre di origini siciliane, produttore cinematografico, madre fotografa di moda, Elda Luxardo. Prima la presentazione del libro Dario Argento. Rosso come il sangue, rosso come la passione, curato da Adriano Pintaldi, che ha voluto omaggiare il maestro dell’horror, a cura di Daniele Urciuolo e Cateno Piazza, l’incontro con gli spettatori e la consegna del Premio speciale alla carriera. Si parte con la proiezione di Suspiria in versione restaurata a 40 anni dall’uscita e si parla subito del remake con Dakota Johnson, Tilda Swinton, Chloe Grace Moretz.

«Ci hanno messo tre anni per fare la sceneggiatura e poi non gli è piaciuta – racconta Argento con tono ironico – Guadagnino, che aveva acquistato i diritti ha deciso di girarlo lui, ha finito le riprese, ma non so come sia venuto… Mi è arrivata voce che non ci sono le streghe…» conclude tra le risate del pubblico. I suoi horror, confessa, nascono dai suoi pensieri. «A volte sono orribili – ammette – Penso di avere due metà, una chiara e una scura, come tutti. Ho la facoltà un po’ magica di dialogare con la mia metà oscura, di rigurgitare le più grandi malvagità, le parti più negative e di metterle sulla pagina. I miei sogni, i miei incubi sono la fonte di ispirazione per i miei film». C’è chi lo rimprovera per non aver dormito quattro mesi dopo aver visto a 14 anni Profondo rosso e ne approfitta per chiedergli il suo film preferito tra quelli girati, «ho dato tutto me stesso in ogni pellicola», e chi sia il suo erede nell’horror di oggi. «Mi piacciono molto i registi orientali, coreani, giapponesi, di Hong Kong, fanno film molto inquietanti, ma anche quelli messicani, argentini, brasiliani fanno un cinema che mi interessa perché c’è molta psicologia a differenza degli americani, in genere più sempliciotti». Ma eredi non ne riconosce. «Neanche Nicolas Winding Refn come molti suggeriscono. Mi piace, ma ciascuno ha un suo stile».

Una ragazza gli chiede se il cinema “di paura” ha un valore terapeutico «perché – aggiunge facendo di nuovo ridere il pubblico – ci si immedesima nell’assassino». «Non credo – ribatte Argento – ma è un cinema che tocca le emozioni, che fa vivere in mondo straordinario, diverso. Come se tu fossi in una stanza – le dice – e a un certo punto apri una finestra e vedi lampi, tuoni e un panorama che non hai mai conosciuto. C’è il linguaggio della fiaba, del sogno, dell’incubo».

La serie Tv su Suspiria con Cattleya nella Londra del 1840 in 12 episodi, di cui dovrebbe girarne un paio, sembra ancora lontana. «Serie tv? Master of horror è stata un’esperienza bellissima, negli Usa mi hanno lasciato libero di raccontare, di fare, di scegliere anche storie crudeli e sessualmente esplicite e ho dato il meglio – dice del progetto del 2007 – Jenifer è un dvd vendutissimo, un successone. Non so quando tornerà un’occasione come questa, devo trovare la storia giusta». Con i suoi attori ha avuto rapporti splendidi, «soprattutto con le attrici, con la Connelly, Jessica Harper, con mia figlia Asia», ma anche molto spiacevoli. «Con Tony Musante è stato terribile, abbiamo litigato sul set dal primo momento, ha pure cercato di menarmi. È venuto a casa mia e picchiava sulla porta, fortunatamente piuttosto robusta – e giù altre risate – Io pensavo che in quel momento potevo essere altrove, magari al cinema. Ecco, mi dicevo, io non ci sono. Quando L’uccello dalle piume di cristallo è uscito e ha avuto successo mi ha cercato, ma non l’ho voluto sentire mai più. Una brutta esperienza anche con la protagonista di Opera, Cristina Marsillach. Lei è venuta benissimo nel film che è uno dei più belli che io abbia girato, ma anche lei mi ha dato un sacco di problemi».

Il cinema di genere in Italia è sul punto di morte, come un personaggio di Dario Argento. «Se il cinema italiano va male è colpa dei produttori, dei distributori, degli autori. Ci sono tanti film mediocri, meno soldi e la verità è che comanda la televisione. Bisogna realizzare cose che vanno bene in tv, quelle serie italiane un po’ smielate – accusa con una zampata tra un’overdose di applausi – Il cinema è cambiato, vanno solo le commedie: questa è la storia». Come cominciare, allora, a scrivere per il grande schermo? «Leggendo i classici, è fondamentale passare qualche anno in una immersione profonda nei libri, da Edgar Allan Poe. E poi, guardare tanti film, ci sono state pellicole mute che mi hanno entusiasmato. Leggere insegna tante strade per riuscire a scrivere».

La paura per raccontare l’Italia di una certa epoca, con le immagini, i colori, i sospiri, la musica. Uno strumento per raccontare il mondo? «Ho lavorato con molti musicisti : Brian Eno, Bill Wyman, Morricone, i Goblin sono stato felice di collaborare con musicisti che sanno carpire le emozioni di un film, estrarre l’emozione. Con Morricone ho girato cinque film, è un genio multiforme, adatta le sue note al film. La musica è una delle mie ossessioni. Quella per il mio primo film non convinse mio padre che era il produttore, a me invece piacque moltissimo. Non c’era melodia, ma era una cosa atonale, alla Schoenberg, era anche quello un modo di raccontare il film. Nasceva dalle immagini: i musicisti erano in sala proiezione, guardavano le immagini e improvvisavano. Morricone suonava la tromba. Bravissimi, il filo conduttore era l’emozione».

Il suo cinema, sottolinea, non si ispira alla realtà. «La vita quotidiana scivola sopra le mie storie come acqua. Nel thriller, nell’horror ci si ispira a se stessi, alle immagini della propria mente, mi interessa qualcosa di più profondo, di interiore». Negli anni 80 molti horror puntavano sulla comicità. «Sono delle fasi. Io, Romero, Carpenter facciamo un cinema per adulti non per ragazzini che hanno bisogno di sbellicarsi dalle risate. Preferisco l’ironia che fa parte del racconto cinematografico, come in Hitchcock».

Dopo i vampiri è il momento del successo degli zombie, come testimonia la serie The Walking Dead. «Sono gli ultimi arrivati – replica – ma rappresentano anche il senso dell’umanità come è adesso, gente scervellata, con in testa solo il bisogno di mangiare, che si diverte a discettare di cazzate . È un sentimento condiviso dalla maggior parte delle persone. Ad esempio quelli che hanno votato per Trump sono zombie – dice interrotto dagli applausi – perché hanno votato per un capo zombie. Questo è il mondo di zombie senza ideali in cui viviamo oggi».

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